Sono i dati di una ricerca mondiale a dare una chiave di lettura diversa agli annunci che Ibm ha recentemente fatto a Boston
La ricerca è la 29esima edizione dell’Ibm Ceo Study, condotta da Ibm Institute for Business Value, su 3mila Ceo di 30 Paesi e 26 industrie, intervistati sui temi tecnologici di attualità, che confronta aspettative e timori di oggi con quelli passati.
L’evento è il Think, la convention madre degli annunci Ibm 2024 che la multinazionale americana declinerà nei vari Paesi nei prossimi mesi. In Italia attesa per ottobre. “E’ un momento chiave per chi lavora nell’IT ma anche per chi lavora in Ibm per soluzioni tecnologiche e servizi che si applicano all’interno dei vari mercati. Da 96 anni in Italia, clienti e partner sono coinvolti dalla nostra innovazione” commenta Stefano Rebattoni, presidente e amministratore delegato Ibm Italia incontrato recentemente negli Ibm Studios di piazza Gae Aulenti.
Partiamo dalla ricerca che si è focalizzata sulle sfide che i Ceo si trovano oggi ad affrontare, in un confronto con le evidenze del 2023. La domanda di fondo rimane la stessa: Come sfruttare innovazione e tecnologie per innovare i modelli di business e portare valore?
Prima evidenza. “Lo scorso anno la produttività e la gestione efficiente dei costi erano la priorità numero uno per i Ceo, mentre l’innovazione su prodotti e servizi si attestava solo al sesto posto – commenta Rebattoni -. Quest’anno l’innovazione balza al primo posto: E se tra le tecnologie abilitanti lo scorso anno si parlava di AI nella sua eccezione tradizionale e le tecnologie prioritarie erano altre (cloud e analytics), nel 2024 non c’è discussione: GenAI è la tecnologia su cui tutti i Ceo puntano per poter innovare il loro modello di business”.
Ma se c’è stata un’accelerazione, rimane anche nel 2024 una polarizzazione spinta tra chi sta investendo e chi no, tra chi sta sperimentando e misurando la crescita di nuovi modelli adottati anche a livello industriale e chi invece non osa. “La foto al 2026 andrà a mutare: la tecnologia evolve in maniera rapidissima e buona parte dei nostri clienti ha già manifestato l’intenzione di investire per scalare”, anticipa Rebattoni.
AI Next Chapter
Il taglio della ricerca mette in evidenza non tanto i benefici che “il nuovo capitolo AI” porterà nelle organizzazioni, ma le sfide che questa adozione dovrà gestire. A partire dal cambiamento culturale e organizzativo dell’intera azienda (“molto profondo se si vuole scalare l’uso di strumenti GenAI” precisa Rebattoni) che richiede una collaborazione trasversale nelle linee of business, dal finance alle operation, nel board e nei dipendenti.
Per passare dall’affidabilità necessaria richiesta ai nuovi tool di intelligenza artificiale (“La GenAI è una tecnologia rivoluzionaria, non tutte le GenAI sono uguali, e molti clienti vendono nella sicurezza e nell’affidabilità una condicio sine qua non per adottarla“) in una ottica di innovazione di prodotti che ragiona nel lungo periodo.
“Serve bilanciare le necessità di attivare azioni con ricadute a breve termine con quelle progettuali – continua Rebattoni -. Adottare l’AI è un percorso, anche in termini di sostenibilità, costi, governance, controllo dei nuovi strumenti. Se nel breve termine si può avviare un programma di trasformazione culturale e tecnologica, si deve essere consapevoli che la metamorfosi durerà anni, e richiederà anche una collaborazione pubblica e privata per generare un valore collettivo”.
Il 64% degli intervistati dalla ricerca afferma che il successo dell’AI generativa dipenderà più dalla capacità di adozione da parte delle persone che dalla tecnologia stessa, seppure il 61% sostiene che la spinta impressa all’organizzazione per adottare l’AI generativa è più rapida di quanto alcuni dipendenti siano disposti a fare.
