Digitalizzazione, interconnessione tra architetture differenti, possibilità di sfruttare a proprio vantaggio abilitatori digitali innovativi come l‘intelligenza artificiale, il machine learning e l’automazione. Sono questi i binari entro cui si muovono le aziende che chiedono ai partner tecnologici di essere aiutate a ripensare i propri modi di operare. E sono gli stessi entro cui declina la propria strategia open source Red Hat che, a fine maggio, in occasione di Red Hat Summit 2023, ha portato una serie di annunci pronti ora ad essere cadenzati nella roadmap di mercato delle diverse country e nelle realtà concrete di business.
Per l’Italia ne parlano Gianni Anguilletti, VP Med, Rodolfo Falcone, country manager e Giorgio Galli, senior manager solution architect & sales specialist di Red Hat.
“Le aziende, a prescindere dal settore in cui operano, desiderano che IT le aiuti a risolvere problematiche di business complesse – esordisce Anguilletti – rendendo efficienti i processi decisionali, fornendo customer experience accattivanti, sfruttando al meglio dati e informazioni a disposizione nel rispetto delle normative, perimetrando le operazioni nel modo più sicuro possibile”. E chiedono di “fare di più con meno”, un mantra che oramai sentiamo ripetere dai primi anni Duemila e che oggi significa anche “sviluppare servizi prodotti e applicazioni in modo rapido, sfruttando le piattaforme disponibili con la scalabilità desiderata e l’agilità necessaria”. Soprattutto, le aziende chiedono di “poter fare un migliore utilizzo dell’ecosistema IT disponibile end-to-end”.
Sono invece richieste sempre meno le soluzioni puntuali, “le patchwork di risposta alle esigenze immediate”. Per rispondere a queste dinamiche Red Hat investe in modo significativo sulle diverse componenti di uno stack tecnologico/infrastrutturale costituito da quattro pilastri: il framework per lo sviluppo di applicazioni moderne e native cloud (basate sui paradigmi della containerizzazione, sui microservizi, sull’AI, il machine learning e l’edge); il secondo pillar sono “gli strumenti per la costruzione di piattaforme cloud ibride aperte perché le applicazioni siano sviluppate, esercite, monitorate, manutenute su qualsiasi piattaforma e con un elevato livello di disponibilità”. Terzo pilastro è costituito dagli strumenti di monitoraggio e automazione delle infrastrutture IT “per rendere questi processi efficienti e intelligenti” (con i relativi annunci in occasione del Red Hat Summit). E l’ultimo pilastro della proposizione punta a fare in modo che “tecnologie e servizi possano essere fruiti acquisiti e gestiti secondo le opzioni che meglio rispondono alle esigenze dei clienti” in termini di agilità ed efficienza operativa (si parla di tecnologie e servizi acquisiti in autonomia dalle aziende per essere fruiti on-prem, oppure demandando la gestione e la manutenzione ad un qualsiasi hyperscaler).
Tutto questo deve avvenire tenendo conto di una serie di sfide e difficoltà oggi sempre più evidenti. Spiega Anguilletti: “Mi riferisco agli skill gap, alla complessità dei processi che aumenta invece di diminuire – anche negli ecosistemi ibridi – ai bisogni di ridurre le tempistiche, soddisfacendo i picchi di richieste, utilizzando le nuove tecnologie come l’edge computing che però a loro volta incrementano la complessità. Tutti problemi da affrontare in sicurezza e guardando alla sostenibilità“.
Ma non mancano per questo i casi di successo, solo per fare alcuni esempi Airbus e La Banque Postale in Francia, con l’utilizzo di Red Hat Openshift per i processi di modernizzazione applicativa. Ed in spagna Gruppo Pinero (turismo) che per sostenere picchi di richieste variabili utilizza le soluzioni Red Hat per portare le app e i servizi dall’ on-prem al cloud pubblico. Non mancano anche casi in Israele in ambito finance ed healthcare, ed in Turchia, in particolare nell’ambito finance.
Ed ovviamente diversi sono anche i casi italiani, tra tutti quelli per esempio di Istat ed Italgas. Nel primo caso l’istituto si è posto obiettivi sfidanti tra cui quello di dotarsi di un private cloud e predisporre un framework in grado di erogare servizi cloud native utilizzando tecnologie Red Hat con cui ha ridotto il time to market e aumentato la standardizzazione degli ambienti sia on-prem sia public ,ovvero in modalità ibrida. Nel secondo (Italgas) l’azienda ha trasformato la propria infrastruttura per incrementarne l’efficienza attraverso la containerizzazione per guadagnare flessibilità e resilienza, in un momento di grandissima crescita dei dati e della potenza elaborativa richieste dalla digitalizzazione, contenendo però i costi che sono rimasti sostenibili.
Si aggancia a questi temi Rodolfo Falcone, inquadrando proprio il contesto italiano a partire dagli economics: “Il valore del mercato digitale in Italia è stato nel 2022 di poco superiore a 77 miliardi di euro (fonte: Anitec-Assinform, Il Digitale in Italia), circa 50 miliardi di euro è il valore delle risorse Pnrr disponibili, di cui utilizzati fino ad oggi poco più di 15 miliardi. I settori che hanno registrato le crescite maggiori quelli del software, dei servizi e delle soluzioni Ict, dei contenuti e della pubblicità digitale”.
Tra il 2022 ed il 2026 le aziende sono pronte ad investire soprattutto in cybersecurity, big data management e cloud, con il dato positivo secondo il quale “è cresciuto il numero dei neolaureati in informatica”.
