Continua a crescere il divario tra le competenze Ict che il mercato richiede e la disponibilità effettiva. Soprattutto, e questo è ancora più grave, il sistema formativo non sembra in grado di rispondere con la reattività necessaria alle esigenze delle imprese e mancano politiche pubbliche incisive e tempestive per ridurre e rimediare al mismatch. Lo dicono i numeri dell’Osservatorio sulle Competenze Digitali 2023, realizzato da Aica, Anitec-Assinform e Assintel, in collaborazione con Talents Venture.
La fotografia delinea uno scenario non in contraddizione con quello europeo, ma in Italia certo dalle tinte più ‘fosche’. Sì, perché negli ultimi anni la domanda di professionisti Ict, esercitata dalle imprese tramite Web, è passata dai 453mila annunci online di gennaio 2019 ad oltre 1,3 milioni di febbraio 2023 (fonte: Osservatorio Talents Venture su dati Lightcast). Prendendo come riferimento solo il 2022 e l’Italia sono appena 44mila i professionisti che università, scuole superiori e Its sono riusciti ad immettere sul mercato, mentre erano ben 219mila gli annunci pubblicati online per il recruitment. E tra 2019 e 2023 gli annunci sono cresciuti del 116%.
Il bisogno e le macro-evidenze
La sintesi numerica porta a valutare per il 2022 una carenza di circa 175mila professionisti specializzati in materie Ict. Significa che per ogni cinque annunci di lavoro pubblicati sul Web per profili Ict, solo uno profilo veniva inserito nel mercato del lavoro da parte del sistema formativo italiano.“La trasformazione digitale è un processo continuo e veloce, che deve coinvolgere imprese, PA e ciascuno di noi. Mettere le persone al centro vuol dire prima di tutto garantirne non solo l’occupabilità presente e futura, ma anche la qualità, puntando sullo sviluppo delle competenze digitali”, commenta quindi Marco Gay, presidente di Anitec-Assinform.
Sviluppatori software ed esperti di ingegneria delle reti e dei sistemi sono le figure più richieste. Sono ben 60 però, complessivamente, le professionalità ricercate, con gli sviluppatori di applicazioni, front-end e Java che da soli rappresentano il 40% del segmento, e cloud architect e system engineering il 20%.
Le competenze più richieste riguardano quindi linguaggi di programmazione e cloud e l’analisi approfondita sul tema evidenza tre indirizzi chiave.
Il primo riguarda il bisogno nei profili Ict di skill trasversali di project management una nota che evidenza il bisogno di competenze tecniche strettamente digitali sì, ma anche capacità manageriali per seguire le diverse fasi di un progetto ed essere in grado di inserirsi nei processi aziendali in autonomia.
Bisogna poi guardare con attenzione ad un mercato in continua evoluzione. L’intelligenza artificiale generativa, per esempio, richiede competenze specifiche e a partire da novembre 2022 si è generato un hype negli Stati Uniti e nell’Unione Europea che ora si riflette anche nel nostro Paese.
Accanto a questi indirizzi però, resta da soddisfare anche un alto bisogno di competenze di base. Non è un caso che in Italia l’11% degli annunci di lavoro abbia ancora bisogno di specificare un utilizzo di base della suite Office, con particolare enfasi sulle competenze relative ai fogli di calcolo. Un tratto, questo, eredità di una scarsa alfabetizzazione che l’Italia si trascina di fatto dal secolo scorso.
A ‘sentire’ lo skill shortage come un problema sono soprattutto le grandi aziende del mondo tech, tra cui Amazon, Ibm e Accenture, ma si sa come in Italia a ‘faticare’ ancora di più nel reperire i profili adeguati siano le piccole e medie imprese – ed anche la microimpresa. Ricordiamo in proposito che delle oltre 100mila imprese attive nei settori digital italiani, il 94% conta meno di 10 dipendenti (fonte: rielaborazione Osservatorio Talents Venture su dati Istat).
