E’ un passo fondamentale il primo accordo raggiunto dal G7 dei ministri delle finanze radunati a Londra la scorsa settimana che – insieme ai rappresentanti del Fondo monetario internazionale, della Banca mondiale e dell’Ocse – hanno approvato un documento per tassare i profitti di impresa delle multinazionali, tra le quali anche i giganti del web di cui quotidianamente parliamo. Per fare fronte a quella disparità data dagli enormi vantaggi fiscali di cui le multinazionali (di qualsiasi settore) beneficiano, che permette loro di pagare le tasse non nei Paesi in cui fanno fatturato e profitto, ma laddove risiede la loro sede fiscale, spesso in paradisi detassati. Un tema serio e sentito da un decennio a questa parte.

L’accordo raggiunto dai ministri al G7 Finance (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Canada, Italia e Giappone) poggia su due pilastri: la riallocazione dei profitti e la tassazione minima.

1 – La prima implica che le più grandi e profittevoli multinazionali saranno tenute a pagare le tasse nei Paesi in cui operano e non solo dove hanno il loro quartier generale. Si tratta delle aziende con un margine di profitto di almeno il 10%. L’accordo prevede che il 20% degli utili, superiori alla soglia del 10% di margine, sarà soggetto alla tassazione minima, redistribuita nei Paesi in cui la multinazionale vende bene e servizi.

2- La seconda che l’aliquota minima sarà del 15%, ridistribuita poi Paese per Paese.

Un accordo importante che verrà portato in discussione al G20 del prossimo mese a Venezia (8-11 luglio), ma che pone le basi per una intesa più allargata sulla stesura di una Global Corporate Tax.

G7 Finance
I ministri delle finanze al G7 Finance di Londra con i rappresentanti di Fmi, Banca Mondiale, Ocse.

A luglio, bisognerà convincere i 13 Paesi non facenti parte del G7 dell’importanza di questa tassazione, e della definizione dei tempi certi per la sua entrata in vigore, mettendo d’accordo in primis Europa e Stati Uniti, quest’ultimi neo sostenitori nell’era Biden dell’importanza di trovare una aliquota globale da applicare ai profitti di impresa (“un cambio di politica dell’amministrazione statunitense dopo i dazi di Trump, voluta in primis da Janet Yellen, segretaria del Tesoro Usa”, Paolo Gentiloni, commissario europeo all’Economia) ma anche di capire se l’accordo pensato dai G7 potrebbe impattare sulle decisioni già prese nei vari Paesi europei in materia di Digital Tax, per tassare i giganti del web (secondo Vittorio Colao, ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale, intervenuto al Festival dell’economia di Trento, la web tax locale non servirà più quando verrà approvata quella stabilita dal G7, dello stesso parere Daniele Franco, ministro dell’economia, stimando un paio d’anni per l’entrata in vigore della nuova tassazione).

Aziende quali Facebook, Amazon, Google, Microsoft hanno visto salire alle stelle i loro fatturati e i profitti durante l’anno della pandemia ma sfruttando il meccanismo della domiciliazione legale diversa da quella in cui raccolgono fatturati hanno poco contribuito alle economie locali. Anche laddove in vigore la Digital Tax: in Italia, per esempio, la web tax introdotta dal gennaio 2020 ha portato per ora nel suo primo anno 233 milioni di euro nelle casse dello stato (fonte Sole24ore), calcolata con una aliquota del 3% sui ricavi tassabili delle grandi imprese web con almeno 750 milioni di euro di fatturato e 5,5 milioni da servizi realizzati in Italia. Il nuovo accordo del G7 porterebbe nelle sole casse del fisco italiano 2,7 miliardi di euro se andasse in porto. Per l’Italia sarebbe vantaggioso, ma c’è chi invoca per la grandi multinazionale una tassazione più alta (fino al 25%) reputando il 15% un tetto troppo basso. “È ora che alcune delle economie più potenti del mondo costringano le multinazionali, compresi i giganti della tecnologia e della farmaceutica, a pagare la loro giusta quota di tasse – ha commentato Gabriela Bucher, Ceo della onlus Oxfam International (Oxford committee for Famine Relief) -. L’aliquota minima globale di appena il 15% è troppo bassa, simile alle aliquote agevolate praticate da paradisi fiscali come Irlanda, Svizzera e Singapore, che le aziende possono facilmente scavalcare”.

Una coincidenza imbarazzante: la decisione dei ministri economici del G7 arriva nella settimana in cui Microsoft è stata al centro delle cronache non tanto per gli annunci di Satya Nadella alla Build 2021 degli scorsi giorni o per il nuovo Windows in arrivo il 24 giugno, ma per le zero tasse pagate in Irlanda dalla filiale locale di Microsoft (Round Island One Limited) che gestisce e riscuote le licenze di Microsoft a livello mondiale, con domicilio fiscale alle Bermuda. Un giochetto che le ha permesso di non pagare in Irlanda neanche un euro di tasse sui 315 miliardi di euro di profitto annuo. Si parla tanto di sostenibilità, NextGenEu, impegno per finanziare la ripartenza post emergenza Covid, pubblico e privato. Poi queste notizie.

Per il cancelliere inglese Rishi Sunak, l’accordo raggiunto dal G7 sulla tassazione minima delle multinazionali è “storico”. Favorevoli anche Google e Facebook, consapevoli che in gioco ci sono oltre che i loro interessi (preservati dalle crescite di fatturato a doppia cifra) anche quelli della collettività. “Vogliamo che la riforma della tassazione internazionale abbia successo e riconosciamo che potrebbe significare un carico fiscale maggiore per Facebook, e in diversi Paesi” ha affermato Nick Clegg, vicepresidente affari globali di Facebook (fonte Ansa) mentre un portavoce di Google (fonte Sky News) ha fatto sapere che il gruppo è “fortemente a favore dell’iniziativa” e spera in un accordo finale “bilanciato e durevole“.

Fondamentale che l’accordo del G7 Finance venga approvato dall’Ocse e portato davanti al G20, previa la verifica che le soglie stabilite non taglino fuori dall’obbligo di tassazione multinazionali potenti, con altre escamotage.

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