In un mercato in cui le soluzioni MarTech si stanno sempre più consolidando e la relazione impresa-cliente è sempre più digitale, grazie a nuovi canali e a nuove aspettative di customer experience, è indispensabile comprendere come le aziende stiano integrando le marketing technologies all’interno delle marketing operations per creare innovazione e nuove capabilities realmente potenziate dalla tecnologia.

Ci aiuta a comprendere meglio lo stato dell’arte e i trend futuri Matteo Pozzuoli, marketing director di Sap Italia che esordisce nel mondo della comunicazione lavorando per alcune delle più importanti agenzie di pubblicità in Italia, per poi occuparsi soprattutto di e-commerce, media e social media fino ad approdare nel 2016 in Sap.

Martech Stack e B2B, a che punto siamo in Italia?

Non è possibile parlare di un unico MarTech Stack, tutto dipende dalle aziende, dalla classe dimensionale, dai settori e dalla consapevolezza del management della necessità di utilizzare la tecnologia per favorire il business. In termini di consapevolezza, possiamo affermare che siamo intorno al 95%, un dato ai massimi storici, conseguenza anche della forte accelerazione impressa dal Covid-19. Difficile – se non impossibile – invece valutare quanto effettivamente le aziende, siano esse b2b o b2c, stiano effettivamente comprando, sviluppando e utilizzando la tecnologia per supportare i processi aziendali e di marketing. Ci sono fenomeni come quello di ChatGpt, per esempio, che rappresentano un momento di rottura e che spingono le imprese a dotarsi di una nuova tecnologia diventata di moda, ma ci sono altri casi in cui è difficile misurare, banalmente anche se l’azienda sta usando o meno un sistema di Crm.

Hai citato la dimensione aziendale e i settori. È sempre la grande impresa ad utilizzare la tecnologia o iniziano ad affacciarsi al mondo MarTech anche le piccole e medie imprese?

Solitamente sono le grandi imprese ad implementare per prime le soluzioni più innovative ma non è detto che poi le utilizzino appieno perché nelle grosse organizzazioni i processi sono più articolati e spesso per utilizzare una nuova tecnologia ci vuole un minimo di agilità. Dalla mia esperienza professionale, posso affermare che sicuramente come Sap ci siamo dotati e abbiamo creato diverse soluzioni d’avanguardia anche in ambito marketing, ma poi non è stata così veloce la loro adozione– parliamo di una dimensione molto ampia, di oltre 100mila dipendenti. Paradossalmente un’azienda più piccola o una startup è molto più facilitata da questo punto di vista nell’utilizzo delle marketing technologies in quanto è più flessibile rispetto alla grande impresa.

E invece per quanto riguarda i settori, chi è più MarTech in questo momento nel panorama italiano?

Oggi vedo il largo consumo, il farmaceutico, la grande distribuzione organizzata particolarmente brillanti in questo ambito. Tutti settori che hanno più necessità, o che ne hanno avuta recentemente, per esempio, durante il Covid-19, di crescere velocemente o sviluppare nuovi modelli di business. Ovviamente non sono partiti da zero: chi è oggi più MarTech aveva già avviato un percorso di trasformazione e il Covid-19 è stato solo un acceleratore.

Qual è l’approccio alle marketing technologies all’interno delle imprese italiane?

Come Sap abbiamo un osservatorio abbastanza privilegiato perché vendiamo tecnologia alle aziende italiane e non esiste azienda che, nel contesto attuale, non senta la necessità di fare qualche tipo di investimento nel digitale.

Matteo Pozzuoli, Head of Marketing, SAP Italia
Matteo Pozzuoli, Head of Marketing, SAP Italia

L’Italia è fatta prevalentemente di piccole e medie imprese e se immaginiamo aziende con un fatturato di 100/200 milioni di euro queste ultime hanno bisogno di investire in tecnologie per competere con successo. Tant’è che per esempio come Sap, uno delle ultime soluzioni che abbiamo sviluppato, Grow with Sap, l’abbiamo progettata proprio per le aziende di medie dimensioni, per dare loro una sorta di “cassetta degli attrezzi” all’interno della quale sono integrate tutte le più aggiornate tecnologie, dall’intelligenza artificiale al machine learning, al fine di permettere tempi per l’implementazioni molto rapidi e un accesso all’innovazione immediato.

Best of breed o la soluzione integrata?

Abbiamo notato un cambiamento post-pandemia. Se prima la sensazione era che ci fosse un pochino più di far west nell’approccio alle marketing technologies, con la pandemia le aziende hanno iniziato a rivolgersi ad aziende come la nostra non più con un occhio solo al trade-off tra reputazione, dimensione aziendale, complessità e tempistiche dei progetti, ma alla solidità dell’azienda e, quindi, alla capacità di garantire un certo tipo di servizio e un certo tipo di standard nel tempo.

