Vorremmo tornare a parlare di “digital transformation” con più tranquillità, un salto indietro nel tempo. Aprire la newsletter settimanale con i temi cari, con quel mantra famigliare “trasformazione digitale” da anni cavalcato: i vendor la propongono, i system integrator la realizzano, i clienti la adottano con un change management non sempre facile, PA e scuola la guardano con lentezza. Normalità, ai tempi fastidiosa per i ritardi accumulati, la mancanza di risorse (fondi e skill) e l’indecisionismo che ci fa arrabbiare, innervosisce. Ma meno folle rispetto a quanto sta accadendo e che rimette tutti inevitabilmente in discussione.
Oggi, senza nessun preavviso, quella “digital transformation” tanto invocata è la nuova normalità, ci ha investito: quello che lentamente da anni faticava a decollare, mettendo i Cio in contrasto con Ceo, i cittadini con la PA, i professori con gli studenti ha subìto un balzo in avanti epocale come nessuna call to action del Ministero alla Innovazione avrebbe potuto mai prevedere.
Dibattiti tra uomo e intelligenza artificiale, robotica e manifatturiero, sicurezza e privacy, IoT e lavoro, scuola in aula o supporti digitali, umanesimo e tecnologia, analogico e digitale…. Tutto rimesso in discussione e risolto in un momento in cui ci siamo tutti fermati, in casa, e il digitale ha preso il sopravvento: non si tornerà più alla stessa modalità di lavorare, di decidere, di relazionarci, di fare didattica. E’ evidente nel dibattuto “Nulla sarà come prima” innescato da docenti, esperti di università più prestigiose, sociologi, economisti, giornalisti, analisti…. E le aziende in questo momento cercano di trovare una nuova strategia, una nuova normalità (noi, realtà grandi, medie, Pmi e professionisti, nessuno escluso) nella quale il digitale non è più una sola opportunità ma una necessità.
Uno spartiacque in poche settimane si è aperto, come una voragine, tra il digitale prima e dopo la sberla violenta del Covid-19 che ha fermato l’Italia, anche Milano (nonostante #milanononsiferma). Vuota come quella Piazza San Pietro che ha zittito il mondo giovedì sera.
1 – Basta guardare la capacità reattiva delle aziende italiane che hanno convertito la produzione per fare presidi medici, dalle mascherine ai respiratori, dai grandi brand del fashion o dell’automotive alle piccole realtà. Già nelle scorse settimane avevamo segnalato la startup bresciana che aveva realizzato valvole grazie alla stampa 3D, ma il tam tam che nel weekend ha visto interi comuni e province raccogliere le maschere della Decathlon (la protezione civile è passata dalle singole case a ritirarle) per adattarle alle esigenze sanitarie ha impressionato. E in questo processo di adattamento sono entrate le piccole aziende del territorio, pronte a una trasformazione repentina.
2 – Basta guardare alle misure di contenimento adottate anche con tecnologie di sorveglianza via smartphone (e guardare ai sistemi biometrici di Cina o Corea del Sud) per capire che il limite tra privacy e salute è stato valicato ma ha mostrato che la prima lavora a vantaggio dell’altra, pur ponendo interrogativi sul futuro (finita l’emergenza quali saranno le nuove regole?).
3 – Basta guardare la crescita dello smart working o della didattica a distanza (che stiamo monitorando) per capire che serve formare una nuova classe di manager e di docenti non solo all’uso delle tecnologie – oltre che dare fondi alle famiglie, coprire con la banda le zone remote – ma a nuove logiche basate sulla responsabilità e sugli obiettivi, su una nuova capacità motivazionale ed empatica da trasmettere da remoto a colleghi, studenti, famigliari.
4 – Basta guardare alle due call for action del Ministro Paola Pisano (il 23 marzo per far fronte alla necessità di tamponi, mascherine e ventilatori terapeutici, il 24 marzo per la raccolta e la valutazione di app e strumenti tecnici di teleassistenza per pazienti e tecnologie per l’analisi dei dati) per capire che l’analisi dei dati è la strada per uscirne. “Il Gruppo di lavoro data-driven per l’emergenza Covid-19 analizzerà le applicazioni prendendo in considerazione vari fattori: l’effettivo impatto sulla diminuzione della diffusione del coronavirus, la sicurezza e la tecnologia, la gestione della privacy – ha precisato la ministra il 28 marzo, giorno in cui il gruppo ha avviato i lavori -. In tre giorni raccoglieremo le applicazioni e inizieremo la valutazione sui diversi parametri… La decisione politica di adottare una soluzione piuttosto che un’altra sarà presa poi dal Governo, in accordo con le altre istituzioni coinvolte nella task force, a partire dal Garante per la Privacy. Le decisioni che prendiamo oggi avranno un effetto futuro soprattutto sul nostro approccio alle emergenze e ai dati”.
Fa male ancora di più avere capito solo nell’emergenza che i ritardi negli investimenti in digital, infrastrutture, politiche e piani di attuazione di trasformazione si pagano ora (nonostante nelle ultime settimane siano stati stanziati fondi per nuove tecnologie, sveltite procedure di gara, dato vita ai progetti di solidarietà digitale). Non è il momento di dire “meglio tardi che mai” o “ogni crisi porta con sé opportunità di cambiamento”.
Si è vero.
Vorremmo tornare a scuola.
Vorremmo tornare in ufficio.
Vorremmo ritornare a fotografare progetti di trasformazione digitale non dovuti all’emergenza, fare cene, incontri fisici, interviste vis-a-vis, tavole rotonde attorno a un tavolo, caffè veri, ma stiamo dirottando tutti i nostri sforzi in call, webinar, virtual event mondiali e locali. E reggono. Funzionano.
Non è banale rimettersi in discussione ma alla fine c’è sempre quell’elemento famigliare che ci conforta, sul quale poggia anche il mondo digital: la relazione, la condivisione, il gruppo, la rete. Umanesimo e Digitale si confermano essere due facce della stessa medaglia, mai come ora.
Riporto lo spunto di Giovanni Lo Storto, direttore generale dell’Università Luiss, sul Corriere della Sera di ieri, in questi tempi di “social distancing”: “un isolamento che non ci lascerà indifferenti, scoprendoci capaci di una digitalizzazione che credevamo lontana… Abbiamo temuto gli impatti dell’intelligenza artificiale, salvo scoprire quanto utile sia oggi per tutti noi la connessione digitale. Saremo restituiti alle nostre vite con maggiori consapevolezze sul valore di un abbraccio e sulla bellezza di una stretta di mano. E avremo scoperto che il digitale aumenterà la nostra umanità”.
Buona settimana, la quarta di smart working.
© RIPRODUZIONE RISERVATA