Dal 2020 al 2030 l’industria assicurativa crescerà a livello mondiale da 5 a 10 trilioni di dollari e l’80% delle polizze sarà veicolato attraverso piattaforme digitali. Un mercato non più locale, dunque, grazie all’insurtech che lo globalizza e ne favorisce lo sviluppo.
In Italia, la crescita sarà ancora più sostenuta, poiché partiamo da una situazione di sotto-digitalizzazione. L’80% della nuova crescita verrà assorbito dai player esistenti mentre il 20% sarà appannaggio dei nuovi player. Una grande opportunità sia per chi già opera sul mercato ma soprattutto per chi vuole entrarvi, se si considera che il settore assicurativo rappresenta oggi oltre il 7% del prodotto interno lordo italiano.
Si aprono così nuovi segmenti di business, dove è previsto l’ingresso di oltre 50 soggetti, con piani di investimento importanti in ambito assicurativo, confermando l’ecosistema italiano attrattivo, soprattutto per il mercato internazionale.
Sono questi alcuni dati dell’ultimo Insurtech Investment Index illustrati da Simone Ranucci Brandimarte, presidente e co-fondatore Iia e Yolo Group, nella conferenza stampa che apre l’Italian Insurtech Summit, che così commenta: “Nell’ultimo anno abbiamo appreso come la rivoluzione digitale assicurativa abbia una peculiarità rispetto a quella bancaria e di altri settori, ovvero non trasla solo valore da analitico a digitale ma aumenta anche il volume della industry, ad oggi sottopenetrata. L’inerzia sugli investimenti in startup e pmi rappresenta però il vero tallone di Achille del nostro paese. Gli investimenti si muovono, ma non sulle startup, limitate e con scarsi capitali. Proprio questa inerzia si dimostra però mercato appealing per gli investitori internazionali”.
“Gli investimenti in insurtech devono crescere con costanza per diventare parte integrante dello sviluppo del settore – concorda Filippo Renga, direttore dell’Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano, che conferma la tendenza a una prudenza generalizzata del mercato, con una situazione invariata rispetto all’anno scorso legata alla forte incertezza, ma la predisposizione a investire in insurtech da parte degli incumbent. “Rispetto ad altri comparti che hanno ridotto gli investimenti in modo sostanziale, la nostra analisi non è così negativa – spiega –. Il settore registra infatti un momento di riorientamento, dettato non del desiderio di ridurre gli investimenti in innovazione ma di focalizzarli su elementi più certi. Viviamo cioè una fase di attesa per investire con più forza in futuro“.
Assicurativo, l’Italia e il gap digitale
L’insurtech – da intendere come insieme di investimenti interni, in partnership con realtà tecnologiche o in startup – cresce in Italia con un valore di 200 milioni di euro nel primo semestre del 2022, contro i 60 milioni del primo semestre 2021. Un incremento del +230%, ma solo del +10% rispetto all’ultimo semestre 2021. La corsa agli investimenti infatti rallenta come tendenza globale a causa delle critica situazione geo-politica internazionale.
Il nostro paese deve recuperare un gap. Negli ultimi 30 mesi abbiamo investito meno degli altri paesi, 510 milioni di euro, posizionandoci agli ultimi posti a livello europeo, davanti solo alla Spagna, superata di recente.
In Italia nel settore assicurativo, solo il 5% degli investimenti è in tecnologia contro una media europea del 16% e solo il 10% delle compagnie ha un budget per la sperimentazione, contro il 75% a livello europeo. La progressione è comunque chiara, sebbene iniziata in ritardo, e la stima di Italian Insurtech Associations è di 1 miliardo di euro di investimenti nel 2023. “Si recupera quindi terreno, ma non lato startup – ribadisce il presidente di IIA – con i player internazionali che credono in questo mercato molto più di quelli italiani”.
Nel 2022 si stimano 3,5 milioni di polizze digitali. Il consumatore si mostra più evoluto e con una buona predisposizione a stipulare altre assicurazioni, soprattutto digitali, seppure emerga una sostanziale sua scarsa educazione.
Si segnala a più voci, il gap delle competenze digitali e tecnologiche che aumenta, così come la consapevolezza di questa criticità. L’81% dei dipendenti in ambito assicurativo vede infatti questo tema di rilevanza crescente, contro il 55% un anno fa, il 71% ritiene ci sia un gap digitale nelle proprie competenze e auspica maggiore formazione.
