Che il mondo del lavoro sia cambiato profondamente in questi anni è assodato. Completamente diverso da prima della pandemia e, anche se siamo ritornati a viaggiare, partecipare a convention, moderare convegni, è indubbio che il lavoro – o meglio il modo in cui svolgiamo il nostro lavoro – non è più quello di prima. Profondamente mutato nelle modalità, porta con sé la consapevolezza che servono nuovi skill: change management in primis, capacità di gestire tempo e risorse, ingaggio per obiettivi e non per tempo. Ne abbiamo più volte parlato e per fortuna il cambiamento è senza ritorno alla ricerca di un giusto mix tra remote working (smart working, south working, everywhere working…) e presenza in ufficio. Alla ricerca di ritmi, modalità e strumenti nuovi con cui affrontare la quotidianità.
Ora. Perché questo preambolo. E’ uscita in questo giorni la classifica delle 60 migliori aziende per cui lavorare nel nostro Paese (Best Workplaces Italia 2023, alla 22esima edizione), stilata da Great Place to Work, dopo una ricerca accurata durata un anno, ascoltando le opinioni sul clima aziendale di 163mila collaboratori appartenenti a 303 aziende italiane. Premiate il 13 aprile (in streaming sul sito del Sole24Ore e in presenza, come vuole l’era ibrida) le aziende sono state misurate sulla loro capacità di ingaggiare i dipendenti, curare le relazioni, offrire nuove modalità di lavoro, dando nuova enfasi alla cultura aziendale, al senso di appartenenza.
Tre considerazioni generali prima di vedere i podi.
1 – Dove si lavora meglio cresce la fiducia dei collaboratori nei confronti delle strategie aziendali. Le aziende premiate hanno infatti incrementato il valore della fiducia di 2 punti percentuali (Trust Index) arrivando a toccare l’89% del livello di fiducia dei dipendenti, un valore più alto della media delle aziende europee (86%), secondo solo a Danimarca e a pari merito con Belgio e Finlandia.
2 – Dove si lavora meglio si fa più business. Le 60 aziende hanno incrementato il loro giro d’affari, registrando una crescita media annua del fatturato pari al 26% (migliorando il 23,25% del 2021, già ottimo risultato).
3 – Le aziende italiane si affrancano in classifica: 31 realtà su 60 (52%) sono Made in Italy, un dato in netta crescita rispetto a dieci anni fa quando le aziende italiane erano solo 8 su 35 (23%).
Commenta Beniamino Bedusa, presidente di Great Place to Work Italia: “Dato questo contesto di grande cambiamento, la storia che vediamo analizzando la fotografia delle 60 migliori aziende italiane del 2023 è molto coerente. Le migliori imprese italiane aumentano in media del 15% la loro forza lavoro rispetto allo scorso anno, hanno il 95% di fiducia nella propria leadership e riescono a raggiungere risultati importanti su temi difficili da affrontare come meritocrazia (+23% rispetto al panel delle 303 aziende analizzate) e correttezza (+19%). Risultati che hanno un peso ancora più importante perché raggiunti dopo anni d’importanti scossoni organizzativi. Tra i settori più presenti siamo orgogliosi di vedere la produzione manifatturiera, simbolo di un nuovo rinascimento imprenditoriale italiano che fa ben comprendere quanto questi temi influiscano su produttività e risultati aziendali, e l’information technology, dove la great resignation e qualche stima un po’ troppo entusiastica hanno obbligato le aziende del comparto a proporre esperienze sempre più ingaggianti, per sfuggire alla trappola dell’azienda-commodity”.
Ed ecco i risultati – consultabili nella loro interezza sul sito greatplacetowork.it – suddivisi in 4 categorie in base al numero dei collaboratori: aziende con oltre 500 collaboratori, aziende con un numero di dipendenti compreso tra 150 e 499, tra 50 e 149, e tra 10 e 49.
1 – Nella classifica delle aziende con oltre 500 collaboratori al primo posto Hilton, multinazionale del settore alberghiero. Seguono Salesforce (information technology), e in terza posizione American Express, realtà attiva nei servizi finanziari e assicurativi.
2 – Nella categoria con un numero di collaboratori compreso tra 150 e 499 la classifica è quasi interamente composta da imprese del settore informatico: al primo posto Bending Spoons, che ha scalzato dopo 8 anni Cisco Systems (seconda), mentre la new entry sul terzo gradino è Unox, attiva nel settore manifatturiero.
3 – Tra le imprese con un numero di addetti compreso tra 50 e 149, rimane al primo posto Biogen Italia (biotecnologie e prodotti farmaceutici), seguita da Reverse (servizi professionali) e da Skylabs (information technology).
4 – Infine, tra le aziende con un numero di collaboratori compreso tra 10 e 49, la prima posizione spetta a Accuracy (servizi professionali), il secondo posto a Systematika Distribution (information technology) e il terzo a Cleafy, società IT.
Complessivamente, se si guardano i mercati di appartenenza delle realtà premiate, il 23% delle aziende è nel settore IT (e questo ci fa piacere), il 18% nei servizi professionali, il 17% nell’ambito del manufacturing e della produzione. Seguono con percentuali significative le biotecnologie e il mondo del pharma (13%), i financial services e l’insurance (11%). Oscillano tra i 3 e il 2% i settori media, education, healthcare, hospitality, retail, Tlc e trasporti.
Ma rimane importante il divario tra le 60 aziende in classifica e le “altre” aziende italiane.
“Da uno studio della John Hopkins University su un campione di 2.000 lavoratori italiani a cui è stato sottoposto il questionario Trust Index emergono distanze preoccupanti” precisa Alessandro Zollo, Ceo di Great Place to Work Italia. I divari sono di 50 punti percentuali sul riconoscimento dei benefit (83% nelle 60 migliori aziende contro il 33% nella media delle aziende italiane), di 44 punti rispetto al work life balance (86% vs 44%, qui il tema del change management rimane lo scoglio principale), 38 punti percentuali rispetto alla meritocrazia (79% vs 41%). “La media della fiducia delle 60 migliori aziende italiane è superiore di 3 punti rispetto a quella europea (89% vs 86%), mentre la stessa media nel campione rappresentativo delle aziende italiane è 6 punti percentuali al di sotto della media europea (52% vs 58%). È qui, a parere mio, il vero gap di produttività da colmare nei confronti dell’Europa, e il primo passo da compiere è semplicemente quello di chiedere ai propri colleghi come stanno e se possiamo fare qualcosa per fare sì che possano dare il meglio di loro stessi”.
Che il mondo del lavoro sia cambiato profondamente in questi anni è assodato… ma centrale rimane sempre l’attenzione alle persone, al collega della scrivania (o della chat) accanto.
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