La global minimum tax è stata oggetto di dibattito questa settimana. Dall’11 settembre al 1 ottobre, per 20 giorni, il ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) ha messo in consultazione lo schema di decreto legislativo della global minimum tax (o imposta globale minima), voluta a livello internazionale per attuare il livello di imposizione fiscale minimo per i gruppi di imprese multinazionali e nazionali di rilevanti dimensioni. Dal 2024.

Una tassa che riguarderà quelle imprese che hanno un fatturato superiore ai 750 milioni di euro all’anno (consolidato in almeno 2 dei 4 esercizi precedenti), e che pagano oggi un’imposta sul reddito inferiore al 15%. Recependo alcuni accorgimenti approvati a livello internazionale: l’estensione della disciplina ai gruppi nazionali e l’imposizione integrativa per tutte le imprese localizzate in uno Stato membro a bassa imposizione fiscale (incluse le controllanti di capogruppo).

Un provvedimento arrivato dopo anni di confronto (avviato nel 2013) e condiviso da Ocse e G20 (firmato da 137 Paesi al mondo), che spinge l’attuazione di una riforma fiscale internazionale “concepita per colmare le principali lacune presenti nelle normative interne ed internazionali ed eliminare le asimmetrie generate dall’interazione dei singoli ordinamenti tributari” recita il documento, che consentirà di ridurre le distorsioni dovute ai differenti livelli di tassazione nei vari paesi senza invogliare grandi aziende ad aprire i propri quartier generali in paesi con tassazione più agevolata.

Le molte big tech americane, ad esempio, che hanno scelto l’Irlanda come paese per aprire la sede fiscale negli anni, versano oggi solo il 12,5% di tasse sull’utile raccolto. Con la nuova imposta internazionale, le aziende interessate saranno soggette a un’aliquota fiscale effettiva (Afe) minima del 15% sui loro profitti realizzati in ogni Paese in cui operano, anche laddove sono presenti con filiali locali.

Stando agli ultimi dati dei bilanci del 2021, il fatturato delle Big Five del Web in Italia è stato pari a 8,3 miliardi di euro, ma a fronte di questi ricavi le tasse pagate al fisco italiano sono state di appena 150 milioni di euro. Secondo un recente studio di Mediobanca – che ha preso in considerazione 15 colossi mondiali del Web e del software con filiali nel nostro Paese – nel triennio 2019-2021 le più importanti multinazionali dell’high-tech sono riuscite a non pagare in Italia tasse dovute per 36,3 miliardi di euro grazie allo spostamento del fatturato delle controllate italiane in Paesi dove le aliquote fiscali erano più agevolate. Un ammanco notevole. Dallo studio: in Italia nel 2019 Amazon ha pagato tasse per 6 milioni, Microsoft per 16,5 milioni, Google per 4,7 milioni, Oracle per 3,2 milioni, Facebook per 1,7 milioni.

“La globalizzazione e la digitalizzazione dell’economia, con la capacità delle imprese multinazionali di modificare rapidamente il proprio modello di business, hanno reso necessario rivedere le regole di imposizione internazionale per allocare in maniera adeguata i diritti di imposizione dei profitti delle imprese digitali e prevenire erosione delle basi imponibili e spostamento degli utili nelle giurisdizioni a bassa imposizione” ribadisce il documento di presentazione dello schema legislativo che prevede l’imposizione integrativa attraverso tre tipi di imposte definite in base agli investimenti fatti nel paese e al costo del lavoro (imposta minima integrativa, imposta minima suppletiva, imposta minima nazionale) con trattamenti di favore solo per le aziende che hanno stabilimenti produttivi in Italia.

L’approccio seguito nella stesura del testo dal Mef – 52 articoli suddivisi in nove capitoli -, risponde alle tre seguenti priorità: implementare una normativa strettamente aderente alla direttiva europea, definire una struttura che recepisce le disposizioni unionali ma con rinvii ad una normativa secondaria per gli aspetti applicativi, utilizzare un linguaggio più aderente alla prassi legislativa italiana.

La global minimum tax sarà inserita all’interno del sistema fiscale italiano a partire dal 2024 (voluta dal Consiglio dei ministri lo scorso 14 dicembre con decreto delega di riforma del fisco) previa il recepimento dei suggerimenti raccolti dalla consultazione pubblica che chiama in causa la partecipazione attiva di operatori economici, associazioni di categoria, ordini professionali e esperti in materia.  Potranno inviare osservazioni e commenti sullo schema di decreto legislativo entro il 1 ottobre, seguendo le istruzioni fornite dal dipartimento delle Finanze l’11 settembre 2023. Ribadisce il documento: “L’obiettivo delle regole GloBE è quello di assicurare un livello di parità concorrenziale tra imprese a livello globale, fermare la corsa al ribasso delle aliquote d’imposta e promuovere efficienti decisioni di investimento e localizzazione delle attività d’impresa”.
Il governo punta a incassare 3 miliardi di euro con la nuova tassa. A oggi i versamenti del 2023 (riferiti all’anno di imposta 2022 e riportati dal Mef lo scorso luglio) scaturiti dalla digital tax” – l’imposta sui servizi digitali introdotta dalla legge di Bilancio 2019 che prevedeva un tassazione del 3% del fatturato – sono stati pari a 390 milioni di euro, in crescita di 92 milioni (+30,9%) rispetto a quelli del 2022. Ma sempre ridotti.

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