Un piano da 2,5 miliardi di euro per realizzare 14 data center dalla potenza di 50 megawatt ha ottenuto parere positivo dalla commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.
Si tratta di progetti dei principali fornitori di infrastrutture cloud intenzionati a costruire i propri data center soprattutto in Lombardia, una regione al centro dell’economia del paese ma che soffre di inquinamento atmosferico endemico, già sgridata per questo dall’Europa.
La commissione ha analizzato progetti di big tech americane come Aws e Microsoft, player locali come Aruba e Tim, aziende europee come Data4 o Equinix che potranno aprire i loro cantieri ricevuta l’autorizzazione che esprime parere tecnico-scientifico positivo sull’impatto ambientale in base ai consumi (emissioni, suolo, energia, acqua per raffreddamento) secondo linee guida che guardano e giudicano l’intero progetto, dal cantiere fino al ripristino ecologico delle zone interessate.
Linee guida che stabiliscono dove costruire (aree da riqualificare, dismesse, distanza dai centri abitati per tutelare la popolazione dalla presenza di generatori potenti e rumorosi), come costruire (autoproduzione di energia, impianti rinnovabili), quali i parametri di sostenibilità. Bene.
Ed è qui che sorge la domanda. Dato il trend avviato, il legame irreversibile tra l’energivora intelligenza artificiale e le infrastrutture di data center, le energie rinnovabili patrimonio del nostro Sud non potrebbero essere un motore di sviluppo anche per aprire data center in altre regioni d’Italia? Dei 14 data center, 13 sono in Lombardia, uno solo nel tecnopolo tiburtino (Lazio). Come bilanciare? Gli esperti sostengono la necessità di una maggiore ridistribuzione, ma poco ascoltati. Anche l’Anci, l’associazione nazionale dei comuni italiani, sta sensibilizzando sul tema le comunità che rimangono fondamentali. Succede anche oltreoceano: nel Wisconsin, a inizio mese Microsoft ha abbandonato il progetto di costruire un nuovo data center a Caledonia (formato da tre grandi edifici su 244 acri di terreno agricolo più un’area adiacente alla centrale elettrica) a seguito delle proteste dei cittadini e delle autorità locali, non cancellando il progetto ma posizionandolo su aree più idonee. Si può fare.
PS: Passateci un secondo dubbio. Cosa succederà ai data center esistenti che non rispettano i dettami ambientali? Perché l’autorizzazione sull’impatto ambientale spesso viene richiesta anche postuma, una volta che i data center sono stati realizzati in base a permessi di amministrazioni locali non armonizzati con le normative europee. Solo alcuni comuni italiani hanno apportato modifiche al piano territoriale provinciale (come la Città Metropolitana di Milano). Sul tavolo del Ministero dell’Ambiente oggi l’iter per armonizzare il processo autorizzativo dei data center. Vediamo dove porta.
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