Lo smart working si trova in una fase di transizione: da strumento emergenziale, a supporto della continuità operativa durante il primo lockdown, a elemento fondamentale per progredire verso modalità di lavoro più evolute, in linea con il modello di digital workplace.
La concretizzazione di questo passaggio dipende dalla maturità digitale delle aziende: le rilevazioni di NetConsulting cube, corroborate dai dati di Istat, consentono di stabilire se e quanto le imprese italiane si stiano dimostrando in grado di utilizzare in modo più avanzato strumenti e soluzione a supporto delle modalità di lavoro.
Smart working e priorità tecnologiche delle aziende italiane
Lo scoppio della pandemia da Covid-19 ha portato le aziende a rivedere le proprie priorità tecnologiche. All’interno delle agende dei Cio, ha fatto il suo ingresso l’esigenza di avviare e gestire iniziative di smart working per garantire la continuità operativa delle organizzazioni.
Per far fronte a questa necessità, i Cio hanno lavorato per mettere a disposizione dei propri dipendenti soluzioni e applicazioni specifiche nonché dispositivi hardware che gli consentissero di portare a termine in modo efficace le mansioni, a prescindere dal luogo di lavoro.
Ciò ha determinato, in prima battuta, un incremento nell’utilizzo del cloud che ha soddisfatto la domanda massiccia di risorse computazionali e permesso l’adozione da remoto delle soluzioni applicative. A questo proposito, è importante sottolineare che, secondo dati Istat, la percentuale di aziende italiane che utilizzano servizi cloud è aumentata, tra il 2018 e la fine del 2020, dal 23% al 59% del totale delle imprese.
Secondariamente, l’affermazione dello smart working ha anche portato ad una elevatissima domanda di connettività. I volumi di connettività sono aumentati in modo significativo tra il 2019 e il 2020.
Più in dettaglio, tra gennaio e dicembre 2020, la domanda di connettività su rete fissa, che nel 2019 si era attestata intorno ai 70 petabyte, è cresciuta di circa il 50% raggiungendo un valore di poco superiore ai 104 petabyte, con picchi non casualmente localizzati nei periodi di massima criticità, ovvero marzo-aprile 2020 e novembre-dicembre 2020.
Inoltre, si è assistito ad una rinnovata attenzione alla sicurezza e alla protezione dalle minacce, tematiche fondamentali in uno scenario in cui i perimetri aziendali sono sempre più aperti e la presenza delle imprese è distribuita su aree geografiche estese.
Il numero di attacchi, incidenti e violazioni della privacy che sono stati rilevati nel 2020, anche in questo caso soprattutto nei mesi di maggior difficoltà, giustificano il focus sul tema della cybersecurity.
Durante lo scorso anno, infatti, sono tante le aziende italiane che sono state colpite da attacchi alla loro sicurezza. Da sottolineare, a questo riguardo, che sono 5/6 le realtà di grandi dimensioni ad essere state vittime, nel 2020, di cyber attacchi con richieste di riscatto che hanno raggiunto anche i 15 milioni di euro pagabili in bitcoin.
Accelerazione e clusterizzazione digitale delle aziende italiane
La crescente diffusione dello smart working ha determinato non solo un aumento nell’adozione di soluzioni e strumenti abilitanti ma anche e soprattutto una concentrazione della domanda di queste componenti tecnologiche in tre cluster:
- il primo cluster, caratterizzato dalla maggiore incidenza sia pre sia post Covid-19, include tutte le soluzioni, anche infrastrutturali, a supporto dello sviluppo delle comunicazioni digitali;
- il secondo cluster coincide con l’ampia gamma di servizi cloud;
- il terzo cluster è costituito dai servizi digitali evoluti che vedono, nel cloud e nei tool di comunicazione, elementi abilitanti fondamentali. Si tratta di componenti a forte crescita: basti pensare che, secondo Istat, le aziende con presenza su web, di vario tipo, rappresentavano, nel 2019, il 34% del totale imprese e, a fine 2020, il 55%.
