Non si è abbassata l’attenzione sullo smart working, anzi. Dati recenti di alcune ricerche confermano quanto nel 2022 lo smart working continui ad essere uno strumento molto utilizzato, anche se si sono “sgonfiati” i numeri del 2021.
E ora che anche nella pubblica amministrazione ritorna applaudito lo smart working, come dalle prime dichiarazioni del neo ministro a capo del dicastero pubblico Paolo Zangrillo, la strada per fare del lavoro agile uno strumento a vantaggio di lavoratori e aziende/PA è senza ritorno. (“Lo smart working nella pubblica amministrazione può funzionare, bisogna passare dalla logica del controllo a quella della verifica del risultato. La misurazione delle performance non deve essere un tabù” ha dichiarato Zangrillo ai quotidiani).

Tre ricerche recenti aiutano a ragionare, a valutare non solo la diffusione di questo fenomeno ma anche l’impatto che lo smart working sta avendo sui costi di aziende e lavoratori, sulle loro bollette, raccogliendo anche il giudizio delle parti, HR manager inclusi. Ormai sul “modello” che governa lo smart working – delega e non controllo, lavoro per obiettivi, flessibilità di luogo e orario con risultati positivi per il benessere della persona e il business dell’azienda – si è detto molto. Pur rimanendo l’approccio culturale il vero scoglio, ancora insormontabile, per molte realtà.

Guardiamo alle tre analisi, ognuna ci racconta qualcosa di unico, pur avendo molti aspetti in comune.

1 – Benessere e territorio. Una ricerca di Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) presentata di recente a Benevento promuove lo smart working in toto per dipendenti e azienda. Se per i datori di lavoro aumenta la produttività (66%) e il benessere organizzativo (72%), per i lavoratori migliora il bilanciamento tra lavoro e famiglia (80%), garantisce una maggiore autonomia di orari, luoghi e metodi di lavoro (72%), incide sull’ottimizzazione degli spostamenti per raggiungere la sede di lavoro (un beneficio per il 90% dei lavoratori). Certo il caro bollette pesa per il 55,3% dei lavoratori che vedono aumentare i costi fissi e non tutti ne possono beneficiare: le disparità rimangono forti tra Nord e Sud, le aziende del Nord Est lo utilizzano maggiormente (70%), meno quelle del Nord Ovest (53%), del Centro (57%), e decisamente sotto la media quelle del Sud (30%). Così come rimangono marcate tra tipologie di aziende, in voga tra le grandi aziende (78%), le medie (63%) meno nelle microimprese (50%).

Smart working: a che punto siamo? - Fonte: Inapp
Smart working: a che punto siamo? (Fonte: Inapp, Attività e prospettive dello smart working, Technical Report, 2022)

2 – Ingaggio e talenti. Una ricerca di Phyd (del Gruppo Adecco) e di Radical HR ragiona sulla governance dello smart working, coinvolgendo gli HR manager: il 75% delle imprese sta preparando un accordo aziendale (50,6% lo ha già fatto, 22,2% lo sta definendo), optando nel 27% dei casi a due giornate su cinque in smart. Solo il 13,5% delle aziende (contro il 14,1% dello scorso anno) è ferma su vecchie posizioni, non volendo concedere lo smart working.
Ovviamente la situazione cambia tra aziende di diversa dimensione e ubicazione geografica (come sottolinea Inapp) ma si solleva un tema importante legato all’engagement delle risorse dal punto di vista degli HR: per il 56,6% risulta difficile rendere attrattiva l’azienda e trattenere i talenti, e il 48,5% fatica a trasmettere la cultura aziendale in smart working. Solo il 18,9% degli HR ritiene che lo smart working abbia un impatto sulla gestione dei talenti e sul loro sviluppo (talent management) e solo il 26,9% rileva positivamente i risultati (performance management). Una visione spesso in contrasto con i lavoratori che, invece, considerano la possibilità di avere lo smart working una delle voci importanti nella scelta di un nuovo lavoro. 

