In Italia, il digitale sta sostenendo la continuità delle attività di famiglie, imprese e istituzioni, affermandosi come leva essenziale per la tenuta economica in questa fase. Il nostro Paese ha recuperato in parte il gap digitale con altri mercati europei, dimostrandosi reattivo e resiliente, ma il settore richiede con urgenza un’accelerazione degli investimenti in infrastrutture. Un tema al centro del dibattito politico per la destinazione delle risorse del Recovery Fund, nel quadro del programma Next generation EU, che deve definire le priorità sui progetti di trasformazione digitale e sul rafforzamento delle infrastrutture di rete.
Sul tema della rete, la pandemia ha richiesto processi sempre più rapidi e digitalizzati a livello di telecomunicazioni. La risposta però non sempre è stata adeguata e ha messo in luce le criticità sul territorio. A rivelarlo è il nuovo report EY Digital Infrastructure Index che analizza il livello di efficienza e maturità delle infrastrutture digitali delle 107 province italiane, prendendo in considerazione sia la diffusione delle infrastrutture Tlc e broadband, sia il grado di digitalizzazione delle altre infrastrutture presenti sul territorio. Lo studio offre in particolare una visione dei fattori tecnologici abilitanti dello sviluppo e delle esigenze di investimento delle imprese, essenzialmente identificate in quattro ambiti: diffusione delle reti IoT e della sensoristica; capacità di elaborazione; capacità di storage; velocità di connessione alla rete.
Connettività disomogenea sul territorio
L’analisi di EY mette in luce una situazione estremamente disomogenea sul territorio italiano, con alcuni risultati inaspettati. Il bilancio in ogni caso non è confortante.
La prima evidenza è l’assenza di una spaccatura Nord-Sud e la presenza di troppi territori produttivi che soffrono di scarsa infrastrutturazione digitale. La “sofferenza digitale” è infatti trasversale, ovvero presente non solo al Sud (e in particolare in Sardegna, Sicilia e Calabria), ma anche al Nord (specie in Piemonte ma anche in Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia) e soprattutto al Centro (bassa Toscana, Lazio al di fuori di Roma, Marche e Abruzzo).
Spiccano alcune aree produttive, come le Marche e il Piemonte meridionale, particolarmente penalizzate dalla carenza di infrastrutture, e addirittura territori molto industrializzati del Veneto e in parte della Lombardia, caratterizzate da aree produttive disperse sul territorio provinciale, dove il livello di infrastrutturazione digitale non appare adeguato al potenziale industriale delle imprese presenti.
Emerge anche un diffuso ritardo della dorsale adriatica, che sconta una tradizionale minore priorità da parte degli operatori Tlc, e un sistema di utilities locali meno sviluppato rispetto al resto del Paese: Marche, Abruzzo, Molise, fino alla Puglia del Nord, sono infatti territori con indice di infrastrutturazione digitale di molto inferiore alla sufficienza.
Si evidenzia dunque una forte disomogeneità di territori anche molto vicini tra di loro e quasi ogni regione ha al proprio interno almeno un’area in forte ritardo. Fanno eccezione solo Emilia-Romagna, Umbria, Liguria e le piccole regioni alpine.
Nella classifica generale, meglio posizionate si trovano Genova, Milano, Roma, Bologna, Torino, Firenze, Napoli, La Spezia, Ferrara, Parma, Prato, Cagliari, Reggio Emilia, Modena, Monza e Brianza, Trento e Brescia. Tra le ultime Nuoro, Isernia, Macerata, Pesaro Urbino, Carbonia Iglesias, Crotone, Rovigo, Vibo Valentia, Enna e Fermo.
Filiere produttive
Anche il livello di infrastrutturazione digitale delle filiere produttive appare nel complesso disomogeneo. Sette filiere superano in questo contesto il valore medio nazionale e sono infatti quelle che stanno reagendo meglio alla pandemia. Si tratta di filiere come technology & telco e media & entertainment, ma anche farmaceutico e dispositivi medici, sulle quali incide l’alta concentrazione nei territori metropolitani del Nord e del Centro. Le filiere meno infrastrutturate sono invece l’agrifood e il retail food, che scontano la concentrazione nelle aree rurali, dove le infrastrutture digitali risultano meno diffuse.
Le principali città metropolitane, dove sia gli operatori Tlc sia le multiutility hanno investito, sono più avanti sia nella connettività sia nell’IoT. Un altro gruppo di territori di città medie è più avanzato nell’IoT e nella sensoristica rispetto alla connettività fissa e mobile: si tratta di province, prevalentemente del Nord – ma con significative presenze del Sud – Potenza, Lecce – e del Centro – Prato, Lucca, Arezzo, Perugia -, dove l’attuale ritardo nelle reti più avanzate Ftth e 5G è parzialmente compensato dagli investimenti delle utility locali, come se il sistema locale cercasse di sopperire al ritardo degli investimenti degli operatori Tlc nazionali.
