Gatte da pelare. Passata la metà di gennaio, arrivano i primi dati sulla fatturazione elettronica e si guarda con attenzione al tema della Web Tax e all’incognita Brexit. Cosa succederà alle imprese italiane? Numeri e dubbi, con l’aiuto di esperti.
Parliamo di e-fattura, con i dati ufficializzati dall’Agenzia delle Entrate dopo le prime due settimane di obbligo di fatturazione elettronica tra privati: 34 milioni di documenti registrati sul Sistema di Interscambio (SdI) da oltre 580.000 operatori, con una percentuale di errore nelle procedure scesa al 5,6% dal 7,3% in pochi giorni. L’e-fattura inizia a funzionare, anche se Assosoftware, l’associazione nazionale dei produttori di software gestionale e fiscale, palesa alcuni dubbi interpretativi su specifiche casistiche.
Parliamo di Web Tax con il nostro avvocato, dal momento che la legge di bilancio 2019 introduce nuovi criteri economici e delinea meglio i settori del digitale interessati. L’applicazione della tassa riguarderebbe esclusivamente i guadagni delle imprese con un fatturato complessivo non inferiore a 750 milioni di euro all’anno (di cui almeno 5,5 milioni derivanti dalla vendita di servizi digitali in Italia, con 3000 transazioni). Una buona notizia per le aziende italiane che da poco investono nel digitale ma restano aperti ancora interrogativi che richiedono una discussione e un’adozione condivisa a livello comunitario, se non internazionale.
Parliamo di Brexit con le stime di Duff & Phelps, sull’impatto di una possibile Hard Brexit sulle imprese italiane che potrebbero vedere ridotto l’ammontare dell’export dell’Italia verso il Regno Unito (nel medio periodo) di un importo compreso tra un terzo e la metà del giro d’affari di oggi, per un valore che oscilla tra 7,5 e 11 miliardi di euro annui. Un freno che colpirebbe in particolare le aziende italiane di macchinari e apparecchiature (13,4%), autoveicoli (11,3%), prodotti alimentari (8,7%), abbigliamento (6,7%).
Numeri, ai quali si affiancano quelli dell’Istat rilasciati in questi giorni: solo 3 imprese su 10 hanno investito in progetti tecnologici nel biennio 2016-2017, e un numero analogo di aziende sarà quello che investirà nel biennio 2018-2019 valutando positivamente agevolazioni, finanziamenti, incentivi fiscali, ma anche infrastrutture e connessioni in banda ultra larga (il report completo). Strategico sarà il consolidamento di competenze tecnologiche attraverso la formazione degli addetti in azienda (crescono dal 12,9% al 16,9% le imprese che investono in competenze digitali) ma permane il divario tra piccole e grandi imprese soprattutto per la presenza di specialisti ICT.
Andamenti che delineano come ogni paese sia alle prese costantemente con politiche, normative, sforzi e arretratezze interne, ma come nei legislatori e nelle associazione stia crescendo la consapevolezza che il confronto oltre confine non solo sia necessario ma sia di stimolo per migliorare e controllare.
Basti guardare alla multa record da 50 milioni di euro che oggi l’Authority francese della privacy (CNIL) ha inflitto a Google per aver violato alcuni obblighi dettati dal GDPR, comminando di fatto la prima sanzione ufficiale alla big tech nel quadro del nuovo regolamento europeo. A fine novembre ad alzare l’attenzione contro Google erano state altre sette associazioni (di Norvegia, Olanda, Polonia, Grecia, Repubblica Ceca, Slovenia e Svezia) sotto la guida della BEUC, l’Organizzazione Europea dei Consumatori. Ci si allerta a vicenda, di continuo.
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