Il mercato assicurativo è caratterizzato da alte barriere di ingresso, anche normative, e margini ancora elevati; una situazione dove gli incumbent presenti hanno poco interesse a cambiare rapidamente le cose. Lo sottolinea Giuseppe Dosi, Insurance practice leader di Crif: “Gli investimenti in startup sono limitati perché per lanciare con successo una startup bisogna innovare in modo deciso e avere ben chiari i vantaggi competitivi rispetto agli encumbent. Serve costruire un modello di business unico che sia attrattivo, scalabile e possa toccare segmenti rilevanti del mercato per attirare l’interesse degli investitori. Ciò che abbiamo visto finora è che le sturtup non sono state realmente capaci, salvo eccezioni, di innovare usando tutti i dati e tutte le tecniche di analytics e machine learning possibili per costruire una superiorità sul pricing”.
L’esperienza di Generali e Telepass Assicura
Questa evoluzione attesa al 2030 delle polizze digitali, dove i fattori abilitanti arrivano con lentezza, deve far scaturire una riflessione profonda e aumentare l’awareness del management e dell’intero settore. E’ questa la riflessione di Stefano Bison, Group head of Business Development, Partnerships & Innovation di Generali. “Negli investimenti in insurtech – interviene il manager – siamo lontanissimi da altri paesi europei. Ogni anno ci diciamo che stiamo recuperando ma ogni volta restiamo in un ordine di grandezza lontano dagli altri. Bisogna uscire da questa logica di “self-complacency” ed esser coscienti che la strada da fare è lunga e che ci sono una serie di elementi che devono convergere per fare ecosistema, alzare l’asticella da parte di tutti gli attori”.
Il manager auspica piattaforme pronte, utilizzo dei dati e ripensamento dei processi, cosa non facile perché richiede un cambiamento su tutta la catena del valore ma anche grandi investimenti in competenze digitali.
“Un processo che sta avvenendo anche all’interno della nostra azienda – spiega -. Stiamo cercando di supportare il cambiamento con l’education, con processi di upskilling e reskilling, con 1 miliardo di investimenti complessivi, con un nuovo comitato del board dedicato alla digitalizzazione che diventa un tema chiave per tutta l’azienda. Ma la strada è ancora lunga e richiede grande spinta per portare benefici, coprire i gap e rispondere a esigenze dei clienti che oggi non sono soddisfatte. Questo è il ruolo delle startup italiane; devono identificare quegli spazi dove c’è un evidente gap assicurativo. Un cambio di passo non ancora evidente nel mercato assicurativo: quando i millennial, nativi digitali e finanziariamente più evoluti saranno il mercato principale, allora vedremo davvero il cambiamento”.
“Come gruppo Telepass abbiamo costituito due startup digitali e negli ultimi quattro anni abbiamo conosciuto un po’ tutte le difficoltà di questo mercato, dominato dalla distribuzione fisica, con scarsa conoscenza dei prodotti e servizi assicurativi da parte del consumatore finale”, dichiara Gianfilippo Lena, amministratore delegato di Telepass Assicura.
“L’approccio che abbiamo cercato di costruire in azienda basa su un’offerta quanto più integrata possibile con i servizi di mobilità che già Telepass propone ai propri clienti, circa 30 al momento. Abbiamo ad esempio costruito un servizio di assistenza stradale, una polizza viaggi e una polizza sci legate all’ingresso del cliente nei parcheggi aeroportuali o all’uso dello skipass di Telepass. Abbiamo allargato l’offerta anche a partnership e grandi gruppi come Generali con il rimborso dei ritardi in autostrada. Quindi abbiamo cercato di lavorare in un contesto in cui il cliente ci riconoscesse come un intermediario di fiducia, un punto di riferimento all’interno di un’offerta molto ampia e competitiva come quella assicurativa.
L’altro elemento rilevante – prosegue Lena – è la scarsa disponibilità sul mercato di competenze digitali e la necessità di formazione interna alle aziende, oltre a quello dell’education del cliente che è abituato a vivere l’assicurazione un po’ come una tassa da pagare piuttosto che come un servizio di assistenza per minimizzare il proprio rischio. Su questo aspetto tutti possiamo migliorare in chiarezza e trasparenza dell’offerta dei servizi assicurativi. L’avvicinamento delle persone al digitale ci impone di approfittare di questa opportunità, affiancando canali digitali e canali fisici rendendo l’offerta e l’assistenza più integrata per il cliente finale”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA