Il digitale è la leva in grado di contribuire al cambiamento che il mondo sanitario deve affrontare, spinto dalle sfide dettate dal Pnrr. Il piano prevede per la Sanità investimenti per 15,63 miliardi di euro, di cui 5,84 miliardi destinati al digitale. Un apporto economico importante che sottende un patto tra chi porta innovazione e chi invoca il cambiamento.
Fondamentale capire come le aziende si muovono nel contesto della Santità digitale, i punti di forza dei loro modelli organizzativi, le alleanze necessarie, ma anche le criticità legate al rispetto dei tempi per attuare gli obiettivi del piano nazionale. Di questi temi si discute nel corso nella tavola rotonda nella giornata introduttiva del Digital Health Summit 2021, che vede coinvolti esponenti del mondo dell’offerta digitale e dell’industria, moderati da Emanuela Teruzzi, Direttore Responsabile di Inno3.
Leve digitali al servizio del Pnrr
Sul supporto che le realtà tecnologiche si propongono di dare al cambiamento di pelle del mondo sanitario, interviene per prima Alessandra Mazzucco, Associate Partner Healthcare Market di Reply: “Gli investimenti in sanità previsti dal Pnnr devono essere visti come un’opportunità. Abbiamo bisogno di soluzioni trasformative oltre che di una visione chiara e coraggiosa. Una partita nella quale puntare ad obiettivi con un impatto sociale e non solo economico, che diminuiscano le disuguaglianze di accesso alla sanità.
Le soluzioni trasformative di Reply possono sostenere le aziende sanitarie data-driven impostando nuovi setting assistenziali su processi che vanno verso una medicina di iniziativa, servizi di transitional care e case management secondo un modello che permetta a tutti gli attori di cooperare tenendo il paziente al centro. Strumenti che non sono solo il cloud ma anche tecnologie di frontiera e soprattutto AI che non è più sperimentale ma strumento di automatizzazione anche di vecchi sistemi che comunicano tra loro, facendo sì che siano i dati del paziente a guidare la diagnosi e la cura con azioni sinergiche mettendo a fattor comune le informazioni delle aziende ospedaliere, della comunità di ricerca sulle patologie e dell’Irccs”.
Marco Asti, Digital Business Solution Team Lead di Roche Diagnostics Italy spiega, lato industria, come sostenere la ricerca con nuovi modelli di azione: “Oggi viviamo una convergenza senza precedenti in termini di conoscenze mediche e tecnologiche che sta rivoluzionando il paradigma della sanità. Quale azienda con 125 anni di contributo alla medicina, la nostra mission si articola su due capisaldi: migliorare gli standard di cura e promuovere un sistema sanitario sostenibile riducendo gli sprechi di risorse. In Roche sviluppiamo soluzioni diagnostiche e terapeutiche per un approccio personalizzato e segnaliamo un cambio culturale da parte delle persone che merita un impegno crescente. Ciò si concretizza nella collaborazione continuativa con interlocutori, stakeholders e tutte le risorse di sistema che possono indicare la direzione per vincere questa sfida. Siamo convinti che serva un approccio basato sul valore degli strumenti in termini di risultati e sostenibilità del sistema. Noi ci riteniamo parte integrante dell’ecosistema al servizio del paziente. Mai come ora vogliamo lavorare con il sistema salute ed essere un partner strategico ed etico per stimolare il cambiamento culturale e supportare in mondo operativo la trasformazione necessaria a costruire la sanità del futuro”.
