I sistemi informativi sanitari, nati per gestire e dematerializzare flussi amministrativi di dati dalla periferia al centro, oggi devono essere in grado di sostenere la vera innovazione, basata sulla gestione e modellazione delle informazioni in logica predittiva e decision making. E l’emergenza Covid-19, nella quale la sanità e l’Italia sono piombate, è un momento che alza l’attenzione sul livello di informatizzazione delle aziende sanitarie nazionali.
E’ proprio in questi giorni di emergenza che raggiungiamo al telefono il professor Mauro Moruzzi, referente scientifico Assinter Academy, tra i principali esperti italiani di eHealth, sistema Cup e Fascicolo Sanitario Elettronico per fare il punto sulla spesa Ict e sullo stato attuale dell’informatizzazione delle aziende sanitarie.
Professor Moruzzi, riallacciandoci all’analisi condotta da Agid, la spesa Ict della sanità pubblica territoriale sembra essere ancorata alla gestione, manutenzione e ammodernamento dei sistemi e poco orientata alla introduzione di nuove tecnologie digitali. Dal suo punto di osservazione concorda con questa affermazione o la realtà è più articolata?
I risultati emersi dall’analisi svolta da Agid sono assolutamente corretti e rappresentano la realtà di oggi, frutto dei precedenti 30/40 anni dove si è proceduto ad informatizzare rispetto ad una logica basata sulla burocrazia, sulle procedure e sul controllo. Si informatizzavano processi burocratici, si è fatta dematerializzazione di pratiche amministrative ma non si è mai pensato di fare vera innovazione, quella utile per i cittadini e per gli operatori della salute, quella basata sulle informazioni che generano valore per prendere decisioni e prevenire situazioni critiche.
Tanto per fare un esempio assolutamente calzante rispetto ai giorni che tutti stiamo vivendo: oggi per sapere qual è lo stato di salute degli italiani si utilizzano i flussi amministrativi, si analizzano gli Sdo (Schede di Dimissione Ospedaliere) e si interroga il Sistema di Accoglienza Centrale (Sac) messo a disposizione da Sogei e Mef per i flussi telematici, sistemi che sicuramente hanno favorito la dematerializzazione dei flussi amministrativi sanitari. E’ su questi dati, amministrativi, che ancora oggi si fa programmazione sanitaria.
Non si utilizzano cioè i dati clinici dei pazienti che dovrebbero permettere di conoscere il loro stato di salute in quasi real time e che oggi si trovano, in parte, nelle cartelle cliniche e nei Fascicoli Sanitari Elettronici.
Ma la situazione oggi, con Covid-19 ben presente tra di noi, è ancora più paradossale: per avere dati aggiornati giornalmente sulla epidemia si è incaricata la Protezione Civile (non il Ministero della Salute) che provvede giornalmente a contattare tutte le Regioni, le prefetture e le Asl per raccogliere i dati, senza potere accedere ad un sistema informativo costantemente aggiornato.
Questo cosa significa? Che alcuni capisaldi culturali come il valore dell’innovazione, la portata che il digitale può avere nello snellimento di determinate attività e nella presa di alcune decisioni oggi sono passati come concetti, se ne parla tanto anche ai convegni, anche presso i responsabili sanitari e i medici, ma non hanno inciso nel disegno complessivo, nel paradigma dei sistemi informativi sanitari.
Facciamo un altro esempio, il Fascicolo Sanitario Elettronico: ormai ha compiuto 10 anni, se non di più. In questo momento potrebbe essere molto utile per affrontare l’emergenza perché, essendo alimentato anche dai medici di medicina generale che sono il primo punto di contatto della sanità con un potenziale malato, potrebbe offrire informazioni aggiornate sullo stato di salute di tutta la popolazione. Eppure non è così e in questo momento il Fse non è uno strumento consultato per affrontare l’emergenza.
Stante questa fotografia, quali potrebbero essere le leve per cambiare lo scenario di adozione dell’innovazione nella sanità italiana?
