E’ un dossier di 133 pagine, interessante e dettagliato, ma la nostra attenzione si focalizza solo su alcuni aspetti della sesta edizione del “Rapporto sulla competitività dei settori produttivi” redatto da Istat e presentato nei giorni scorsi a Milano. Aspetti legati a produttività e digitale, a banda larga e imprese italiane, alla digitalizzazione delle stesse.
E veniamo subito al dunque, ancora prima dei dati. Laddove il digitale c’è spinge produttività, investimenti e occupazione. Già sentito, quasi a noia, ma sono le stesse imprese italiane che esprimono il giudizio positivo nel Rapporto, dopo anni in sottotono. Le aziende italiane di industria e servizi, un pallino di Inno3, anche se di piccole dimensioni (con almeno 10 addetti) hanno dimostrato che il digitale è una leva per crescere. Anche se non ancora abbastanza per spingere il paese.
Partiamo dai dati sottotono. Primo dato: due aziende su tre non sono ancora state affascinate dalla digitalizzazione, restando indifferenti ad innovare i processi produttivi. Secondo dato: le aziende che registrano un tasso alto di digitalizzazione sono solo il 3% del totale. Terzo dato: la crescita del paese è stata di 0,2% dal 2013 al 2017 (contro lo 0,4% Uem). Quarto dato: a livello globale gli investimenti sono cresciuti dello 0,5% (contro una crescita europea dello 0,9%).
Se si guarda nello specifico il tema della trasformazione digitale, si osserva che in Italia solo il 7% delle imprese ha accesso a banda larga (ultimo posto in compagnia della Grecia, come mostra il grafico) e solo il 44% delle aziende italiane online utilizza i social media per le proprie attività, proponendo solo per il 15% ecommerce.
Ma – ecco i dati rincuoranti – il 48,7% delle aziende con più di dieci addetti, nel triennio 2014-2016, ha innovato di più rispetto al 2012-2014 (+4%), con attitudini diverse: il 30,3% delle aziende rientra nella categoria degli “Innovatori forti” trasformando prodotti e processi; quasi il 25% sono “Innovatori di prodotto” in prevalenza nel settore Manifatturiero; il 18,5% sono “Innovatori di processo”; il 22% “Innovatori deboli”, innovano cioè solo l’organizzazione o il marketing, in prevalenza nel Settore Servizi. Sono invece “Potenziali innovatori”, aziende che hanno svolto attività di trasformazione tecnologica senza alla fine tradurle in innovazione, il 4,9% del totale.
Un giudizio positivo anche per le politiche di stimolo nell’ambito del Piano Nazionale Impresa 4.0: per il 62,1% delle imprese manifatturiere il super ammortamento ha svolto un ruolo “molto” o “abbastanza” rilevante nella decisione di investire nel 2017; l’Iper ammortamento per il 47,6% (53% nelle medie imprese, 57,6% delle grandi); infine, il credito d’imposta per spese in R&S è stato ritenuto rilevante dal 40,8% delle imprese.
Altri segnali di interesse in settimana: impegni stipulati per nuovi cantieri di sperimentazione del 5G (l’ultimo annunciato è il memorandum di intenti tra Tim e Ericsson per Genova), impegni proclamati nei messaggi di insediamento dei nuovi presidenti di Camera e Senato che hanno citato il tema del digitale come elemento chiave del processo di cambiamento. Un impegno che è un imperativo come il presidente di Confindustria Digitale, Elio Catania, (in un’intervista a Inno3) ribadisce: “In questo momento siamo in una fase veramente delicata. Abbiamo superato la fase zero, quella della consapevolezza, adesso dobbiamo entrare nella fase concreta di progettazione: un progetto di integrazione digitale per ogni impresa. Questo deve essere l’imperativo su cui tutti quanti noi ci dobbiamo impegnare. Abbiamo davanti una fase di incertezza politica, mi auspico che la tecnologia e il digitale venga rimessa al centro della politica economica del Paese. Ma nell’attesa non possiamo star fermi. Impresa 4.0 non è uno slogan di marketing, è il modo in cui stiamo ridisegnando l’economia del nostro paese”. Sfide comuni per tutti.
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