Non è possibile oggi pensare alla sanità del futuro senza una visione integrata, olistica, fortemente incentrata sul territorio e sulle risorse da dispiegarvi, senza essere in grado di fare leva sulla digitalizzazione, sull’integrità, l’interoperabilità dei dati, delle informazioni e disporre di un piano per rendere organici i progressi compiuti e metterli “a sistema”. Per farlo servono non solo le risorse – ora disponibili grazie a Pnrr e ReactEu (per un totale di quasi 20 miliardi di euro) – ma anche capacità di “qualificare i progetti digitali”. Servono competenze manageriali, così come si deve poter contare sulla disponibilità di personale formato a partire da medici, infermieri (e personale paramedico), ma anche sulla possibilità effettiva per i pazienti di accedere alle risorse.

Sono i temi chiave dei diversi percorsi in occasione di Digital Health Summit 2021 sottolineati anche in occasione della sessione di apertura ed in particolare nel talk La Sanità in Italia: Facciamo il Punto, con la partecipazione di Paolo Bordon, direttore generale Ausl Bologna e Massimo De Fino direttore generale Usl Umbria 2, quasi a fotografare la prospettiva dal lato della “domanda“, proprio a partire dal territorio. Soprattutto per capire il “punto di partenza”, ora che effettivamente sembra di essere entrati in una fase “nuova” o comunque non più emergenziale, per cui è doveroso pensare alla progettualità.

Paolo Bordon, direttore generale Ausl Bologna
Paolo Bordon, direttore generale Ausl Bologna

“L’anno scorso in questi giorni solo nell’area metropolitana di Bologna si contavano oltre 300 ricoverati – esordisce Bordonora sono meno di 80 e questo è grazie ai vaccini, e quindi anche al grande sforzo organizzativo di tutti gli operatori sanitari. Tutta la comunità in generale ha partecipato a questo sforzo che ha permesso di raggiungere una percentuale di vaccinazioni molto vicina al 90%, con le persone gravi oggi ricoverate che sono tutte persone non vaccinate”. Ora si tratta si ripartire e recuperare, perché mentre gli interventi urgenti, e le iniziative soprattutto per i pazienti oncologici, non hanno di fatto risentito dell’emergenza, tante altre prestazioni ovviamente hanno dato vita a liste di attesa molto lunghe.

L’organizzazione sanitaria, che ha recuperato i professionisti prima adibiti a gestire l’emergenza (terza ondata), “ora è impegnata non tanto al recupero delle prestazioni specialistiche ambulatoriali, che si è riusciti a mantenere in linea, quanto piuttosto al recupero delle attività chirurgiche operatorie. Fotografa la situazione anche De Fino: “La Usl Umbria 2 copre la provincia di Terni e parte della provincia di Perugia, vi sono quattro direttori generali che dialogano tra loro e anche per questo abbiamo lavorato molto bene, così come con il resto degli apparati e con la direzione del welfare. La flessibilità del sistema organizzativo sanitario ha rappresentato un elemento importante nell’emergenza. Siamo partiti da 69 posti di terapia intensiva in tutta l’Umbria  siamo arrivati a 144, oggi possiamo arrivare a 200 posti di terapia intensiva”.

Massimo De Fino, direttore generale Usl Umbria 2
Massimo De Fino, direttore generale Usl Umbria 2

Prosegue De Fino: “Da una parte convincere le persone a vaccinarsi resta importante, anche in parte i dipendenti, con le relative difficoltà organizzative per i servizi da organizzare (su 3.600 dipendenti sono state sospese 42 persone ed inviate circa 125 lettere per chiedere alle persone di mettersi in regola); dall’altro è importante sottolineare proprio il tema della “flessibilità”. Per esempio, le nuove figure Usca (Unità speciali di continuità assistenziale), sono state riferimento vitale ed ancora oggi vengono utilizzate da noi anche nell’ambito degli hub vaccinali e per i tamponi, in coordinamento con le farmacie”.