Oggi la fotografia è quella di tanti slogan che parlano del “cittadino al centro”, del ruolo dell’Fse delle cartelle cliniche elettroniche di ultima generazione. Dobbiamo però fare i conti con quella che prima ho definito come l’informatizzazione delle procedure amministrative burocratiche. Per cambiare le cose è chiaro che non si possa puntare solo sull’innovazione a livello locale, ma è necessario che vi sia un coordinamento e un apparato scheletrico e muscolare che regga tutto il sistema. A questo punto, a mio avviso, occorre agire su due leve: primo, spostare i sistemi informativi da una logica burocratica a una logica paziente-centrica e quindi predittiva; secondo, passare da un approccio di dematerializzazione dei dati e documenti a processi decisionali basati sulle informazioni.
Oggi ci sono tanti dati ma questi non generano informazioni, non vengono interpretati. Eppure, gli strumenti esistono.
Con il Cineca, il Consorzio Interuniversitario per il Calcolo Automatico, stiamo pensando di mappare le cinque principali cronicità presenti nei deceduti da Covid-19, con l’obiettivo di realizzare un modello che possa permettere di prevedere cosa succederà a breve e quali pazienti con comorbidità sono ora a rischio e vanno quindi subito protetti.
Cosa ci dovrebbe insegnare la pandemia da Covid-19? Quali potrebbero essere i benefici portati dal digitale in questo momento?
Ora ci troviamo in una gravissima situazione di emergenza sanitaria, tuttavia il Covid-19 rappresenta anche un’occasione per comprendere alcune cose e non possiamo perdere altro tempo. I sistemi informativi non possono più essere visti semplicemente come sistemi per il controllo della spesa e per la gestione dei flussi amministrativi e informativi, dunque come una macchina ingombrante e pesante che richiede continua manutenzione per operare e che drena tantissimi soldi al sistema per essere mantenuta ed aggiornata.
Occorre innanzitutto strutturare una vera governance dei dati che sono il vero patrimonio di cui disponiamo. In questo senso dobbiamo procedere celermente con la messa a fattor comune delle informazioni per comprendere il livello di fragilità sanitaria della popolazione, effettuando una mappatura basata sui dati sanitari disponibili. A questa mappatura poi è possibile, tramite i big data e la sentiment analysis – ad esempio tramite l’analisi dei social – comprendere quali sono i comportamenti adottati dai cittadini. In questo modo sarebbe possibile effettuare una mappatura sociosanitaria, mettendo l’informatica a supporto dei cittadini.
Un sistema del genere prevede l’interazione e la connessione di tutti i livelli del sistema sanitario: Ministero, Regioni, Aziende sanitarie e l’integrazione dei dati di Fse, Cartelle cliniche ospedaliere e satawarehouse regionali utilizzando l’intelligenza artificiale e i big data.
Ritornando alla domanda: Covid-19 cambierà o accelererà il cambiamento di tutto il sistema sanitario, tra un anno il sistema non sarà più lo stesso. In questo momento gran parte dei budget ospedalieri, e non solo, sono spostati sulla situazione emergenziale, anche quelli Ict. E questo comporterà, nel breve al blocco di diversi progetti inerenti le tecnologie e i sistemi.
Tuttavia, dovremo a un certo punto imparare dalla Cina: invece di bloccare e spostare i budget, i cinesi sin dall’inizio dall’emergenza hanno iniziato a investire sulle tecnologie a distanza, per seguire i pazienti da casa o per mettersi in collegamento con altri medici. In particolare, occorrerà affiancare o integrare gli investimenti delle aziende in tecnologie e strumenti per home e smart working, e in questo ci potrà aiutare anche l’avvento del 5G, con sistemi per smartcare, telediagnosi, telemedicina, agganciando le dotazioni nell’ambito “helthcare” a quelle “job”.
Tutto questo è necessario per attivare un nuovo modello di sanità, distribuita sul territorio ma tecnologicamente dotata, che alla prossima emergenza non ci faccia trovare impreparati. E che preveda una governance a livello centrale, non credo infatti sia più possibile affidarsi a modelli sanitari puramente bottom up.
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