Il dibattito sull’estensione del compenso per copia privata ai servizi cloud sta sollevando non poche perplessità, e non potrebbe essere altrimenti. L’idea – contenuta in una bozza di decreto ministeriale predisposto dal ministero della Cultura – di applicare a un servizio digitale, che rappresenta oggi la base della trasformazione delle imprese italiane, un meccanismo pensato decenni fa per cassette, CD o hard disk rischia di tradursi in un vero passo indietro per la digitalizzazione del Paese.

Facciamo un passo indietro per contestualizzare. L’equo compenso per copia privata è la somma che storicamente si applica sui supporti vergini, dispositivi di registrazione e memorie digitali, come CD, Dvd, chiavette Usb, hard disk, ovvero tutti quei dispositivi che permettono di effettuare copie ad uso privato di opere protette dal diritto d’autore. L’importo è incluso nel prezzo finale dei dispositivi e ad incassarlo è la Siae, che poi lo ripartisce tra autori, artisti e produttori. Per dare una misura dell’impatto di questa tassazione, secondo dati Siae la raccolta dei compensi per copia privata ha fruttato, nel 2024, 119 milioni di euro, e quella attesa per il 2025 è di 121 milioni di euro. Lo schema di decreto del Mic di cui parliamo, attualmente sottoposto a consultazione pubblica, prevede di aumentare questo contributo e di estenderlo anche ai servizi di cloud. Con un impatto potenzialmente dannoso per le imprese del digitale e per i consumatori finali.

Il cloud non è un supporto fisico. È un servizio che consente alle imprese e ai cittadini di archiviare, elaborare e condividere dati, e che nella quasi totalità dei casi viene usato per contenuti autoprodotti e per attività professionali. Le infrastrutture hardware che lo rendono possibile hanno già scontato il contributo al momento dell’acquisto: introdurre una nuova tassa equivale a un doppio prelievo che grava inutilmente su aziende e cittadini.

Ma il punto più critico riguarda l’impatto sul tessuto produttivo italiano. Le Pmi, che costituiscono la spina dorsale della nostra economia, stanno compiendo uno sforzo enorme per adottare strumenti digitali che garantiscano competitività, resilienza e sicurezza. Il cloud è la piattaforma abilitante per molte di queste sfide: dal backup alla compliance normativa, dalla cybersecurity all’elaborazione dei dati, fino alle applicazioni di intelligenza artificiale e big data. Tassare questi servizi significa colpire direttamente la capacità delle imprese di innovare.

I dati dell’Assintel Report 2024 lo confermano: il mercato Ict italiano ha raggiunto i 42,4 miliardi di euro, in crescita del 4,1%, e per il 2025 si prevede un’ulteriore espansione del 4,6%. La spinta arriva soprattutto dai servizi IT (+8,6%) e dal software (+4,6%), mentre cloud, intelligenza artificiale e big data sono riconosciuti come le leve più strategiche per la competitività. Le Pmi però segnalano ancora ostacoli rilevanti, come la scarsità di risorse economiche e la difficoltà a reperire competenze digitali: un contesto in cui introdurre nuovi oneri fiscali rischia di trasformare opportunità in freni alla crescita.

Non solo. Una misura di questo tipo è in aperta contraddizione con le stesse politiche nazionali ed europee che, attraverso il Pnrr e i programmi comunitari, incentivano la migrazione verso il cloud proprio come leva di crescita e modernizzazione. Mentre a Bruxelles si investono miliardi per accelerare l’adozione del digitale, in Italia rischiamo di introdurre un ostacolo burocratico ed economico che scoraggia le imprese dall’intraprendere questo percorso.

Il cloud è la base per costruire il futuro del Paese: caricarlo di oneri impropri significa non solo rallentare le imprese, ma minare alla radice la possibilità di cogliere le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale, dalla data economy e dalla sicurezza informatica.

Per questo rivolgiamo un appello chiaro al legislatore: eliminare qualsiasi ipotesi di tassa sul cloud e tutelare i servizi b2b, in modo da sostenere concretamente le imprese nel loro percorso di innovazione. L’Italia non può permettersi passi indietro: oggi più che mai abbiamo bisogno di politiche coerenti, coraggiose e orientate al futuro.

Paola Generali è presidente Assintel, associazione nazionale delle imprese Ict e digitali di Confcommercio

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