Il concetto di open innovation viene spesso frainteso. Lo si utilizza quando si parla di startup o hackathon, quando si organizzano concorsi di idee, ma in verità è un vero e proprio approccio culturale che richiede una reale apertura alle competenze esterne. Troppo spesso, infatti, le aziende utilizzano in modo superficiale questi strumenti, senza comprenderne appieno il potenziale.
Ecco che il whitepaper proposto da Cefriel distingue allora tra due approcci all’innovazione: un processo “push”, in cui le startup cercano di portare nuove soluzioni sul mercato, e un processo “pull”, in cui le aziende partono dall’analisi dei propri bisogni per trovare soluzioni efficaci. Questo secondo dovrebbe essere il fulcro dell’Open Innovation nelle imprese. Investire in startup può essere utile, ma deve essere parte di una strategia più ampia che miri a risolvere problemi specifici e migliorare le capacità aziendali.
Un altro punto critico riguarda l’importanza di una governance dell’innovazione ben strutturata e che poggi sulla valutazione delle competenze interne ed esterne. Cefriel in proposito ha sviluppato strumenti come l’Innovation Rating, che permette alle aziende di misurare il proprio livello di maturità in cinque aree chiave, dall’organizzazione alla tecnologia. Infine, bene ricordarlo: Open innovation richiede una visione chiara e condivisa all’interno dell’azienda e perché l’approccio abbia un impatto positivo e trasformativo può essere utile disegnare un percorso che sia adeguato alla propria organizzazione, e per farlo è possibile partire da modelli già esistenti integrandoli con il giusto mix funzionale agli obiettivi da raggiungere. Il whitepaper Cefriel spiega come.
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