Per De Fino, componente del gruppo di lavoro Agenas, per la riorganizzazione dell’assetto territoriale, è chiara la priorità proprio di “una ridefinizione degli assetti territoriali che devono essere più moderni, con un distretto forte, perché si è visto che dove insisteva il distretto, ed insisteva il territorio, si sono registrati meno danni”, rispetto ad altre regioni dove c’era un rapporto diretto, si scavalcava questa organizzazione dei servizi del territorio e si ricorreva direttamente all’assistenza primaria o alle cooperative di servizi. Attraverso il “distretto forte” bisogna quindi riorganizzare tutte le  prestazioni che sono presenti all’interno del territorio come gli Ospedali di Comunità, le strutture residenziali le famose Case di Comunità come evoluzione delle Case della Salute (presenti per esempio in Toscana ed in Emilia Romagna)”.

Sicuramente c’è bisogno di maggiore integrazione tra gli organismi ma in questa specifica fase soprattutto c’è bisogno di preservare tutte le buone abitudini acquisite nell’emergenza: il distanziamento (soprattutto per i giovani), in una continua evoluzione delle classi di età di maggiore contagio.

“Certo, oggi poi è ancora vivo il problema delle liste di attesa”. L’Umbria è la seconda regione dopo il Trentino che ha mantenuto le attività e le prestazioni oncologiche e di screening ai più alti livelli. Tra il 2020 su 2019 con una riduzione del 3,5% contro il 20% medio italiano. “Per concentrarci nel mantenere questo tipo di attività abbiamo ridotto altre prestazioni mantenendo quelle di base facendo leva sulla telemedicina che ha fornito aiuto. Un patrimonio ad non disperdere”. Oggi nell’ambito dei suoi sei distretti, De Fino si trova in ogni caso in “debito” di circa 38mila prestazioni, alcune più facili da recuperare (oculistica), mentre per endoscopie, risonanze, ed ecografie la percentuale da recuperare è del 70% ed è evidente che servano “scelte di campo importanti come acquisire ulteriore strumentazione ma soprattutto “risorse umane” che sono gli specialisti”

Green Pass e campagna vaccinale

Proprio in relazione al bisogno di risorse umane, il tema del Green Pass entra più attuale che mai nel dibattito, anche per l’impatto sul sistema sanità. Ne parla così Bordon: “Rispetto agli altri ambiti lavorativi, ricordo che il personale sanitario aveva già l’obbligo di vaccinarsi e, al netto delle differenze che poi in Italia ci sono state tra le diverse normative, su 10mila dipendenti nella mia organizzazione solo l’1% non è risultato conforme all’obbligo vaccinale quindi stiamo parlando di circa un centinaio di persone di cui la stragrande maggioranza è stata sospesa, per poi ottemperare l’obbligo e riprendere servizio”. Il “controllo” sul Green Pass invece pone diversi problemi: “Richiede di mettere i piedi un’organizzazione abbastanza capillare al di là dei dettami della normativa che prevede dei controlli a campione. Nel caso di Bologna i numeri sono comunque decisamente gestibili”, ma il tema comunque richiede al governo centrale scelte serie mentre è difficile capire le resistenze che ancora ci sono. 

Si tratta oggi di affrontare questa stagione che “sarà una stagione di convivenza con il virus, che resterò in circolazione endemica tra la popolazione per molto tempo”. La Ausl di Bologna sta vaccinando ora le persone ultraottantenni ed ha compiuto chiamate “attive per i cosiddetti fragili”. “C’è una grande collaborazione con la comunità in generale che partecipa e non facciamo fatica a ricevere collaborazione. E vediamo che c’è aderenza e voglia di procedere con la giusta preoccupazione per le persone anziane”. Bologna ha iniziato inoltre a concordare con i gestori delle strutture Rsa il piano vaccinale per gli ospiti. E riconosce l’importanza dei piani per la scuola: “Abbiamo visto che i focolai che sono partiti lo hanno fatto prevalentemente nella scuola primaria cioè tra la popolazione che non è oggetto di vaccinazione, mentre meno tra i giovanissimi (over 12, con oltre 80% di persone che hanno ricevuto almeno una dose)”

Con le autorità scolastiche Bologna ha condiviso l’importanza strategica della scuola in presenza, l’impatto sui giovanissimi del vivere in condizioni di disagio, a distanza, con le relative richieste di consulenze psicologiche. Per la sua struttura, il territorio non nasconde il normale disagio legato alle difficoltà di attivazione dei servizi di prossimità difficili da garantire in situazione di emergenza, ma la campagna vaccinale ha dato i risultati sperati. Sull’obbligo del Green Pass i timori di De Fino sono esclusivamente di tipo organizzativo: “Si tratta di offrire indirizzi specifici per tutti i presidi. Fanno parte del nostro presidio 54 comuni ma con 161 punti erogazione”.

