Rinnovarsi continuamente per stare al passo con lo sviluppo della tecnologia è la priorità sulla quale si concentrano oggi le aziende, facendo leva su innovazione, agilità e strategie. I Ceo riferiscono sui progressi nei processi di digital transformation e c’è pressione nel mostrarne i risultati.
Oggi l’importanza di rivedere i business plan investendo nel digitale è ormai ampiamente riconosciuta da parte delle aziende, ma non tutte queste riescono a ottenere i corrispondenti ritorni. Il fattore strategico differenziante si dimostra l’agilità.
E’ questo il tema analizzato da Workday nell’incontro milanese, un momento per approfondire lo scenario dell’evoluzione digitale partendo dallo studio “Agility for a changing world”.
Realizzato in collaborazione con Longitude a metà 2019, il sondaggio coinvolge circa 1.000 responsabili di 9 paesi (Italia inclusa) su 3 continenti, senior business leader di aziende di diversi settori, con funzioni di finance, IT, operation e HR.
Il digitale avanza ma…
Il 56% degli intervistati pensa che nei prossimi tre anni oltre la metà dei guadagni delle aziende provengono dallo sviluppo di strategie sul digitale. L’Italia è in linea con gli altri Paesi e mostra ottimismo generalizzato sulle capacità della propria azienda di cavalcare il cambiamento: il 53% delle organizzazioni italiane prevede infatti di trarre oltre il 50% dei ricavi dal digitale entro il 2022 (Francia 57%, Germania 55% e Regno Unito 53%).
Nel campione di chi pensa che il digitale sia strategico, solo il 25% ritiene però che la propria azienda abbia fatto reali significativi progressi. Emerge pertanto la necessità di un maggior cambiamento e capacità di adattamento, utilizzando la digital disrpuption come opportunità.
“Organisation agility” è il modello proposto da Workday, come mix tra “cultura verso il rischio per superare gli ostacoli, capacità di innovare e adattamento continuo”.
Lo descrive Pierre Gousset, vice presidente Emea di Workday: “Le imprese che danno priorità all’agilità e si attrezzano per raggiungerla ottengono risultati superiori sulla concorrenza, con probabilità dieci volte maggiori di reagire ai cambiamenti del mercato e di registrare una più elevata crescita dei ricavi. Un approccio digital-first con cui le aziende possono imporsi su quelle più tradizionali, rivoluzionando le loro industry dall’interno, studiando nuovi modelli per creare nuovi flussi”.
I pillar dell’agilità per Workday
Cosa devono fare le aziende per essere agili. “Servono una serie di capacità core per fare in modo che l’azienda possa reagire velocemente in risposta a nuovi business model o nuove tecnologie – continua Gousset -. Il cambiamento non riguarda solo la tecnologia per realizzare nuovi prodotti e servizi, ma impatta su molti altri fattori, a partire dalla forza lavoro e da una serie di strumenti e condotte da attuare per agire in modo rapido”.
Lo studio evidenzia in particolare cinque caratteristiche chiave che le aziende agili devono adottare, “una serie di metriche che saranno evidenti in futuro”, sottolinea Gousset elencandole.
La prima è la capacità di aggiornare i piani mentre vengono eseguiti, senza frizione e in modo veloce, perché la pianificazione deve essere fatta vicina al business in modo da imparare dai successi e non dai fallimenti e coinvolgere i vari stakeholders; seconda, la gestione di strutture e processi in modo fluido ed evolutivo verificando il capitale dell’azienda per fare in modo che le risorse e gli skill siano sempre allocati dove necessario, modificando se necessario i processi in corso d’esecuzione; terza, dare valore al talento perché tutta l’azienda inizi ad adeguarsi a nuovi skill, non solo hard ma anche soft, e sostenere la capacità delle persone di portare avanti questa cultura: quarta, enpower dei dipendenti e con un approccio democratico, perché bisogna fornire alle persone gli strumenti per fare crescere non solo l’azienda ma anche il loro percorso individuale; quinta, misurare l’impatto delle iniziative digitali e sviluppare dei tool per farlo.
La visione disruptive di Prysmian
Essere agili e guardare la tecnologia da un’altra prospettiva è l’ambizione digitale di Prysmian, testimoniata nel corso dell’evento da Stefano Brandinali, Group Cio e chief digital officer di Prysmian Group.
“In Prysmian Group l’approccio alla trasformazione digitale punta a far evolvere l’intera organizzazione con un coinvolgimento graduale e naturale di tutte le persone all’interno dell’azienda, con l’obiettivo di diventare sempre più agili”, dichiara Brandinali.
Orgoglio del made in Italy, Prysmian racconta 150 anni di innovazione e un posto di rilievo nel mercato: l’azienda è infatti riconosciuta come leader mondiale nella produzione di cavi complessi e fibra ottica, con dotazione di brevetti unici.
“Una storia antichissima ma allo stesso tempo giovane”, racconta Brandinali: l’azienda nasce nel 1869 come Pirelli Cavi, nel 2005 lo spinoff la rende autonoma e forte dell’expertise nella gomma; nel 2007 la quotatazione.
Da allora la crescita è costante, con un fatturato quadruplicato in 15 anni, che ammonta oggi a 12 miliardi di euro (esercizio 2019), 112 stabilimenti e 20mila dipendenti.
Un’azienda manifatturiera che opera nel b2b, non digitale quindi (i cavi sono hardware) ma che intorno al digitale costruisce la propria filosofia “non solo best practices ma next practices”. Per esempio con innovazione fisica sulla scienza dei materiali per dare valore aggiunto, o sensoristica per monetizzare il dato, digital e predictive quality, e in futuro agganciare l’AI per fare passi ulteriori.
“Fermiamoci di parlare solo di digital transformation – esorta Brandinali -, perché la sfida vera è trovare le strategie che colgano gli obiettivi di business e non solo tecnologici; la tecnologia è quasi secondaria. Se vogliamo ancora esserci nel 2030 dobbiamo iniziare a innovare adesso perché le tecnologie non durano più di 3 anni”.
Metafora del plancton
Il digitale non deve essere complesso ma deve entrare naturalmente a fare parte della nostra vita. Brandinali lo spiega con la metafora del plancton, termine da lui coniato per raccontare cosa la digital transformation deve rappresentare per le persone. Qualcosa di naturale, proprio come il plancton nel mare, che le nutre senza che queste se ne accorgano.
Un approccio che deve innescare desiderio di leadership imprenditoriale nelle persone dando loro la possibilità di provarci, essere democratica, portare pensiero divergente, guardare la tecnologia da un’altra prospettiva e creare cultura del dare e non del prendere (“la persona deve voler portare valore aggiunto in azienda, un atteggiamento fortunatamente più diffuso oggi tra i millennial”).
Un suggerimento di Brandinali: “Bisogna flirtare con le tecnologie, appassionarsi ad ognuna di queste ma non innamorarsi”. E un suo sogno: “un open source futuro che provi a condividere non solo il software ma anche le persone, con spostamenti tra le aziende a favore del progresso”.
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