3 – Diffusione e costi. I dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, resi noti il 20 ottobre, contano 3,6 milioni di lavoratori in smart working oggi, quasi 500.000 in meno rispetto al 2021, una riduzione da leggersi soprattutto nella PA e nelle piccole e media imprese che hanno fatto un passo indietro.
Il 91% delle grandi aziende (era l’81% nel 2021) applica lo smart working per un totale di 9,5 giorni al mese, mentre le medie realtà per 4,5 giorni confermando ancora che il salto culturale da smart working emergenziale a strutturale richiede tempi diversamente lunghi. Nella PA le giornate da remoto sono 8 al mese e la modalità di lavoro smart viene applicata nel 57% delle amministrazioni (contro il 67% dello scorso anno).
L’analisi del Politecnico stima anche i risparmi annuali legati allo smart working, calcolati su due giorni a settimana da remoto.
– 600 euro per lavoratore (partendo dalla stima di una spesa di mille euro di trasporti dalla quale vanno sottratti circa 400 euro di costi per luce e gas.)
– 500 euro annui a postazione per il datore di lavoro, risparmio destinato a salire fino a 2.500 euro a persona se l’azienda ripensa agli spazi degli uffici, opta per soluzioni modulari. Lo ha fatto già il 52% delle grandi aziende, il 30% delle Pmi e il 25% delle PA. Non a caso le ultime nuove sedi inaugurate a Milano hanno tutte applicato il concetto di smart office, pensato per lavoro e aggregazione con spazi ottimizzati, prenotabili a rotazione (tra quelle da noi visitate Oracle, Vmware, Microsoft). Si impegneranno in progetti simili un ulteriore 26% di grandi imprese, il 21% delle PA e il 14% delle Pmi.
Ma c’è un ulteriore risparmio indotto. La riduzione degli spostamenti porta a stimare un risparmio per l’ambiente, con la riduzione delle emissioni di CO2 a 450 kg a persona all’anno (-350 kg) e delle emissioni prodotte nelle sedi di lavoro (-400 kg) al netto delle emissioni casalinghe dovute al lavoro a casa (in media circa 300 Kg di CO2).

Interrogativi aperti, i pareri di chi ha condotto le ricerche

1 – Diffusione e costi.Nel complesso lo smart working comporta una generale riduzione dei costi sia per i lavoratori sia per le aziende che lo adottano – spiega Fiorella Crespi, direttrice dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano –. In questo momento di grave tensione su costi energetici e inflazione, questo risparmio potrebbe essere impiegato per fronteggiare la crisi e sostenere la redditività aziendale e il potere d’acquisto dei lavoratori. Le organizzazioni potrebbero valutare di restituire ai lavoratori una parte del risparmio ottenuto, ma nella nostra rilevazione oggi solo il 13% delle aziende del campione prevede per i lavoratori che lavorano da remoto dei bonus o rimborsi che non siano buoni pasto”.

2 – Benessere e territorio. “Il bilancio sul biennio trascorso – commenta Sebastiano Fadda, presidente di Inapp – ci induce a tenere conto anche delle polarizzazioni emerse tra pubblico e privato, delle tipologie di imprese, ma anche dei marcati squilibri territoriali con, ad esempio, una quasi totale carenza nel Sud e nelle isole dello smart working quale indicatore di performance nella contrattazione aziendale relativa al premio di risultato delle imprese, che interessa solo il 3% delle imprese del Mezzogiorno rispetto a quasi il 50% delle imprese del Nord-Ovest e il 29% del Nord-Est. Eppure, il Mezzogiorno potrebbe beneficiare notevolmente della diffusione dello smart working, sia in termini di prestazioni lavorative svolte al Sud per imprese del Nord, sia in termini di ripopolazione delle aree interne”.

3 – Ingaggio e talenti.La riflessione sullo smart working sta rapidamente giungendo ad un nuovo stadio di maturazione. Per quanto lo strumento sia ormai fondamentale per garantire quella flessibilità sempre più richiesta dai dipendenti, si rivela in realtà molto più efficace per le figure più senior, aumentandone anche la produttività. Al contrario, è innegabile che possa generare alcune problematicità per le figure junior, rendendo più complesso trasmettere non solo la cultura aziendale, ma anche le skill necessarie per svolgere al meglio il proprio lavoro. La riflessione sull’introduzione di modelli ibridi, quindi, è sempre più necessaria in tutti i contesti lavorativi, per riuscire a far dialogare le necessità di tutte le diverse parti coinvolte”, precisa Alessandro Rimassa, founder di Radical HR.

Nello scenario attuale, con i costi dell’energia che registrano crescite vertiginose, aziende e dipendenti si trovano a rivalutare le proprie priorità relativamente allo smart working e si vedono nascere interessanti modalità destinate a fare scuola e a far discutere.
Due esempi su tutti: il Comune di Milano, che per ridurre i costi del riscaldamento, propone ai dipendenti lo smart working il lunedì e il venerdì e il lavoro in presenza negli altri giorni della settimana, e Intesa Sanpaolo che sta discutendo la proposta della settimana breve (4 giorni di lavoro per 9 ore al giorno, invece che le attuali 7,5, con il venerdì libero). Si è riacceso il dibattito su queste scelte, benvenga, perché dimostra che serve ancora riflettere su cosa sia davvero il “vero smart working”. 

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