Sotto attacco, ancora una volta, Google che dovrà difendersi dall’accusa da parte di una organizzazione europea di consumatori per avere raccolto, senza autorizzazione, informazioni degli utenti durante l’utilizzo di app e servizi tramite smartphone. Sotto osservazione la geolocalizzazione dei dispositivi Android che fornisce al gigante di Mountain View indicazioni sensibili sugli utenti, dalla posizione geografica, ai gusti, all’orientamento politico, sessuale, di spesa… attraverso la cronologia delle posizioni rilevate da Google tramite Gps e l’utilizzo delle varie celle di appoggio sulla rete mobile. Una questione di violazione della privacy, a sei mesi dell’entrata in vigore del GDPR.

Ad alzare la testa sono sette associazioni europee di consumatori di Norvegia, Olanda, Polonia, Grecia, Repubblica Ceca, Slovenia e Svezia, sotto la guida dell’Organizzazione Europea dei Consumatori, la BEUC (Bureau Européen des Unions de Consommateurs). La fame di dati di Google è nota ma la dimensione con cui inganna i suoi utenti per tracciare e monetizzare ogni loro mossa è spaventosa. La situazione è più che allarmante. Google non rispetta i principi fondamentali del GDPR, tra cui l’obbligo di adoperare le informazioni sensibili in modo lecito, equo e trasparente ha dichiarato Monique Goyens, direttore generale della BEUC.

Sundar Pichai, ceo di Google
Sundar Pichai, ceo di Google

Se è vero che Google ci segnala la strada trafficata da non percorrere alla mattina (utile), ci chiede anche di recensire il negozio che si trova all’angolo vicino a voi (fastidioso), curiosando nei nostri spostamenti. Secondo la BEUC, “queste pratiche non sono conformi al regolamento sulla protezione dei dati generali, in quanto Google non dispone di una base giuridica valida per l’elaborazione dei dati in questione. In particolare, il rapporto mostra che il consenso degli utenti fornito in queste circostanze non è dato liberamente” afferma.

Google si è resa disponibile a esaminare il report della BEUC confrontandolo con la propria privacy anche se ha ribadito che “su tutti i device Android la cronologia delle posizioni è disattivata di default”, scelta che gli utenti possono modificare in ogni momento dal pannello delle impostazioni. “Leggeremo attentamente questo rapporto per vedere se ci sono cose che possiamo prendere in considerazione” fa sapere Google, tuttavia ammette che “se si disattiva la cronologia a seconda delle impostazioni del  telefono e dell’app, potrebbe ancora raccogliere e utilizzare i dati sulla posizione per migliorare l’esperienza di Google”.

Insomma, a sei mesi dall’entrata in vigore del GDPR il ritardo nell’attuazione della nuova normativa non riguarda solo le piccole e medie imprese ma anche i grandi colossi del web. Non è un buon segnale.
Anche se il caso di Facebook di Cambridge Analytica aveva alzato l’attenzione della commissione europea sui giganti del settore e sul loro utilizzo dei dati, si deve ancora lavorare a fondo per la tutela della privacy, proprio non scontata. Sembra che non frenino neache le multe che il GDPR impone, proporzionali al giro d’affari dell’azienda: il 4% dei ricavi, che nel caso di una Google o di una Facebook con fatturati miliardari, si tradurrebbero in milioni di dollari di sanzione.
Il business ricavabile dai dati sensibili è forse più grande di qualche multa salata?
A volte viene da pensarlo.

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