L’intelligenza artificiale nel marketing è essenzialmente trattata come un alleato tattico, utile a produrre testi più rapidamente, a ottimizzare campagne digitali o a ridurre i costi di assistenza con chatbot sempre attivi. Un’innovazione significativa, certo, ma confinata a un ruolo di supporto. Oggi invece l’AI sta assumendo una funzione ancora più sostanziale: non è più soltanto un moltiplicatore di produttività, ma un motore capace di ridefinire linguaggi, tempi e forme della comunicazione. La domanda che manager e imprenditori dovrebbero porsi non è più “quanto posso risparmiare usando l’AI?”, ma “che tipo di esperienza posso creare che prima non era nemmeno pensabile?” Per le imprese si apre un terreno nuovo, in cui il valore non sta nella velocità con cui si replicano attività già note, ma nella possibilità di creare esperienze che prima non erano nemmeno immaginabili.

Lo storytelling si evolve con l’utente

La narrazione è sempre stata la chiave del marketing, ma fino a oggi anche le campagne più sofisticate erano costruite su sequenze predefinite di messaggi. L’AI introduce una discontinuità perché consente di passare da un racconto statico a un racconto dinamico, che si rimodella in base al contesto e al comportamento dell’utente. Non parliamo più di generare un singolo testo su misura, ma di costruire un universo narrativo modulare che cambia volto man mano che l’utente interagisce.

La collaborazione tra HP e Lore Machine in Cina è un esempio eloquente: non una semplice campagna pubblicitaria, ma un’esperienza immersiva in cui il racconto si trasforma in immagini, animazioni e sequenze audiovisive differenti a seconda dei percorsi dell’utente.

Lore Machine
Lore Machine, l’esperienza immersiva che si trasforma a seconda dei percorsi 

Per le imprese questa non è solo una questione di creatività: implica costruire una base narrativa modulare, personaggi, episodi, metafore, riferimenti visivi, che l’AI può ricombinare per far evolvere il racconto. Un cliente che interagisce con un brand tecnologico, ad esempio, potrebbe essere accompagnato da una sequenza che mette in risalto il tema dell’innovazione se è al primo contatto, o da una storia che punta alla fiducia e alla solidità se ha già concluso acquisti precedenti. Un altro esempio è la piattaforma SoMin.ai che miscela profilazione psicografica e generazione automatica di contenuti: riconosce caratteristiche di personalità dell’utente e genera post o testi che si adattano allo stile percepito. Il sistema accoglie feedback in tempo reale per affinare il contenuto generato, intervenendo sulla tonalità, sul registro e sull’orientamento emotivo del messaggio. È un livello di personalizzazione che supera la logica del “nome inserito nell’email” o della segmentazione di massa: qui l’utente percepisce che la relazione narrativa cresce con lui.

I micro-momenti come nuova frontiera del tempo reale

Se lo storytelling introduce la dimensione del “come” raccontare, i micro-momenti si concentrano sul “quando”. Google ha definito così quegli istanti in cui il consumatore agisce spinto da un’intenzione precisa: sapere qualcosa, fare qualcosa, andare da qualche parte, comprare. È in questi spazi temporali, spesso di pochi secondi, che si decide la partita della conversione. Finora il marketing ha lavorato su cluster, prevedendo azioni tipiche di segmenti più o meno ampi. L’AI permette invece di leggere in tempo reale segnali comportamentali minuti, tempi di permanenza su una pagina, esitazioni sul carrello, interazioni con filtri e moduli, e di attivare un intervento mirato nell’istante stesso in cui il bisogno emerge.

Nestlé, ad esempio, ha usato modelli predittivi per individuare questi momenti ad alta intenzionalità e proporre contenuti contestuali, che potevano spaziare da suggerimenti pratici a promozioni personalizzate. Nel settore travel, anche realtà italiane stanno testando strumenti analoghi: piattaforme di prenotazione online capaci di riconoscere quando un utente si sofferma troppo a lungo sul filtro prezzo e di proporre, proprio in quel momento, pacchetti comparativi o alternative vantaggiose.

La differenza rispetto al passato è netta: non si pianifica più una campagna in anticipo sperando che intercetti l’utente al momento giusto, ma si reagisce in diretta all’intenzione, trasformando il marketing in un flusso adattivo. Per le aziende significa rivedere l’architettura dei dati: non basta accumulare informazioni a posteriori, serve integrare sistemi capaci di osservare, interpretare e decidere nel giro di secondi. È questa immediatezza, resa possibile dall’AI, che segna un passo avanti rispetto a ogni forma precedente di personalizzazione.

Avatar e influencer virtuali, tra autenticità e accessibilità

Il capitolo più visibile di questa evoluzione è quello degli avatar digitali. Il caso di Lil Miquela, che ha collaborato con Prada e Calvin Klein, ha mostrato sia le potenzialità che i rischi: grande attenzione mediatica ed engagement, ma anche critiche legate alla percezione di manipolazione e alla mancanza di trasparenza. È la dimostrazione che l’AI, quando si sostituisce all’autenticità umana, deve essere maneggiata con cautela. Ma non ci sono solo progetti iconici e globali. Tecnologie come Synthesia hanno democratizzato la produzione di avatar sintetici, rendendola accessibile anche a piccole e medie imprese.

Un esempio degli avatar di Synthesia
Un esempio di utilizzo degli avatar con Synthesia

Oggi una Pmi può generare in poche ore un video in cui un avatar parla in più lingue, spiegando un prodotto, illustrando un servizio di assistenza o presentando un tutorial. Soluzioni simili, come Hour One o Rephrase.ai, sono già utilizzate in settori diversi: Telefónica in Spagna li ha sperimentati per il customer service multilingua, catene retail li hanno impiegati per raccontare nuove collezioni, università italiane li stanno valutando per ampliare la produzione di contenuti didattici digitali senza moltiplicare i costi di produzione. Il salto rispetto al passato sta nel fatto che l’avatar non è più una trovata di immagine riservata a grandi budget, ma un mezzo concreto per dare continuità alla comunicazione e per garantire prossimità al cliente. Il rischio di disallineamento resta, ma la possibilità di creare un “volto” coerente e sempre disponibile apre scenari che prima erano impraticabili.

Dal risparmio all’esperienza

Questi tre ambiti, se osservati insieme, mostrano con chiarezza come l’AI stia passando dal piano dell’efficienza a quello dell’esperienza. Non si tratta più solo di fare meglio ciò che si faceva già, ma di costruire relazioni nuove, in cui il racconto evolve con l’utente, il messaggio arriva nell’attimo esatto in cui serve e la voce del brand diventa una presenza costante e riconoscibile. Per manager e imprenditori la questione non è più “se” adottare l’AI, ma “come” elevarne l’uso. Creare archivi narrativi modulari, mettere in piedi sistemi capaci di leggere i segnali comportamentali in tempo reale, definire con attenzione la personalità di un avatar digitale non sono più esercizi futuristici, ma passaggi strategici che permettono di alzare davvero l’asticella. È in questa capacità di trasformare la tecnologia in esperienza, e l’esperienza in valore, che oggi si misura la competitività del marketing.

*Fabrizio Albergati, giornalista e senior advisor in ambito tecnologico

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