In un mondo lavorativo totalmente trasformato dove emergono di continuo dinamiche nuove, trovare il corretto equilibrio tra lavoro in presenza e lavoro a distanza dando il giusto peso alla flessibilità, al benessere individuale e alla conciliazione vita-lavoro, non è cosa facile. Se ne rendono conto le aziende, impegnate a gestire anche da un punto di vista giuridico la questione, ma lo sanno soprattutto i lavoratori che vivono in prima persona questa trasformazione epocale. Uno scenario nel quale si segnala peraltro in modo crescente una forte carenza di talenti.

Una carenza che però, a fronte di in un contesto di crescente incertezza economica e di forti preoccupazioni a livello macroeconomico, si scontra con una certa cautela da parte dei datori di lavoro europei verso l’acquisizione di nuove risorse: il 27% delle imprese sta infatti esitando nell’assunzione di nuove figure, mentre il 37% sta valutando o attuando riduzioni di personale.

Sono questi alcuni macro elementi emersi dall’indagine European Employer Survey realizzata da Littler, studio di diritto del lavoro attivo a livello globale, che affronta queste tematiche lavorative da diverse angolature, individuando le principali sfide che le aziende devono affrontare per fronte alla trasformazione in atto. Condotta su un campione di 700 direttori HR e in-house lawyer europei, l’analisi include anche uno spaccato sull’Italia, insieme a Germania, Francia, Spagna e Regno Unito.

Lavoro, svincolo dal luogo fisico

Oggi il 30% dei lavoratori ha effettuato un completo ritorno in presenza, mentre il 27% ha optato per una forma di orario ibrida, con più giorni in presenza e meno da remoto. L’11% segue invece un orario ibrido con più giorni di lavoro da remoto rispetto a quelli in presenza mentre il 5% dei dipendenti lavora esclusivamente da remoto.

Strategie delle organizzazioni per le modalità di lavoro dei dipendenti (Fonte: European Employer Survey di Littler)

Le imprese sono dibattute tra la volontà di ritornare in presenza e la necessità di garantire la flessibilità necessaria ad attrarre e trattenere i talenti, considerando che nel primo caso devono tenere conto del limite entro cui ciò è possibile. 

Le aziende tendono comunque a prediligere sempre di più il lavoro in presenza; questo vale per il 73% dei datori di lavoro, che sta valutando la possibilità di ridurre le attività a distanza, atteggiamento che si scontra con una resistenza crescente da parte dei dipendenti, riluttanti a rinunciare alla flessibilità acquisita.

Tutti i paesi dell’Europa meridionale stanno guidando la tendenza verso un maggiore lavoro di persona. Se si fa un confronto, in Spagna, il 41% dei responsabili richiede un lavoro completamente di persona (rispetto al 30% di tutti gli intervistati). In Italia questa cifra supera il 50%.

Dipendenti al lavoro completamente in presenza (Fonte: European Employer Survey di Littler)

Si registra nel complesso un maggiore allineamento tra le politiche adottate dai datori di lavoro e le esigenze dei dipendenti, con il 40% dei rispondenti che si trova perfettamente in linea, contro una percentuale del 28% dello scorso anno. Il 42% continua invece a ritenere che i propri dipendenti preferiscano in misura maggiore modalità di lavoro ibride o da remoto rispetto a quelle offerte.

Allineamento tra le politiche delle organizzazioni e le preferenze dei dipendenti (Fonte: European Employer Survey di Littler)

“È incoraggiante osservare questo crescente allineamento – commentano Carlo Majer ed Edgardo Ratti, co-managing partner di Littler in Italia -. Tuttavia, il fatto che le aziende stiano ancora cercando di bilanciare i pro e i contro dei modelli di lavoro a distanza, ibridi e di persona, a due anni e mezzo dalla più grande trasformazione del mondo del lavoro causata dalla pandemia, è un chiaro indice di nuove e più complesse sfide che ci aspettano nella gestione delle risorse umane”.

