Negli ultimi anni si è assistito alla presentazione e promozione sui mercati di prodotti e servizi con una forte componente tecnologica. La spinta mediatica ha favorito la trasformazione di molti prodotti e servizi, diventati digitali e connessi, per la raccolta dei dati di utilizzo e la costruzione di nuovi servizi. Ad esempio, nel settore della moda sono stati proposti prodotti dotati di sensori e di app per la visualizzazione dei dati raccolti.

Se nel recente passato la novità tecnologica, il gadget, poteva ingaggiare il consumatore in una nuova esperienza, oggi la tendenza a utilizzare troppa tecnologia si traduce spesso in complessità per l’utilizzatore. E la complessità rischia di raffreddare la relazione tra consumatore e brand, disincentivare l’acquisto del prodotto o servizio, portare un effetto contrario a quello di stimolo al mercato. Il rischio è di perdere l’aspetto umano e di relazione. Oggi è fondamentale trovare il giusto bilanciamento tra uso della tecnologia per efficienza operativa, ingaggio del consumatore ed esperienza d’uso. È quello che gli studi di settore chiamanoauthentic automation: tecnologia per rendere semplici, rapide, automatiche alcune operazioni, mantenendo centrale l’aspetto relazionale.

Le dinamiche di consumo sono cambiate, il mercato è cambiato, i valori di acquisto sono cambiati. Fiducia e sostenibilità sono diventati elementi essenziali: secondo B2C Predictions for 2022 di Forrester, più del 40% dei consumatori è attento a parametri di sostenibilità, più dell’80% cerca una buona esperienza di acquisto (non solo un buon prodotto) e più del 90% acquista anche grazie al servizio offerto insieme al prodotto.

Le complessità che le aziende retail affrontano

Le aziende del retail hanno accelerato la trasformazione digitale, anche spinte dal cambiamento del mercato che le ha costrette a dotarsi di nuove soluzioni tecnologiche per indirizzare specifici problemi, magari in tempi ristretti. Soluzioni “verticali” che ora vanno gestite e armonizzate in una visione integrata e di sistema, in un contesto complesso come quello del retail. L’implementazione di una soluzione tecnologica è, però, spesso tanto complessa quanto il suo sviluppo: distribuzione geografica, diversa dotazione degli store, necessità di ingaggiare e formare le persone. Questo si traduce in grandi progetti di gestione del cambiamento.

Le aziende devono fare i conti non solo con una possibile scarsa integrazione fra canali di vendita e una conoscenza parziale del consumatore finale (ad esempio perché il canale è indiretto e/o perché il tipo di consumatore ha delle abitudini che cambiano velocemente), ma anche con problemi interni all’azienda, quali per esempio la mancata piena valorizzazione del patrimonio informativo aziendale (con conseguente mancato Roi degli investimenti fatti per la raccolta dati e costruzione delle infrastrutture tecnologiche necessarie), la difficoltà nel raccogliere ed elaborare le informazioni necessarie ad avere una visione di sostenibilità dell’azienda per costruire un percorso di miglioramento continuo, e la necessità di costruire cultura digitale.

Altro punto di attenzione sicuramente la sostenibilità: il consumatore non si accontenta più di sentirsi dire che le aziende sono sostenibili, perché ne chiede evidenza. Monitoraggio e misurazione dei parametri di sostenibilità dovrebbero essere svolti in modo strutturato e sistematico; cosa che non sempre è garantita per mancanza di standard, per indisponibilità delle informazioni, per benchmark di settore, per necessità di coinvolgere l’intera filiera. Se da un lato c’è quindi l’opportunità di un nuovo posizionamento sul mercato sulla base di nuovi requisiti di sostenibilità, dall’altro c’è il rischio legato al fatto che i consumatori esigono trasparenza sul tema che, qualora non venga garantita, può portare anche a un danno reputazionale.

A fronte di questa complessità, quanto tempo hanno le aziende per cambiare e adeguarsi? Sempre meno. I valori di acquisto dei consumatori stanno cambiando rapidamente, le dinamiche di mercato stanno accelerando, la complessità sta aumentando, la tecnologia sta accelerando, nuove regolamentazioni stanno arrivando. Aumentare le risorse a disposizione, di persone e tecnologiche, non è di per se una soluzione efficace.

Basta dire intelligenza artificiale?