Sanità e Pnrr, serve una visione di insieme

Il nodo centrale però non saranno certo le prossime contingenze quanto un buon utilizzo delle risorse del Pnrr, che dipende esclusivamente dall’effettiva disponibilità di una visione. “E una visione c’è – spiega De Fino – ed è quella di rivisitare completamente l’assetto, a partire proprio dalla valorizzazione della rete “umana” che ha affiancato le nostre realtà anche nelle aree più difficili da raggiungere”. A livello regionale se ne è discusso molto. E’ stato presentato un “Pnrr Umbro al ministero” con 45 progetti per 3 miliardi di spesa, con progetti specifici per la sanità, in particolare per il territorio (ospedali e case di comunità per un distretto forte, con un direttore di distretto a formazione specifica e con competenze manageriali). Servono poi investimenti strutturali per rendere le infrastrutture più sicure anche dal punto di vista sismico ed infine servono le tecnologie.

La sfida per De Fino è legata alla realizzazione di una Centrale Operativa Territoriale (Cot), non tanto per disporre di “un semplice numero per allacciarsi alla comunità assistenziale” quanto piuttosto “una centrale operativa con la funzione di presa in carico del bisogno globale dell’assistito, sia per la continuità delle cure dopo le dimissioni sia come punto di contatto per i familiari, in difficoltà, per esempio, a fronte della chiusura dei centri di supporto a fronte di determinati disagi”. Telemedicina e sicurezza, sono gli altri ambiti in cui sarà importante agire in modo ottimale, ed investire nel rispetto della centralità del dato che è effettiva solo quando il dato è protetto.

E da qui riprende Bordon: “E’ la prima volta dopo molti anni che abbiamo la possibilità di investire risorse sul territorio. Le precedenti riforme erano legate più all’efficienza dei sistemi ospedalieri ma sul territorio, nel tempo, si sono viste delle belle iniziative organizzate da varie regioni senza una linea comune nazionale, che ora invece tracciata molto chiaramente”. La pandemia ha insegnato che è “opportuno investire e rafforzare la presenza dei servizi sanitari sul territorio; da questo punto di vista quindi si aprono delle prospettive interessanti e nello stesso tempo ci saranno anche delle sfide interessanti”.

Avere risorse a disposizione significa anche responsabilizzarsi rispetto alle scelte ed alle opportunità e sarebbe un errore parcellizzare interventi in microstrutture sparse senza tenere un filo conduttore che è il rafforzamento delle strutture che non passa solo per i “contenitori” su un territorio con esigenze davvero molto differenti. “Noi beneficiamo già di ben 18 Case della Salute attive quindi ci troviamo sostanzialmente già quasi in linea rispetto agli obiettivi da raggiungere per l’anno 2026 ma ci sono molte altre realtà invece che partono da zero e bisogna tenerne conto”.

Casa della Salute (Bologna)
Casa della Salute (Bologna)

Ecco la sfida più importante è quella di “costruire una filiera che transita dagli ospedali al territorio ed arriva alle case dei cittadini mettendo in rete competenze e tecnologie con la telemedicina come strumento imprescindibile per mettere insieme servizi validi. Serve quindi costruire anche quelle competenze che a volte mancano. Non si tratta solo di progetti “spot” si tratta piuttosto di “poter portare un’intera un’organizzazione ad utilizzare strumenti di telemedicina come strumenti ordinari di lavoro”.

Bologna è partita su questo punto prima di tutto con programmi di formazione per il personale medico riscontrando buona adesione su questi tipi di progettualità. Un altro tema fondamentale è quello legato alla carenza delle professionalità: mancano medici ed infermieri e si dovrebbe “ripensare quindi i modelli organizzativi”, anche in relazione ai numeri chiusi nelle università. Per uscire dalle sperimentazioni, la telemedicina è di certo fondamentale, sta entrando nella cultura dei cittadini ma deve poter entrare anche in quella degli operatori, che mancano. 

Leggi tutti gli approfondimenti dello Speciale Digital Health Summit 2021

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