I limiti del sistema formativo
“L’Italia continua ad avere una posizione svantaggiata sulle competenze digitali, ed è un gap che si riflette nel mondo delle imprese – così Paola Generali, presidente di Assintel, chiosa la situazione attuale rilanciando per un impegno condiviso -. Serve un deciso intervento delle Istituzioni su tre fronti: la sensibilizzazione culturale alle discipline Stem ]…[ il potenziamento degli Its e una stretta partnership di indirizzo e di docenza fra le università e le aziende del Made in Italy digitale presenti sul territorio”.
A fronte di un bisogno non soddisfatto, l’analisi di dove è importante intervenire deve essere infatti segmentata a seconda del livello di formazione. Partiamo quindi dalle università. In Italia i corsi su materie Ict crescono di numero ma sono sempre appena il 7% della proposta formativa complessiva, e soprattutto immettono sul mercato poco più di 9mila laureati in un anno. Un numero che corrisponde ad appena il 5% dei 190mila candidati immessi dal sistema universitario (fonte: Osservatorio Talents Venture su dati Mur). Si aggiunge anche il gender gap alle criticità. Infatti meno di un laureato su quattro in materie Ict è donna. Il settore dove più alta è la criticità da questo punto di vista è la laurea magistrale in sicurezza informatica dove le donne laureate sono appena il 6%.
Il secondo pilastro formativo, le Its Academy, sono semplicemente troppo poche. Nel comparto Ict se ne contano solo 19, pochi i diplomati (fonte: Osservatorio Talents Venture su dati Indire). Da una parte quindi bisogna promuovere la conoscenza degli Its perché appena il 18% degli studenti di IV e V superiore è a conoscenza dell’offerta Academy.
Infine, per quanto riguarda la preparazione offerta dalle scuole superiori. In questo terzo segmento si apprezza il trend di crescita costante del numero di indirizzi volti a formare futuri professionisti Ict, anche se la percentuale complessiva di indirizzi Ict rispetto al totale è di fatto invariata. I diplomandi pronti per il mercato sono circa 34mila, pur considerando in senso ‘esteso’ il segmento formativo appartenente al settore. Sono troppo pochi, se si pensa che il numero corrisponde a quello di otto anni fa (causa anche il calo demografico).
La risposta del sistema formativo che rivela carenze ed è poco reattiva ai bisogni mostrati è in parte compensata dal generarsi di ulteriori segmenti di proposta, appannaggio per lo più dell’iniziativa privata. Per esempio, con i bootcamp, gli enti privati offrono percorsi di studio di durata tra i 3 e i 9 mesi, soprattutto attraverso la didattica online, in particolare su sviluppo Web, analisi dati, marketing digitale e coding, mentre le academy aziendali riguardano la formazione erogata direttamente dalle aziende per coltivare talenti freschi di onboarding, di solito post-laurea, così da favorire processi di upskilling e reskilling.
Dove indirizzare gli sforzi
“Insieme, imprese e istituzioni devono collaborare per una scuola che prepari i giovani alle sfide del lavoro e per soluzioni di upskilling e reskilling adeguate ai fabbisogni delle aziende ed all’evoluzione del mercato – riprende Marco Gay-. C’è bisogno di una strategia ampia che includa academy, università, Its e istituzioni scolastiche per offrire formazione di qualità, diffusa e a prova di futuro”.
Serve un’azione su più fronti quindi: da una parte riformare il sistema universitario e scolastico, per una formazione Ict accessibile e inclusiva; ma anche digitalizzare il mercato del lavoro, ripensare gli schemi di apprendistato e dei dottorati industriali, puntare molto di più su upskilling e reskilling della forza lavoro attuale anche perché nel frattempo scompaiono tante professioni, si allungano i tempi di ‘permanenza’ (più o meno forzata) nel mondo del lavoro e cresce il bisogno di un “ecosistema digitale”, che ha bisogno di imprenditorialità Ict e di network collaborativi di filiera.
“]…[ È centrale ribadire l’importanza delle certificazioni digitali e sensibilizzare le imprese a riconoscerne il valore, elemento che ha un significativo impatto su tutto il sistema produttivo italiano. Tra questi aspetti, è anche fondamentale rendere disponibile e accessibile un’offerta formativa di qualità, attraverso il potenziamento della rete di centri Icdl presenti sul territorio italiano” vuole rimarcare Antonio Piva, presidente di Aica.
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