L’intelligenza artificiale può essere un ottimo strumento di accelerazione, forse uno degli esempi di discontinuità più rilevante nella recente storia tecnologica e umana. Nello specifico, in ambito retail le aziende valutano l’utilizzo di tecnologie di AI per tanti scopi e diversi casi d’uso. Gli obiettivi principali sono sostanzialmente tre: fornire un’esperienza ottimale e personalizzata ai propri clienti e, in generale alle persone in negozio; aumentare le vendite migliorando il tasso di conversione; ridurre i costi operativi e migliorare l’efficienza complessiva.

Guardando ai possibili ambiti di applicazione, si va dall’ottimizzazione dell’assortimento, alla personalizzazione spinta delle azioni di marketing rispetto all’esperienza di acquisto dei singoli visitatori, alla segnalazione di potenziali frodi per prodotti contraffatti. E ancora nuove forme di esperienza personalizzata nei negozi, la possibilità di rilevare segnali deboli nel processo di vendita nel rispetto delle normative sulla privacy, la possibilità di elaborare statistiche sui punti di maggiore interesse e sui tempi di permanenza in negozio, il miglioramento della disposizione dei prodotti e gli assortimenti in base all’affluenza, la modifica del layout del negozio per massimizzare le conversioni di acquisto.

Esperienza retail dei consumatori
L’esperienza retail dei consumatori deve essere indirizzata con tecnologie che permettono un’esperienza multicanale personalizzata

Rispetto alle soluzioni tradizionali, basate ad esempio su Rfid e tecnologie di prossimità, l’uso dell’AI consentirà una miglior comprensione di quanto avviene nel punto vendita e la realizzazione di azioni mirate al raggiungimento dei tre obiettivi identificati.

L’AI sembrerebbe effettivamente la soluzione a tutti i problemi delle aziende in ambito retail. Nella realtà è sicuramente un’ottima opzione da esplorare, anche se da sola non potrà mai risolvere tutte le problematiche.

È sufficiente comprare tecnologia?

Una cosa è certa: non basta comprare tecnologia. Generalizzando quanto detto a proposito dell’intelligenza artificiale, la tecnologia risolve un bisogno. Se non è chiaro il bisogno al quale si vuole dare risposta, una soluzione tecnologica non serve. Anzi si traduce in uno spreco di risorse e investimenti. Questo porta a forzature e soluzioni non ottimali, che mal si adattano al contesto aziendale, con maggiori costi, inefficienza, e impatto negativo sulle persone.

Una trasformazione digitale di successo passa attraverso una risposta onesta a tre domande fondamentali: perché innovare? Cosa innovare? Come accrescere la capacità di innovazione?

E allora è fondamentale capire il bisogno o, più in generale, dove sono le opportunità senza trascurare i clienti che non sono solo gli acquirenti dei prodotti o servizi, ma anche i clienti interni – ovvero le persone che lavorano nelle divisioni funzionali, chi pensa il nuovo prodotto o servizio, chi lo realizza, chi deve portarlo sul mercato, chi deve ascoltare la voce del cliente esterno e riportare all’interno fatti, evidenze, esperienze, apprendimenti, conoscenza – e i clienti esterni, la rete vendita, i fornitori, le filiere, che chiedono e consumano servizi (digitali).

Un modello sperimentato da Cefriel, denominato 0-100 company, permette di stimolare la capacità di un’azienda di identificare le proprie aree di miglioramento, i pain, e le proprie opportunità, i gain. Si lavora affinché si possano ridurre i problemi, cogliere le opportunità, far dialogare le funzioni interne, rileggere la situazione attuale e costruire una visione futura, definendo un percorso strutturato di crescita e sviluppo. Un framework di lavoro da calare di volta in volta nel contesto specifico dell’azienda.

In sintesi, è necessario cambiare il punto di vista sull’innovazione: da progetto a percorso, per passare da prodotti a ecosistemi di servizi, da business tradizionale a nuovi modelli di revenue, da processi decisionali reattivi basati sulle dinamiche passate a decisioni basate su modelli predittivi e prescrittivi. Serve capacità, intesa non solo come conoscenza della tecnologia ma come attitudine a creare reale impatto nei prodotti e processi.

Tre sono gli ingredienti principali: vision, per definire obiettivi chiari da raggiungere e il percorso per arrivarci; strategia, necessaria per capire quali prodotti e servizi produrre e per quali fasce di mercato retail; capacità di esecuzione, ovvero non “solo” formazione, ma nuove competenze e ruoli.

* Roberto Farina, Business Partner Cefriel

Per saperne di più scarica il whitepaper: Intelligenza artificiale responsabile

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