Le stime di Istat e le rilevazioni di NetConsulting cube evidenziano, quindi, l’avvio di un circolo positivo e virtuoso in cui l’interazione tra le varie componenti tecnologiche sta dando una spinta importante al raggiungimento dell’obiettivo, annunciato recentemente dal Ministro Vittorio Colao, di avere una “Italia connessa”.
Passaggio a strategie di digital workplace
In questa fase di transizione verso una digitalizzazione sempre più consapevole, lo smart working non va interpretato come strumento che ha esaurito il suo compito emergenziale.
Anzi, al contrario, in linea con la sua natura di killer application, la sua importanza è destinata a crescere per due motivi principali.
Il primo riguarda il numero elevatissimo di lavoratori che stanno ancora lavorando in smart working. Fonti giornalistiche stimano che nel nostro Paese il numero di lavoratori da remoto sia passato da 570.000 a fine 2019 a 6,6 milioni a marzo 2020 per stabilizzarsi su oltre 5 milioni a settembre 2020: è prevedibile che il numero di remote worker continuerà ad attestarsi intorno a questa cifra, corrispondente al 20-25% della forza lavoro complessiva in Italia, anche nel post emergenza.
Il secondo è riconducibile al fatto che le aziende stanno evolvendo da una percezione piuttosto elementare dello smart working ad un approccio più evoluto, di digital workplace, che coinvolge varie componenti tecnologiche, non solo quelle relative all’abilitazione operativa del lavoro.
Un’indagine di NetConsulting cube, svolta a maggio 2020, mostra quanto le imprese – anche nell’immediato post-lockdown – abbiano manifestato l’intenzione di implementare una strategia di digital workplace, intesa come fase 2 dello smart working.
Strategie di questo tipo richiedono un’attenzione su molteplici aspetti tecnologici che coinvolgono l’intera organizzazione: adozione di soluzioni di sicurezza, utilizzo di tool di modernizzazione applicativa, formulazione di policy condivise per l’accesso e l’utilizzo delle applicazioni, e tema estremamente importante focus sull’engagement dei dipendenti attraverso iniziative di formazione, ottimizzazione della user experience e miglioramento dell’accessibilità agli strumenti messi a disposizione.
L’affermazione del lavoro ibrido
Questo contesto enfatizza un elemento importante, ovvero la necessità di reimmaginare la forza lavoro postpandemica il cui ambiente lavorativo sarà sempre più ibrido, diviso tra casa e ufficio.
Nel fare questo, il necessario rinnovamento tecnologico dovrà essere accompagnato da molteplici elementi:
- la revisione complessiva strutturale dei processi aziendali;
- il cambio dei modelli di organizzazione del lavoro;
- la formazione delle competenze delle risorse in logica di upskilling e reskilling, visto che l’emergenza ha portato ad un aumento della platea degli utilizzatori non Ict di tecnologie;
- l’utilizzo di modelli di misurazione di performance e produttività del lavoro basati non più sui tempi ma sul raggiungimento degli obiettivi.
Questo mix virtuoso consentirà a questo nuovo modello lavorativo di diventare concretamente la killer application che indurrà le aziende italiane a fare un salto di scala nel loro livello di maturità digitale.
Tutto questo avrà un impatto significativo anche sull’organizzazione del territorio e delle città:
- dovrà avvenire una riconfigurazione degli spazi, soprattutto degli headquarter, destinati a diventare centri di servizio a supporto del lavoro decentrato;
- andranno rivisti i termini della mobilità urbana ed extraurbana;
- occorrerà ridefinire il ruolo dell’innovazione delle città in chiave di smart city in relazione all’incremento del peso delle cosiddette Zoom Town, come le definisce il Wall Street Journal, ovvero cittadine decentrate e addirittura borghi che in questo periodo sono stati ripopolati.
Si tratta di aspetti fondamentali che rappresentano il bacino al cui interno le aziende dovranno rivedere tutti i loro processi di organizzazione del lavoro basandosi sul modello di hybrid working.
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