Nel corso degli ultimi 18 mesi è cambiata la sensibilità su temi come il benessere e la giustizia sociale anche in relazione ai profondi cambiamenti vissuti dalle persone nel mondo del lavoro e nelle modalità operative. E su quelli specifici di equità, diversità ed inclusione è cresciuta la pressione sociale e la consapevolezza che, dopo il lungo periodo di crisi, ora il momento sia favorevole per cogliere le opportunità e fare tesoro delle lezioni apprese.
Ne sono consapevoli anche le aziende che maturano rispetto ad una cultura aziendale più attenta al benessere dei dipendenti, lasciando spazio alla speranza che nel prossimo futuro un più alto numero di organizzazioni sia pronto ad abbracciare strategie inclusive. Non si tratta solo di “sentiment” perché questo atteggiamento è confermato dai numeri dello studio Sapio Research per Workday.
Si tratta di un sondaggio condotto tra febbraio e marzo 2021, tra 2.217 professionisti (di cui 306 operativi in Italia) nelle risorse umane e leader aziendali con influenza sulla postura dell’organizzazione per quanto riguarda equità, diversità e inclusione (ED&I) nelle loro realtà, operative in 14 Paesi (Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Spagna, Svezia, Svizzera e UK) e nei settori IT/telecomunicazioni, industria, PA, finanza, servizi professionali, utility/energia, salute/farmaceutico, trasporto/logistica, retail, servizi creativi e altri.
Diversità e inclusione, la “sensibilità” delle aziende
I numeri dicono che sono effettivamente vivi nelle aziende questi temi, e vedono addirittura operativi team dedicati all’interno dei dipartimenti HR. Accade nel 33% delle organizzazioni, nell’80% delle quali si dispone di un budget per le iniziative ED&I (il 44% per progetti sia a lungo che a breve termine e il 23% solo per progetti a breve termine). Soprattutto è importante il dato per cui, in oltre 4 aziende su 10, si prevede di incrementare gli investimenti su questi temi per il prossimo anno, con obiettivi specifici per il 74% delle aziende.
Il punto di partenza, invece, non è così confortante: la diversity è riconosciuta e valorizzata in appena il 37% delle aziende del nostro Paese, anche se quasi 8 aziende su 10 affermano che essa sia riconosciuta come importante dalle leadership.
Un riconoscimento che pare per certi aspetti di convenienza tanto che, in questa percentuale, appena poco più del 40% delle figure di leadership esecutiva dichiara di considerare la diversity di vitale importanza per l’azienda.
Spiega quindi Federico Francini, country manager Workday Italia: “In questa ampia fotografia vediamo i progressi e l’impegno delle aziende nell’individuare la necessità di orientarsi verso realtà professionali attente all’equità, alla diversità e all’inclusione, ma anche chiare aree di miglioramento”. E non solo per quanto riguarda le sensibilità.
La tecnologia al servizio di ED&I
Oggi le iniziative ED&I sono indirizzate dal 98% delle aziende attraverso l’utilizzo della tecnologia, ma solo quattro su dieci la impiegano in modo continuativo.
Vengono svolti sondaggi sul sentiment per rilevare informazioni sulla percezione dell’appartenenza in azienda (43%), quattro aziende su dieci utilizzano strumenti per la gestione dei talenti, ma solo il 16% poi monitora l’effettivo engagement dei dipendenti e si adopera quindi per trattenerli. Ci sentiamo di sorridere, invece, al pensiero che da una parte non mancano i dati – il 78% del campione dichiara di averne abbastanza per gestire le iniziative ED&I, ed il 72% che essi siano parte dei sistemi HR – con addirittura quasi 9 aziende su 10 a disporre di report pronti per l’utilizzo da parte dei manager; dall’altra parte però solo il 17% misura l’effettivo impatto sul business di quei numeri e ne percepisce il valore.
Servirebbe quindi maggiore senso di leadership ed un impegno effettivo delle figure apicali per passare alle fasi successive. Vale per il 34% del campione, mentre anche il censimento dei dati, alla prova dei fatti, non si rivela del tutto semplice (lo è solo per il 38% delle realtà). Vengono monitorati età, disabilità, appartenenza di genere, etnia, orientamento sessuale. Di questi solo l’età (73%) e il sesso (68%) hanno maggiori probabilità di avere degli obiettivi legati alle prestazioni ma sono in linea con etnia, orientamento sessuale, orientamento religioso, disabilità, realtà socio-economica e stato civile.
Ecco che in questo contesto emerge il ruolo di Workday, così inquadrato da Francini: “Abbiamo un chief diversity officer e abbiamo chiaro il concetto, per questo motivo siamo Vibe, acronimo utilizzato per esprimere value, inclusion, belonging ed equity. Aiutiamo le aziende a capire, gestire e misurare la cultura aziendale con obiettivi precisi per ogni organizzazione]…[“. Si tratta di approcciare i valori di inclusione, appartenenza e riconoscimento delle diversità come elementi importanti del processo aziendale e vitale da integrare nelle strategie aziendali così come è vitale per il business il benessere dei dipendenti.
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