Rimane centrale il tema della governance dell’AI: per più di due terzi (68%) deve essere stabilita nel momento in cui le soluzioni vengono progettate, piuttosto che dopo la loro implementazione (ma oggi solo il 39% dei Ceo sostiene di avere una buona governance dell’AI generativa). Un approccio che ricalca anche quello delle aziende italiane, dal momento che le risposte dei nostri Ceo riflettono quelle della ricerca globale, con una nota di attenzione per le aziende di medie e piccole dimensioni che si muovono a velocità diversa.
“E’ importante mettere l’accento sulla divisione tra grandi aziende e Pmi nel nostro paese – precisa Rebattoni -. In Italia 7 aziende enterprise su 10 hanno già lanciato progetti di GenAI e superato in molti casi la fase di pilot. Ma nelle Pmi le percentuali sono più basse, attorno al 20%. I motivi sono a volte culturali, molte realtà sono padronali e il cambiamento del modello di business solleva resistenza, innesca meccanismi di sfiducia nella tecnologia e nella governance, richiedendo una fase di accompagnamento”.
“La richiesta di aiuto è in aumento ma l’avvento della GenAI cambia anche il modo di fare consulenza – incalza Tiziana Tornaghi, managing partner Ibm Consulting Italia – dal momento che come impatta sulla workforce e cambia il modo in cui le persone lavorano, impatta anche sul lavoro consulenziale sia nei confronti delle grandi aziende sia delle piccole”.
Ed esemplifica: “Mi immagino un consulente che lavori al fianco di assistenti digitali per liberarsi di compiti meno nobili e trarre dall’AI insight e un nuovo modo di lavorare in un clima di fiducia. Grazie alla nostra piattaforma Ibm, basata sa Watsonx.ai, abbiamo tool per aumentare la produttività e assistenti digitali addestrati su dati proprietari di Ibm nel rispetto di criteri di sicurezza e di responsabilità, che aiutano noi consulenti a sviluppare più velocemente progetti e codice in collaborazione con il cliente, nella logica aperta che caratterizza il nostro ecosistema. L’esperienza ci dice che cosi guadagniamo dal 40 al 50% di produttività nelle nostre attività”.
Oggi Ibm conta 800mila consulenti formati su questi temi per utilizzare al meglio strumenti di AI, e grazie alla piattaforma Ibm SkillsBuild, forma personale interno ed esterno, con attività mirate, anche per accrescere le competenze nelle scuole. Stando alla ricerca il 40% dei Ceo intervistati prevede di assumere nuovo personale con l’avvento dell’AI generativa. Tuttavia, più della metà (53%) dichiara di essere già in difficoltà nel riuscire a ricoprire ruoli tecnologici chiave e che il 35% della loro forza lavoro avrà bisogno di riqualificarsi nei prossimi tre anni, rispetto al 6% del 2021.
“Il Ceo Study ci dice che la GenAI è leva fondamentale per aumentare la produttività – riprende Tornaghi – per questo Ibm adotta anche per l’AI il modello open source, condividendo in ottica aperta e trasparente i modelli Llm, con un approccio opposto ai modelli proprietari. Un approccio che applichiamo su noi stessi e quando siamo pronti lo portiamo ai clienti”.
Gli annunci di Think Boston
Per quanto riguarda le innovazioni di prodotto, gli annunci di Think Boston ruotano attorno a tre asset – GenAI, automation ed ecosistema – che spingono lo sviluppo di una community open source.
Come ribadito dal Ceo Arvind Krishna nel suo keynote di apertura: “Crediamo fermamente nel portare l’open innovation nell’AI. Vogliamo utilizzare il potenziale dell’open source per fare con l’AI ciò che è stato fatto con successo con Linux e OpenShift. Open significa scelta. Open significa avere più occhi sul codice, più menti sui problemi e più mani sulle soluzioni. Per far sì che una tecnologia si diffonda velocemente e capillarmente, è necessario bilanciare tre obiettivi: concorrenza, innovazione e sicurezza. L’open source è un ottimo modo per raggiungerli tutti e tre”.
