“La trasformazione digitale rispetto a quella antropologica cresce in modo esponenziale. Ai tempi dei nostri nonni ci confrontavamo con una tv di massa che cercava di soddisfare dei bisogni, con una supremazia del produttore sul consumatore. Oggi invece la supremazia è di chi gestisce i dati: la supremazia dell’algoritmo”.
Un fiume in piena Massimo Rosso, Direttore Ict di Rai, che si interroga al nostro Cio Cafè su quale ruolo la tv pubblica possa avere in una società in cui le grandi piattaforme di contenuti – Netflix e Amazon Prime per citarne alcune – suggeriscono scelte, profili, contenuti.
“La Rai come servizio pubblico, distinguendosi dagli operatori di mercato, potrebbe assumere il compito di agevolare il dialogo tra cittadini e gestori di piattaforma. Questo potrebbe soddisfare l’esigenza di una cosiddetta “sostenibilità sociale”, non solo tecnologica. Per questo il lavoro che stiamo facendo non va misurato solo in termini di trasformazione digitale, ma tenendo conto dei risvolti sociali delle nostre azioni e delle nostre scelte tecnologiche”.
Parla di calcolati e calcolanti, tra chi subisce gli algoritmi e chi costruisce (“ma come li stiamo costruendo?”) e rimarca la responsabilità enorme che sta dietro ad ogni scelta. “L’alfabetizzazione digitale dovrebbe ormai darsi per acquisita, e dovremmo ora puntare sulla istruzione digitale. L’istruzione non è un investimento a fondo perduto, è una potente opportunità che può avere anche riflessi macroeconomici. Stiamo trasformando la società“.
“Se non salvaguardiamo i valori, in epoca digitale rischiamo di esautorare la coscienza critica: gli algoritmi delle principali piattaforme sociali rischiano di contribuire ad un appiattimento della discussione crossmediale segnalando, attraverso la profilazione, a ciascuno solo informazioni coerenti con il proprio profilo e non agevolando lo sviluppo di un pensiero critico. Per questo è fondamentale preoccuparsi anche delle implicazioni sociali delle scelte delle aziende in transizione digitale, che a loro volta gestiranno i connettori tra i dati perché l’algoritmo è sempre un prodotto dell’essere umano”.
Guardando alla tecnologia utilizzata da Rai (“abbiamo diversificato i fornitori, allargando l’utilizzo di piattaforme e soluzioni plurime“), Rosso sottolinea la difficoltà di conoscere anzitempo le roadmap strategiche dei grandi vendor di piattaforme e soluzioni IT che ormai operano a livello planetario: “Scontiamo il problema che spesso le scelte compiute dai grandi operatori tecnologici condizionano anche le strategie di adozione delle soluzioni IT nelle varie aziende. Per cui c’è il rischio di trovarsi vincolati nel medio-lungo periodo alle scelte operate (lock-in) oppure di integrare oggi una soluzione che può diventare velocemente obsoleta se il vendor decide autonomamente di cambiare strategia”.
Due variabili interconnesse
In questo scenario complesso, in cui ci si deve muovere con grande responsabilità, Rosso evidenzia due variabili da tenere presente: la prima attiene al tempo e alla sua percezione, la seconda è legata al concetto di collettività.
La percezione del tempo è cambiata, soprattutto durante la pandemia. Molti indicatori evidenziano il fatto che viviamo in una società in cui prevale l’incertezza e la preoccupazione di breve, brevissimo periodo. “Quando parliamo di futuro, siamo ancorati a un futuro troppo prossimo – spiega -. Il futuro si è “incollato” al presente col rischio di non avere la capacità di immaginare il domani. Ma se non si ha la visione del futuro manca il propellente del motore dello sviluppo. L’unica possibilità, per capitalizzare l’esperienza drammatica del 2020 e 2021, è disarcionare il futuro dal presente, ripensando completamente la prospettiva”.
La seconda variabile è il concetto di collettività, il fatto di essere consapevoli che il benessere del singolo passi attraverso il benessere comune: “Il benessere di ciascuno, infatti, dipende anche dalla qualità dello sviluppo collettivo”.
“Oggi la sensibilità ecologica si è molto diffusa, ma prevalentemente con riguardo all’ambiente naturale – incalza Rosso -. I grandi della terra a Cop26, seppure con previsioni catastrofiche, sembrano dare in qualche modo una prospettiva legata alla parola ecologia nella sua accezione più ampia, cioè non solo legata all’ambiente naturale, ma a tutto ciò che attiene al contesto in cui l’uomo vive. Infatti la nozione di ecologia può essere estesa alla dinamica della convivenza civile e non solo in riferimento ai temi ambientali. Possiamo quindi parlare di “ecologia dei media”, poiché i media sono ambienti che influenzano il modo in cui i cittadini percepiscono la realtà. I media non distinguano l’ambiente naturale da quello artificiale, che vengono percepiti come un tutt’uno. In questo ambiente dei media abbiamo la possibilità di esprimere la nostra individualità e la nostra umanità. A causa degli attuali modelli di business, sviluppati nel mondo media, prevalentemente concentrati sulla raccolta pubblicitaria o sulla vendita delle subscription, abbiamo la responsabilità di distinguere ciò che è vero da ciò che viene rappresentato“.
E continua: “Nei momenti di crisi, il pubblico è più debole, la disinformazione emozionale ha molte chance di diffondersi. Viviamo dunque fobie, preoccupazioni lasciate dalla pandemia anche se dagli aspetti comportamentali esteriori talvolta sembra che tutto sia superato. Non possiamo fare finta che non abbiamo vissuto questa terribile esperienza e che non abbia lasciato segni profondi nel nostro essere uomini e donne. Anche i più scettici nel periodo di emergenza sanitaria hanno capito che senza digitale non sarebbe stato possibile mantenere le relazioni sociali e dare continuità alle attività lavorative e scolastiche. Il tema di sostenibilità sociale e culturale è quindi importante almeno quanto quello della sostenibilità economica, quando colleghiamo il concetto di transizione digitale al concetto di sostenibilità”.
Questo porta a una profonda riflessione sul ruolo della tecnologia che ha sempre in sé le finalità e gli obiettivi. “Le forti polarizzazioni che cogliamo non sono un fenomeno sociale autonomo, ma anche indotto dal modo in cui la tecnologia è utilizzata” precisa Rosso.
La storia di Rai insegna
Nella transizione dalla “società analogica” alla “società digitale” stiamo assistendo al passaggio dalla forza del consumo – che induceva e orientava a livello di massa (e quindi il ruolo preponderante dei mass media) – a una economia informazionale, che pone al centro gli algoritmi e i dati, con lo scopo di prevedere o predire la volontà e le scelte degli utenti. “Da un mondo in cui forse avevamo imparato a leggere i messaggi a uno in cui è difficile è saperli interpretare” sintetizza.
“Per contribuire attivamente alla trasformazione digitale non sarà quindi sufficiente investire unicamente nell’informatizzazione e nella capillare diffusione delle infrastrutture tecnologiche, ma occorrerà anche dare nuovo senso all’istruzione e alla formazione continua. Infatti, vi è una profonda differenza tra avere l’accesso all’informazione, oggi alla portata di tutti attraverso le piattaforme digitali, e possedere la capacità di interpretarla. Poiché l’informatizzazione non crea di per sé senso critico, bisognerà diffondere metodi e capacità di giudizio per muoversi nell’ambiente digitale”.
Quando si parla di investimenti in formazione ne viene data una prevalente connotazione tecnologica: si guarda all’aspetto infrastrutturale, si parla di portare la banda larga nella scuole, di dotare gli studenti di tablet. Tutto ciò è fondamentale, ma deve essere accompagnato dallo sviluppo di un adeguato senso critico. “Sulle piattaforme digitali spesso si confonde forma e contenuto, sensazione e sensibilità, capacità critica di giudizio e capacità di capire da quali dati partire per costruire una intelligenza. Serve un metodo e questo non può che essere fornito in primis dalla scuola e da una formazione continua. Nel mondo di oggi siamo ancora tutti essenzialmente autodidatti, non è colpa dei social media, ma della accelerazione avvenuta in questi anni”:
Il percorso di Rai, algoritmi trasparenti
“In Rai l’obiettivo sarà definire algoritmi etici e trasparenti che potrebbero essere alla base del nuovo servizio pubblico multimediale. In questa prospettiva abbiamo già elaborato un algoritmo che mette in relazione il flusso continuo di conversazione crossmediale con la nostra offerta televisiva. In questo modo abbiamo la possibilità di capire se il sentimento che una trasmissione sta generando è positivo, negativo o neutro, ma anche di approfondire gli aspetti emozionali dei nostri utenti a fronte dell’offerta di contenuti”.
Un altro obiettivo sarà combattere la disinformazione. In quest’ambito si sta lavorando per individuare algoritmi che consentano di capire quanto i fatti, di per sé neutri, appositamente strumentalizzati nelle reti sociali, possano contribuire a generare polarizzazioni che necessitino di voci alternative (compensative) onde garantire un effettivo pluralismo informativo – da sempre tra i compiti del servizio pubblico radiotelevisivo – anche nella nuova era tecnologica. “In definitiva – conclude Rosso – gli algoritmi non devono necessariamente portare ad una società polarizzata ma, opportunamente progettati, possono contribuire ad una società maggiormente coesa e inclusiva”.
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