Mi è scappato un “ci risiamo” appena ho letto il comunicato che annunciava la nascita di Ida (Italian data center association), la prima associazione italiana dei costruttori e operatori di data center in Italia. Perché tra i nomi dei soci fondatori, subito saltano all’occhio i colossi internazionali.
Non che non ci siano le aziende italiane, ma la sensazione è sempre un po’ la stessa (come quando si parla di Gaia-X). L’omnipresenza, la pervasità di alcune multinazionali come l’americana Microsoft (168 miliardi Usd di fatturato 2021) o la californiana Equinix (6,64 miliardi Usd 2021), accanto alla francese Data4 o all’italianissima Rai Way (società per azioni del gruppo Rai quotata in borsa a Milano) a Stack Infrastructure, Digital Realty, Vantage Data Centers, Cbre.
Due pensieri, due facce della stessa medaglia.
Il primo è che mi sarebbe piaciuto vedere già all’esordio i nomi di spicco dei provider italiani che hanno propri data center lungo lo stivale, a partire dalla Valle d’Aosta, passando per Ponte San Pietro giù fino a Roma. Arriveranno mi dicono, si aggiungeranno nel tempo. Come in Gaia-X. Perché in Italia ci sono oggi 190 data center, siamo quarti nella classifica europea dei Paesi per importanza di data center, abbiamo una quota di mercato del 9% in Europa.
Il secondo è che nonostante i ritardi nelle roadmap le grandi aziende americane investono milioni di dollari in Italia in data center e si rendono solidali con aziende italiane. E questo credo sia un valore aggiunto importante per lo sviluppo della nostra economia, un bene che l’Italia sia tassello strategico dei loro investimenti. Certo non sono onlus, ma nel mondo dei data center nessuna lo è.
Le infrastrutture IT, sulle quali poggiano economia digitale e trasformazione digitale della pubblica amministrazione e delle aziende, hanno fatto esplodere gli investimenti in data center negli ultimi dieci anni: i 190 data center italiani generano un fatturato di 3 miliardi di euro e una potenza complessiva di 300 MW, e arriveremo a 204 data center entro il 2025. Una economia importante per i piani di digitalizzazione nazionale a tal punto da richiedere per Emmanuel Becker, presidente di Ida e amministratore delegato di Equinix Italia, “una maggiore ufficializzazione del comparto. Da qui la decisione di fondare, con alcune delle principali realtà del settore, la prima associazione dei costruttori ed operatori di data center per costruire uno spazio comune da cui operare per il riconoscimento e lo sviluppo di un’industria dei data center forte ed efficiente in Italia”.
Grande parte del lavoro di Ida sarà rivolto a favorire l’attivazione di processi che facilitino la costruzione di data center che siano “sicuri ed efficienti dal punto di vista energetico, nel pieno rispetto della sostenibilità ambientale” dettaglia lo statuto.
I quesiti. Ci sarà open discussion tra i soci sulla tecnologica? Quale il peso tra strategie nazionali e internazionali? I soci si accorderanno su green, sostenibilità, riduzione dei consumi? Si arriverà a una maggiore razionalizzazione dei data center esistenti? Come dialogherà Ida con il nuovo Polo strategico per il cloud pubblico, con la cordata aggiudicatasi il progetto governata da Tim (che ha un partnership forte con Google Cloud)? Quali i prossimi soci pronti ad entrare?
Alcune prime risposte arrivano da Becker: “Oggi non c’è business senza digitale… Abbiamo una missione importante che consiste proprio nell’accelerare lo sviluppo digitale del territorio italiano attraverso una presenza sempre più consistente di data center. Per far questo, intendiamo lavorare intensamente sia sull’aspetto dell’education, generando nuovi posti di lavoro altamente professionalizzanti, sia su quello della sostenibilità ambientale. I nostri sforzi saranno tesi, oltre che a formare nuovi talenti pronti ad operare in ambito data center, a fare della responsabilità ambientale e dell’ecosostenibilità un approccio collettivo e virtuoso che coinvolga l’intero settore. Tutto questo perché crediamo che fare evolvere i data center secondo i criteri di sostenibilità ambientale sia la chiave di volta per migliorare la qualità di vita dei cittadini e, più in generale, della società in cui viviamo”.
Certo le associazioni fanno il loro mestiere – la legge ne tutela la libertà costitutiva e le forme di attività, per fortuna – e porteranno avanti interessi di categoria in un contesto di più ampia visione per la definizione di standard, norme, competenze e progetti di ricerca condivisi. Ma il tema è così complesso, a partire dalla domanda più spontanea per tutti (Oggi non c’è business senza digitale… ma quanto inquina il digitale?) che vale davvero un monitoraggio della concretezza delle azioni che Ida vorrà portare avanti. Buon lavoro.
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