Il mercato digitale cresce del 4,5%, in modo molto più sensibile rispetto al Pil, “con PA locali e centrali pronte ad investire e a fare da traino, impegnate come sono nei progetti cloud, relativi all’AI e alla cybersecurity”. Temi che si ritrovano declinati puntualmente nella proposizione Red Hat che in Italia già da diversi anni opera non tanto come fornitore di soluzioni quanto piuttosto come “trusted advisor”. Falcone: “Abbiamo aiutato le più grandi aziende pubbliche e private a trasformarsi, quasi tutte hanno scelto le soluzioni Red Hat per i diversi pilastri di trasformazione. Ci sediamo insieme ai clienti per capire quali sono i loro progetti e poi per svilupparli insieme”. E circa il 55% delle applicazioni containerizzate in Italia utilizza Red Hat Openshift.
Red Hat Summit, l’evoluzione della proposta tecnologica
“Red Hat è oggi impegnata di fatto su un ampio spettro di progetti digitali di trasformazione – entra nei dettagli della proposizione tecnologica così Giorgio Galli -. Leggiamo la necessità dei clienti di fare in-sourcing di competenze per restare competitivi; qualità che si misura nella capacità di erogare servizi in modo rapido per cui serve capacità di sviluppo, governance, ma anche definire quali sono le architetture infrastrutturali ed applicative in chiave cloud più favorevoli. Con il paradigma cloud al centro e la resilienza infrastrutturale che incontra quella applicativa grazie all’interoperabilità anche dei propri servizi con quelli di terze parti (sulla base di un modello Api first)”.
La strategia di Red Hat prevede la disponibilità di una piattaforma moderna basata su container, in grado di ospitare anche le virtual machine ma soprattutto di disaccoppiare l’aspetto infrastrutturale sottostante da quello applicativo per cui le app possono essere rilasciate su ogni diversa infrastruttura.
“Cercare di essere efficienti, in un contesto complesso come quello delle architetture edge to cloud attuali, richiede di automatizzare, ed i rilasci di Red Hat Summit si collocano su questo crocevia”, prosegue Galli. In questa direzione va, per esempio l’estensione della platform Red Hat Openshift verso la parte AI, ma anche l’attenzione per l’ambiente di lavoro degli sviluppatori e la parte di automazione. A partire proprio da questo ultimo punto, l’automazione, Red Hat punta all’unificazione dei processi sulla base di un’unica piattaforma – Ansible Automation Platform – per cui Red Hat assembla e pacchettizza le tecnologie ritenute pronte che in questo caso particolare riguardano l’estensione del concetto di automazione verso i modelli “event-drive”, con un motore di regole che una volta ricevuto l’evento e processato sulla base delle regole stesse, prende una decisione ed esegue l’azione necessaria.
Ansible Lightspeed ora utilizza Ibm Watson Code Assistant per aiutare le persone che gestiscono le infrastrutture, che non sono sviluppatori, e tuttavia lavorano sempre più in ambienti Infrastructure-as-Code (Iac), attraverso la capacità di interpretare le richieste anche in linguaggio naturale per generare il codice di automazione necessario.
Red Hat inoltre lavora sulla possibilità di “istruire logiche” con Ansible Lightspeed sulla base degli asset specifici dei clienti.
Per la parte Red Hat Openshift, salendo nello stack – ed approdando quindi proprio alla platform che disaccoppia componente infrastrutturale da componente applicativa – “ora la componente di AI permette alle aziende di beneficiare anche on-prem di un’infrastruttura per consentire ai data scientist di generare algoritmi AI e ML, fare attività di training e quindi il deployment dove è necessario (in cloud, come all’edge)”.
Per chi utilizza la platform è fondamentale consentire alle persone che sviluppano e a chi le coordina una gestione efficiente dell’ambiente di lavoro/sviluppo. L’idea di Red Hat per le Internal Development Platform (Idp) è quella di predisporre un unico punto di accesso con tutti i plugin necessari in modalità self-service per conoscere subito quale sia l’ambiente in cui bisogna sviluppare, dove si debba rilasciare il codice, il framework di riferimento, etc.. Idea incarnata, nel concreto, a partire dalla proposizione Backstage.io per offrire una singola interfaccia e migliorare la qualità dell’esperienza degli sviluppatori. Red Hat Developer Hub, la pacchettizzazione dell’idea, si integra sia con le tecnologie open source di altri vendor sia con quelle specifiche Red Hat. E con Red Hat Service Interconnect, si propone invece connettività semplificata tra le applicazioni che girano su vari cluster negli ambienti containerizzati, utilissima in fase di testing, saltando una serie di configurazioni.
Gli investimenti di Red Hat per avere la disponibilità delle tecnologie on-prem anche nel public cloud consente a Galli di toccare uno degli ultimi “update”. Ora le aziende anche meno strutturate che non riescono a creare cicli di sviluppo e pipeline di rilascio ad hoc, su misura, possono beneficiare di un servizio SaaS basato su tecnologie Red Hat che permette di avere pronto all’uso un servizio per consentire alle persone di sviluppare, verificando la sicurezza del codice, potendo rilasciarlo in ambiente di test, di produzione e poi fare attività di monitoring. Chiude Galli: “Guardare allo sviluppo delle tecnologie più innovative cloud native, aiutare i clienti ad utilizzarle, e fare in modo che siano utilizzabili anche on-prem come in cloud, in modalità As-a-Service, restano centrali nella strategia”.
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