Datore di lavoro, si punta alla mediazione 

I motivi principali che spingono i datori di lavoro a richiedere un maggior numero di ore di lavoro in presenza riguardano la cultura e il lavoro di squadra, tra cui una maggiore collaborazione tra team e stimolazione del pensiero creativo (54%) e un maggior impegno da parte dei dipendenti (48%), piuttosto che la produttività e i costi. Vantaggi che sono correlati a uno dei principali motivi di rinuncia del lavoro da remoto da parte del dipendente, il mantenimento della cultura aziendale e del coinvolgimento dei dipendenti (53%). Per contro, il 79% dei datori di lavoro spinge per aumentare il lavoro remoto sostanzialmente per contribuire ad attrarre e trattenere i talenti.

“È naturale che chi ha provato il lavoro da remoto sia più riluttante a rinunciarvi – afferma Stephan Swinkels, partner di Littler-. Questo significa che le aziende non possono non considerare la flessibilità per acquisire e trattenere nuovi talenti e dare valide ragioni per motivare il lavoro in presenza. Non è sufficiente l’intenzione di favorire una maggiore collaborazione, perché non possiamo dare per scontato che ciò avvenga solo perché le persone si trovano in ufficio: è compito dei datori di lavoro creare quest’opportunità”.

In questo scenario, il fenomeno del cosiddetto nomadismo digitale rappresenta oggi una sfida. Cresce infatti costantemente il numero dei dipendenti che lavorano in un Paese diverso da quello in cui si trova la sede dell’azienda. Le imprese che dichiarano di avere al loro interno dei “nomadi digitali” sono infatti passate dal 61% del 2021 al 73% di oggi. Un fenomeno che preoccupa l’89% delle aziende principalmente per in rischi legali, le implicazioni fiscali e e altri problemi occupazionali che ne derivano.

Indipendentemente dal modello di lavoro, resta alta l’attenzione a salute mentale e benessere delle risorse umane. 9 datori di lavoro su 10 hanno infatti adottato iniziative in questa direzione nell’ultimo anno, ma solo il 28% lo ha fatto in maniera strutturata. Nei casi di burnout, per esempio, la flessibilità oraria è stata l’unica misura adottata da oltre la metà delle aziende (54%), mentre azioni più concrete – come lavorare individualmente con i dipendenti per gestire lo stress e i carichi di lavoro aggiuntivi che possono accompagnare il lavoro da remoto – sono scelte da meno di un terzo degli intervistati.

La leva tecnologica

In un mercato del lavoro così sfidante, la tecnologica si conferma una leva strategica per attrarre nuovi talenti, soprattutto valida alleata nelle fasi di recruitment e retention. Quasi la metà degli intervistati (47%) utilizza o pianifica di utilizzare soluzioni tecnologiche e/o strumenti di artificial intelligence per supportare le attività di ingaggio e assunzione. Inoltre, il 61% di coloro che già utilizzano tali strumenti ne ha incrementato l’utilizzo nell’ultimo anno, sottolineando l’efficacia.

L’uso di questi strumenti richiede però misure che siano conformi alla normativa e la verifica che le applicazioni siano sviluppate sotto controllo legale e di compliance. Rispetto a tali misure adottate dai datori di lavoro, mentre più della metà di chi utilizza soluzioni di AI/tecnologia per il recruiting ha sviluppato un piano che identifica obiettivi specifici e verifica i risultati, meno di un terzo ha condotto una valutazione per garantire la conformità alla privacy dei dati (31%) o si è coordinato con i fornitori per condurre revisioni degli algoritmi di AI e identificare potenziali difformità (28%).

In che misura le organizzazioni stanno utilizzando soluzioni tecnologiche e/o strumenti di AI per supportare gli sforzi di reclutamento e assunzione (Fonte: European Employer Survey di Littler)

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