La parola a Valerio Sensi, Marketing & Communication Manager di Engineering, che segnala gli asset digitali per la trasformazione della PA e della Sanità: “Engineering mette in campo tutti gli strumenti e le singole azioni che già oggi ci consentono di estrarre il valore dal dato. Questa è la chiave per attuare in modo concreto la digital transformation della sanità. Un obiettivo che realizziamo attraverso meno silos informativi, più digital platform e maggiore uso di tecnologie abilitanti come advance analytics e AI, che già applichiamo per l’evoluzione degli strumenti di assistenza e cura declinati sul territorio per supportare poi la medicina di prossimità. Anche sull’attività di prevenzione stiamo irrobustendo le infrastrutture per la raccolta e l’analisi del dato per consentire una governance sanitaria evoluta. Un know-how appannaggio di un set ristretto di aziende di processo, come Engineering. All’interno di questo percorso dobbiamo tenere presente la cloud-based line applicativa delle organizzazioni sanitarie su cui sarà necessario agire in anticipo e massivamente per renderla cloud ready”.
La pandemia è una sfida senza precedenti ma anche un’eccezionale opportunità di cambiamento che mette al centro il tema della salute. Lo sostiene Eraldo Federici, Manufacturing, Life Science, Aerospace & Defence Director di Capgemini che dichiara: “Dobbiamo rimettere al centro con forza il tema della salute e renderci conto che lo sviluppo del comparto Lifescience può determinare la ripresa dell’intero Paese. Centralità del paziente, tecnologie innovative immediatamente disponibili, supply chain più integrate e nuovi modelli di business evidenziano che il settore si muove verso un ecosistema eterogeneo, attraversato da flussi informativi di valore. Stiamo andando verso una data driven Lifescience verso la quale noi ci presentiamo con un’offerta specifica e internazionale ma applicabile al contesto italiano, che chiamiamo Intelligent Industry, lanciata lo scorso anno grazie all’integrazione di Altran che permette uno approccio olistico anche a questo settore”.
Claudio Pellegrini, Sales Local Government Public Sector, Health and Education di Tim, identifica nell’interoperabilità e nella sicurezza gli elementi strategici chiave: “L’unicità di Tim è rappresentata dalla capacità di gestire il flusso dei dati dall’inizio alla fine nella rete delle infrastrutture tecnologiche e di garantire la raccolta dei dati sulla rete e sui sistemi IoT portandoli fino ai datacenter, dove trovano ospitalità le piattaforme tecnologiche anche della sanità. Questo ci fa sentire tutta la nostra responsabilità ma anche la potenzialità come partner di Tlc nel riuscire a garantire la raccolta di informazioni, la loro messa in sicurezza e la loro gestione. La centralità va infatti data al dato su cui costruire il valore delle soluzioni. Non solo sicurezza quindi ma anche la creazione di piattaforme di interazione aperte con un elevato grado di interoperabilità tra diversi sistemi sia organizzativi che applicativi per superare i silos ma anche le criticità dei processi organizzativi della sanità e della medicina del territorio. In definitiva, contare sull’acceleratore del digital da integrare nel processo, dalla prevenzione alla cura”.
Interviene Cesare Guidorzi, Country Manager di Intersystems Italia, parlando dell’importanza del dato nell’ecosistema della sanità, che deve evolvere: “Noi contribuiamo attraverso soluzioni pronte e ampie per gestire i processi sia delle singole aziende sia interazionali; ciò che consente di costruire le necessarie autostrade dei dati il più possibile fluide al servizio della costruzione della nuova sanità che si annuncia con il piano Pnrr. Una valenza anche organizzativa, quindi, ma ciò a cui mettiamo enfasi è soprattutto la necessità di soluzioni flessibili configurabili in una logica di ecosistema. Un mercato che richiede uno sforzo di coesione tra player per mettere le competenze a fattor comune; quello che come Intersystems stiamo costruendo con una rete di partner capaci di integrare le soluzioni con proprie competenze. Il cliente ha così un più ampio spettro di competenze e non deve fare i conti con una singola azienda. In questo momento dobbiamo infatti aspettiamoci un’accelerazione di progetti che le singole aziende da sole faranno fatica a sostenere, in un mercato che parte sotto-finanziato soprattutto per la gestione dei dati”.
Ostacoli allo sviluppo della sanità digitale
Oggi sussistono molti limiti e barriere all’avvio dei progetti nei tempi del Pnrr – sottolinea Emanuela Teruzzi -, rifacendosi anche ad una ricerca di NetConsulting cube secondo la quale il 12% del campione indagato teme che i fondi del Pnrr non verranno spesi nel modo corretto. Il secondo giro di domande ai protagonisti della discussione indaga dunque questo scenario.
“La mancanza di piattaforme abilitanti italiane diffuse ed interoperabili a livello italiano ed europeo è la barriera più importante da superare – secondo Alessandra Mazzucco -, e si registra molta inerzia nelle aziende ospedaliere. Serve un modello almeno ibrido tra cartaceo e digitale che pian piano garantisca una maggiore sicurezza e resilienza. L’altra barriera è l’accrescimento delle competenze non solo dei decisori ma anche degli utenti finali. Laddove proponiamo tecnologie innovative, infatti, superiamo il change management dell’introduzione dei sistemi e le competenze di system integration nei nuovi paradigmi che le big tech stanno portando in Italia ci aiutano moltissimo”.
Marco Asti auspica una maggiore execution: “Serve una pluralità di soluzioni che devono essere interoperabili tra loro ma anche scalabili. Sistemi che supportino un approccio olistico nella gestione dei flussi e del paziente; aspetto non facile da gestire perché richiede un nuovo approccio culturale. Approccio che la pandemia probabilmente può favorire come leva di cambiamento seppure si tratti di una sfida non semplice. Servono nuovi modelli innovativi, che non vuol dire un refresh di modelli già in uso”.
“Il primo aspetto critico riguarda il quadro normativo complessivo dove creare singole progettualità ma soprattutto valore per il singolo cittadino – sostiene Valerio Sensi –. Un quadro normativo che deve esser completo e omogeneo. Il secondo punto è quello dello skill shortage, fattore rilevante per la PA e le imprese private, che si presenta come una criticità impattante e rallentante del processo di digital transformation da mettere in campo nella sanità. Engineering ha una propria academy e lavora su questo fronte con 20mila giornate di formazione”.
“Il punto centrale da affrontare è legato al lavoro e alle competenze ad alta specializzazione – commenta Eraldo Federici –. È vero che vediamo una domanda di lavoro sostenuta ma permangono a tutti i livelli difficoltà delle imprese nel reperire risorse altamente specializzate. Fortunatamente abbiamo ricevuto dalla Ue circa 5 miliardi per la formazione ma non è immediato trasformarli in disponibilità di risorse. Così come si è investito nella capacità di disegno delle soluzioni, così bisogna che le organizzazioni industriali entrino in una logica di condivisione delle competenze, mettendole a disposizione del disegno di sviluppo, al servizio di un bene più ampio per giocare una partita di sistema, guardare lontano e insieme”.
Una visione troppo restrittiva del Pnrr non fa bene, è il parere di Cesare Guidorzi: “Bisogna mirare al giusto bersaglio. Il mio timore è di un’interpretazione del Pnrr troppo restitutiva. Non vorrei si parlasse solo di telemedicina solo intesa come strumenti che servono per l’interazione a distanza tra paziente e medico, dimenticando che c’è tutto un ecosistema dietro. I dati devono essere portati da un contesto all’altro; la telemedicina è liquidità e portabilità del dato clinico in qualunque momento e in qualsiasi luogo. Altro rischio è la progettualità troppo localizzata; mi aspetto che venga svolta dalle regioni con la loro capacità di portare valore alle aziende sanitarie; e infine fare attenzione a non definire la progettualità in termini di giornate-uomo come fatto in passato”.
Claudio Pellegrini concorda sul definire uno scenario sanitario che parte da una frammentazione dei sistemi, culturale e di formazione. “Al di là di queste assodate criticità, farei anche molta attenzione all’aspetto di urgenza perché i soldi del Pnrr arrivano, vanno spesi in fretta e finiscono subito e non vorrei ci si facesse prendere la mano nello sviluppare qualcosa senza approfondire. I fondi rappresentano un’opportunità e per questo dobbiamo sentire la responsabilità per il dopo 2026. La progettualità va sviluppata sapendo che rimarrà qualcosa dopo. Altrimenti faremo silos sempre più stretti e alti con poco vantaggio. Noi come Tim abbiamo l’ossatura per creare qualcosa che resti”.
Il valore di procurement e partnership
Come costruire delle partnership efficaci e adeguarsi ai modelli di procurement attuali per rispondere agli obiettivi del Pnrr. E quanto meccanismi di procurement più snelli e flessibili possono agevolare la partnership tra cliente e fornitore. E’ questa la domanda del direttore di Inno3 che sonda il parere dei presenti.
Prosegue Claudio Pellegrini: “La partnership pubblico privato ha dei meccanismi molto articolati e necessita di avere un’idea chiara; sapere come funziona, individuare il modello di business, trovare i soldi per farla e proporla in una sorta di progetto comprensivo. Non è un bando di gara ma un bando unito al progetto che verrà implementato, insieme alla valutazione dei rischi, e anche questo richiede tempo e competenze. Noi come Tim abbiamo acquisito le competenze per avviare le partnership dove ne valga la pena; non da soli ma mettendo assieme coloro che completano le nostre proposte in una logica di collaborazione per garantire velocità, sicurezza e soprattutto prospettiva, un elemento di cui abbiamo bisogno”.
“Di partenariato pubblico privato si parla spesso con risultati non sempre concreti – risponde Marco Asti –. I due mondi non parlano spesso lo stesso linguaggio. Serve condivisione del rischio e messa in comune degli strumenti di supporto a tutti i soggetti coinvolti che permettano meno resistenza di oggi. Noi abbiamo una visione anche europea, su paesi simili a noi, come dimostra il caso recente dei colleghi spagnoli in Catalogna che hanno messo a segno un progetto pubblico-privato co-creando modelli innovativi di monitoraggio della terapia dei pazienti post ictus, anche su base finanziaria, con fondi erogati sui risultati, perché i fondi vanno utilizzati nei tempi stabiliti“.
Cesare Guidorzi parla fuori dal coro esprimendo perplessità sull’estrema difficoltà di costruire oneri bilanciati perché “la progettualità si sposta troppo sul privato e il rischio non può essere unilaterale. Non ho visto partnership che funzionassero se non in modo strumentale e oggi la fretta data dal Pnrr insieme alla mancanza di chiarezza rappresenta un salto carpiato. Le aziende non sono committate perché la gare in voga sono quelle pay per use, ovvero quando si sarà in grado di fare partire il progetto l’ospedale sarà in grado di pagare. Se si comincia a ritardare, il fornitore perde i soldi, la PA temporeggia”.
Per Alessandra Mazzucco “il modello ha funzionato. Lavorare con le istituzioni, le università e i nostri clienti più strategici per giocare nella stessa squadra e sviluppare nuove applicazioni. Come ad esempio la valuded based healthcare che abbiamo oggi nella nostra linea di offerta. Più che adeguarci ai modelli di procurement vogliamo essere disruptive e proporre con il Pnrr nuovi modelli per fare la nostra parte nello sviluppo di soluzioni innovative”.
Eraldo Fedefici: “I soldi del Pnrr sono immediatamente disponibili e vanno spesi bene, ovvero con proposte industriali serie che non possono prescindere dal fatto che le organizzazioni come la nostra montino uno scambio di valore. Un modello di riferimento dove noi stiamo dialogando con chiunque mettendo a disposizione piattaforme, framework di intelligent industry; parliamo con diversi interlocutori per capire quale risposte dare a temi importanti. Il procurement sarà una conseguenza alla proposta”.
“Si rendono indispensabili riforme abilitanti e nuovi modelli di procurement; c’è bisogno di un modello diverso di relazione tra pubblico e privato, tra cliente e fornitore in una partita epocale che possiamo vincere solo facendo squadra”, conclude Valerio Sensi.
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