EY, le cinque leve strategiche
Nell’ambito dell’analisi, EY individua anche i pillar sui quali l’Italia dovrebbe costruire gli interventi infrastrutturali, ovvero: reti, dati, cloud, sicurezza e competenze digitali.
Le infrastrutture di rete sono la risorsa strategica alla base dello sviluppo digitale del Paese per assicurare agli utenti un accesso trasparente e ubiquo ai servizi di rete. L’obiettivo di pervasività delle nuove reti richiede un complesso programma di sviluppo per la realizzazione di piani per la rete fissa e mobile per coprire circa 130.000 sedi della pubblica amministrazione, 4,8 milioni di sedi di imprese e 25 milioni di unità immobiliari residenziali sul territorio. L’Italia è tra i Paesi pionieri nella sperimentazione del 5G, con oltre il 10% di copertura, anche se la pandemia ha rallentato sensibilmente il processo di deployment. Le percentuali di copertura dei servizi Fthh si sono più che raddoppiate e nel corso del 2021 e del 2022, secondo analisi EY, saranno raggiunti valori ben oltre le medie europee attuali.
I dati rappresentano un fattore produttivo sempre più rilevante. L’elaborazione EY da dati Idc 2020, indica il valore potenziale della data economy per l’Italia in almeno del 2,8% del Pil, pari a 50 miliardi di euro. Ma allo stato attuale lo sfruttamento di questo potenziale non supera il 10% e non per la mancanza di dati (in Europa si producono circa 1 zettabyte di dati all’anno e l’Italia da sola ne produce circa il 20%) ma perché manca la trasformazione dei dati in valore. Questo mercato può rappresentare un volano per la ripresa delle aziende con investimenti mirati che sfruttino il potenziale sui dati presente in ogni settore, dall’industria al turismo, dalla mobilità delle persone alla logistica delle merci, dall’e-commerce ai servizi della PA.
Le tecnologie di cloud computing garantiscono l’accesso remoto a risorse hardware e software e si declinano in diverse architetture che rispondono a differenti requisiti a livello applicativo. Lo sviluppo delle infrastrutture di core cloud è interesse primario degli Ott, mentre l’edge cloud fa leva sulle risorse degli operatori e delle towerco che possono sfruttare asset quali centrali telefoniche e torri radio. Le opzioni tecnologiche vengono incontro alle diverse esigenze delle imprese che in funzione degli specifici requisiti di sicurezza e controllo dei dati possono adottare soluzioni multicloud (private, hybrid, pure cloud).
Il tema della sicurezza è oggi legato al digitale con il duplice obiettivo di garantire protezione da minacce cyber ai sistemi Ict e di assicurare la confidenzialità delle informazioni sensibili. Un tema, sottolinea EY, da affrontare sul piano nazionale ed europeo con l’obiettivo di recuperare la leadership sulle nuove tecnologie attraverso un attento governo delle nuove infrastrutture e dei relativi fornitori, valutando i rischi di sicurezza associati. La digital & cybersecurity compliance viaggia dunque sempre più di pari passo con le evoluzioni tecnologiche; occorre superare la logica della sicurezza come mero investimento e valorizzarla come mezzo per assicurarsi un vantaggio competitivo, evitare interruzioni di business e migliorare la resilienza dei propri sistemi.
La trasformazione digitale implica un cambiamento organizzativo per le imprese chiamate ad acquisire e sviluppare competenze digitali evolute per sfruttare le potenzialità di nuovi servizi e applicazioni. La pandemia ha accelerato nel lavoro l’utilizzo di questi strumenti informatici sostituendo la presenza fisica con il collegamento da remoto. Si fanno dunque strada nuove generazioni di lavoratori con competenze trasversali, che verranno a formarsi attraverso la capacità di migliorare tramite l’esperienza e di proiettarsi nel futuro, al fianco di un reskilling dinamico delle competenze verticali.
“È ormai assodato che l’Italia per il rilancio economico debba accelerare sulla digitalizzazione – commenta Andrea D’Acunto, Med Telco, Media & Technology leader di EY –, a partire dagli investimenti sulle infrastrutture digitali, che non si limitano solo a banda ultralarga e 5G, ma devono comprendere anche cloud computing, reti IoT e sensoristica. L’accelerazione deve avvenire sulla base dei bisogni delle imprese, con una definizione delle priorità che metta in relazione la localizzazione del sistema produttivo italiano con la diffusione delle infrastrutture digitali sul territorio. Parte del supporto economico agli investimenti digitali necessari ai territori che si trovano oggi in una condizione di gap infrastrutturale, può venire dal Recovery Fund e dal Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza, con le opportune differenze: nel caso delle Pmi per la modernizzazione dell’impresa, nel caso delle aziende più grandi per costruire o rafforzare l’ecosistema di filiera”.
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