Lo ha definito il perno del nuovo esecutivo Francesco Venturini sul Corriere della Sera di sabato 13 febbraio, quel triangolo tra Economia-Transizione ecologica-Innovazione digitale che segna la nascita del nuovo governo. “E’ questo il core business del nuovo esecutivo, il nucleo che sarà chiamato a gestire i piani dell’Italia che verrà, a partire dai fondi europei del Recovery Plan”.
Innovazione digitale, il lato del triangolo perno della linea editoriale di Inno3, che richiede strategia globale (guidata da Europa in primis e Paesi membri poi) e messa a terra in ogni settore. Bene. Fermiamoci su questo aspetto.
Avevamo applaudito al ritorno in vita del ministero dedicato all’innovazione e alla trasformazione digitale nel precedente esecutivo (Conte 2, settembre 2019, ben distante dal primo esperimento nel quinquennio 2001-2006 con Lucio Stanca) e anche alle mosse in erba della ministra Paola Pisano che aveva durante il mandato alzato l’attenzione su digitale e impegno in incontri e palchi internazionali (AI, blockchain, Made in Italy, Europa, Ces…) ma deludendo molte aspettative in questo anno di pandemia, in cui si sperava in un’accelerata visto l’attenzione riservata al digitale in molti ambiti.
Come strumento di ripartenza. Come tassello fondamentale per smovere la sanità e i progetti di e-health. Come elemento indispensabile per garantire la business continuity di pubblico e privato, in tempi di smart working. Come volàno degli investimenti della PA che ha incrementato del 4,3% la spesa Ict. Come motore degli investimenti privati delle aziende impegnate in processi di modernizzazione applicativa e di migrazione al cloud che, nel mercato Ict in sofferenza ( -2% nel 2020,) sono da traino per la crescita attesa nel 2021 (+3,4%). Come cartina di tornasole in una didattica a distanza che ha catapultato studenti, docenti e famiglie sulle piattaforme di collaboration e su una scuola dar ripensare.
Scoperchiando problemi enormi, dal digital divide tra regioni, aree urbane e periferie, dagli investimenti carenti in infrastrutture fino alle dotazioni aziendali e familiari, dalle competenze digitali per gestire un mondo tutto da remoto (carenze comuni a molte realtà nel pubblico, nel privato, nella scuola) fino alla messa in discussione di modelli organizzativi, strategie e cambio di mentalità necessari per spingere accordi e leggi appropriate in ogni settore. “Il digitale come abilitatore” si è argomentato su più tavoli, innescando un ripensamento collettivo di lavoro, scuola, servizi, società non gestibile solo in via emergenziale, a colpi di Dpcm.
Nulla di non detto, ma il passaggio di testimone dalla ministra Pisano al nuovo ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale Vittorio Colao (classe 1961) porta con sé questioni aperte e molte aspettative.
In attesa del programma, dei contenuti, e dei tempi di attuazione (tre aspetti fondamentali per qualsiasi prima impressione), la dote di Colao spinge a immaginare un ministro forte sui temi “infrastrutturali”, lui nel mondo Tlc dal 1996 come direttore generale prima di Omnitel, la futura Vodafone, guidata poi in Italia, in Europa fino a livello globale.
Ceo mondiale di Vodafone per un decennio (2008-2018) negli anni di forte concorrenza con l’ex monopolista Telecom (sia in ambito infrastrutturale sia telefonico), Colao conosce come le sue tasche tutti i risvolti del ritardo digitale accumulato dall’Italia con il resto dell’Europa, le difficoltà nell’attuazione del piano per la diffusione della banda ultralarga nelle aree grigie e nella PA, nonostante l’avvio della fibra ottica e i lavori impostati per il 5G.
Un ministro già in sintonia con altri ministri freschi di nomina: nel governo uscente, Colao aveva guidato la task force per gestire l’emergenza durante la prima pandemia e alla stesura del “Piano Colao” aveva partecipato il fisico Roberto Cingolani, 59 anni, ora ministro del nuovissimo ministero della Transizione Ecologica (tema fino ad oggi in mano a due poteri distinti, Ambiente e Mise).
Solo un cenno che riporta la tecnologia in primo piano.
Cingolani negli ultimi due anni ha guidato la trasformazione di Leonardo come Chief Innovation & Technology Officer, fondatore dell’Istituto italiano di tecnologia nel 2005, laureato alla Scuola Normale di Pisa con un curriculum di ricerca in Germania, Giappone e Usa, un profilo altamente tecnologico. Così nella prefazione del suo recente libro “P come Prevenire. Perché solo la prevenzione può salvarci” – scritto a sei mani con Paolo Vineis e Luca Carra (2020): “Solo un radicale mutamento nella gestione e organizzazione della vita pubblica – incluso l’impiego delle tecnologie – può metterci al riparo dalla convergenza di così tante tendenze negative…” ribadendo come solo soluzioni globali, preventive e lungimiranti possano risolvere i tre debiti del genere umano: socio-economico, ambientale e cognitivo.
Sul debito in competenze e conoscenza scendono in campo due ex rettori, a capo dei due ministeri che hanno in mano la formazione delle generazioni future. Ministra dell’Università (ministero fin troppo silente ad oggi) Cristina Messa, laurea in medicina e vita spesa nella ricerca, vice presidente del Crn, delegata nel programma Horizon 2020, membro del comitato coordinatore di Human Technopole, ex-rettore dell’università Bicocca.
Ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, rettore dell’Università di Ferrara fino al 2010, autore del rapporto per la ripartenza della scuola post pandemia (voluto dalla predecessora Azzolina), non perdendo di vista quanto “l’emergenza strutturale dell’istruzione italiana esista da almeno cinquant’anni”, con particolare attenzione al divario Nord-Sud.
Quattri profili di una squadra del governo Draghi ben più ampia, che fanno della tecnologia e della ricerca le basi per l’innovazione. Noi ci concentriamo su questa, con alte aspettative.
© RIPRODUZIONE RISERVATA