Di passaggio in Italia è Sebastian Krause, senior vice president and chief revenue officer di Ibm a confermare l’approccio open innovation nell’AI e quanto la GenAI entri nella conversazione con tutti i clienti che valutano quali possano essere i ritorni sul business. “La nostra piattaforma di Gen AI, Watsonx annunciata nel maggio 2023, ha subito una evoluzione, grazie alle innovazioni introdotte nel nostro foundation model opensource, sul quale fa leva. Stiamo costruendo una infrastruttura, non solo focalizzata su modelli Llm, ma anche su use case”. Rilasciata a Boston la famiglia di modelli Ibm Granite in open source, tra cui i Code Llm più capaci ed efficienti, in grado di superare i larger code model in molti benchmark di settore.
In ambito automation, presentate nuove funzionalità di automazione e dati, che accelerano l’infusione dell’AI generativa negli assistant, nell’infrastruttura, nei prodotti di resource management e nei servizi di consulenza Ibm. Soluzioni disponibili nel marketplace.
Infine, ribadita l’attenzione per l’ecosistema, sia grazie al miglioramento del programma di canale con nuovi servizi, sia alle alleanze tecnologiche con Aws, Adobe, Meta, Microsoft, Mistral, Palo Alto Networks, Sap, Salesforce e Sdaia per ampliare le funzionalità e offrire scelta di modelli, flessibilità e governance attraverso Watsonx. “Tutte queste aziende usano le nostra capability nelle loro piattaforme e soluzioni”, precisa Krause.
Ai, percorsi simile al cloud
Una riflessione. “Vedo un’analogia tra quello che è stato il percorso nell’ambito del dialogo sul cloud e quello della GenAI – commenta Rebattoni -. Dieci anni fa il grosso del dibattito era quale piattaforma di public cloud scegliere, quale hyperscaler poteva essere migliore di altri. Noi abbiamo fatto una scelta di campo, non essendo un hyperscaler, verso un modello di cloud ibrido e multicloud. Oggi la discussione sul cloud è terminata, dal momento che l’architettura ibrida multicloud è quella confermata. Siamo stati pionieristici con l’acquisizione di Red Hat come piattaforma di orchestrazione di ambienti multicloud per aiutare i nostri clienti a gestire la complessità”. E continua: “In ambito GenAI credo assisteremo a uno sviluppo analogo, anche se il tutto avverrà a una velocità tre volte superiore. Il dibattito che stiamo avendo sui modelli Llm da qui a breve perderà senso. Il tema vero sarà come garantire una governance dei modelli. Aprirci al mondo opensource significa avere maggiore attenzione e più mani per una implementazione più rapida e efficiente“. Il 41% dei Ceo dichiara di essere disposto a sacrificare l’efficienza operativa per una maggiore innovazione. Tuttavia, la maggior parte dei Ceo indica l’attenzione ai risultati a breve termine come il principale ostacolo all’innovazione: oggi, solo il 36% sta finanziando i propri investimenti in AI generativa con nuove spese solo in IT, mentre il restante 64% sta riducendo le spese relative ad altra tecnologia.
Due laboratori per GenAI
Con Red Hat, Ibm ha recentemente annunciato InstructLab, una metodologia per promuovere l’innovazione open source intorno ai Llm, consentendo lo sviluppo continuo di modelli di base attraverso contributi incrementali costanti (come nel software open source). “Questo permette agli sviluppatori di costruire modelli specifici per i propri domini o settori di business con i propri dati, per percepire il valore diretto dell’AI – precisa Krause -. Ibm intende utilizzare questi contributi open source per consentire alle imprese di avvantaggiarsi della loro integrazione con Watsonx.ai e la nuova soluzione Red Hat Enterprise Linux AI”.
Cosi come è recente l’iniziativa di accompagnamento dei partner sul mondo GenAI . lanciata da Computer Gross che ha aperto un competence center dedicato all’AI generativa di Ibm per dare ai partner la possibilità di mostare i loro use case, creando una vera e propria rete di operatori per accompagnare le aziende in un percorso di adozione consapevole dell’IA a supporto del business..“Abbiamo un obiettivo ambizioso: vogliamo avere 100 partner entro 2024 su questa tecnologia”, conclude Rebattoni. Perché la modalità Bring Your Own Use Case può essere la chiave per avvicinare alla GenAI anche partner e aziende oggi più restie.
© RIPRODUZIONE RISERVATA