A livello decisionale, chi prende le decisioni MarTech in azienda? Chi si rivolge a voi alla ricerca delle marketing technologies?

Questo dipende tantissimo da come è strutturata l’organizzazione. Ci sono aziende in cui ritroviamo un champion che può essere a volte anche il Ceo, altrimenti il dipartimento IT è quello che sicuramente gioca un ruolo fondamentale in ambito MarTech per poter definire processi e soluzioni che permettano ai responsabili  di occuparsi di business e non di tecnologia. All’interno delle aziende si tende quindi a chiedere all’IT di trovare le soluzioni che facciamo funzionare al meglio il business, dalla gestione dei dati alla gestione della digital identity, dalla reportistica alla generazione degli insight utili al processo decisionale.

Se pensiamo al funnel di marketing e soprattutto alle fasi di conversion, loyalty e advocacy, quali sono le tecnologie che vengono maggiormente utilizzate per supportare le attività di ingaggio della clientela più che per attività di lead generation?

Sap offre una soluzione, best of breed che si chiama Sap Emarsys, che permette di gestire il funnel di marketing a 360 gradi dal riconoscimento del cliente/prospect, alla personalizzazione degli investimenti media e delle campagne. Le aziende chiedono a Sap soluzioni per meglio rispondere alle esigenze e ai desiderata della propria clientela, ormai abituata alle esperienze facili e immediate offerte da Amazon o Netflix, a lavorare con piattaforme avanzate e che non apprezza esperienze di acquisto incoerenti, frammentate o addirittura complesse. Sia in ambito b2b, sia b2c, oggi le persone si confrontano e sono sempre più spesso alla ricerca di un digital touch e di un’esperienza semplice e senza soluzione di continuità.

B2b e b2c: i confini si fanno sempre più labili

La soluzione Sap Emarsys è una soluzione semplice da un lato, ma estremamente sofisticata dall’altro e permette al marketer in questione – il direttore marketing o lo specialista – di poter vedere dall’inizio alla fine che cosa succede e l’andamento delle proprie campagne marketing. Forse il più grande tema da quando è nato il digitale è l’attribution (di un qualsiasi obiettivo marketing, dal lead all’acquisizione di un nuovo cliente, alla gestione dei dati personali del prospect o cliente), e tutt’oggi non esiste un modello di attribution che sia affidabile al 100%. Ci sono modelli che preferiscono attribuire in maniera dinamica, altri che distribuiscono all’ultimo miglio, altri ancora che credono che il primo ingaggio sia migliore. Il tema è avere e unire competenze, personali e professionali, per permettere all’utente che si trova a dover lavorare con un determinato strumento di comprenderne il funzionamento, le informazioni e i dati disponibili. Queste competenze devono essere integrate anche con la capacità di interpretazione del dato in quanto, se pensiamo alle ipotesi offerte dagli algoritmi di intelligenza artificiale in maniera predittiva, non è scritto da nessuna parte che la predizione sia corretta al 100%, ma le nostre competenze ed esperienze ci permettono di prendere decisioni di investimenti, piccoli o grandi, sulla base dei dati.

Da queste considerazioni, intelligenza artificiale come supporto all’umano e non come strumento in grado di sostituirlo…

Io onestamente mi auguro che l’intelligenza artificiale possa sostituire il più possibile tutti quei task ripetitivi nei quali noi non diamo un vero valore aggiunto. Sui task dove è richiesta invece una capacità cognitiva, un mix di conoscenze e cultura personale e professionale, l’intelligenza artificiale potrà solo essere un supporto. Bisognerebbe chiedere a un neuroscienziato una tomografia su quante e quali parti del cervello si accendono nel momento in cui noi immaginiamo il futuro, piuttosto che quando siamo su un task ripetitivo che può essere per esempio il controllo di una fattura. In quest’ultimo caso il cervello è “spento”, e proprio in questi momenti abbiamo bisogno di qualcuno in grado di offrirci delle soluzioni, che faccia delle ipotesi per noi, che ragioni con noi anche in maniera, perché no, conversazionale.

Quali sono le principali sfide in ambito MarTech per il prossimo futuro e come le aziende potranno affrontarle?

Sicuramente l’intelligenza artificiale (AI) che permette di fare tutta una serie di cose che oggi possono essere sostituibili. Un esempio semplice è quello delle traduzioni. Caso diverso è se ho bisogno di scrivere un invito personale a dieci persone. Qui avrò bisogno di tutta una serie di informazioni anche emotive che difficilmente riuscirò a comunicare a una macchina, ma nel momento in cui devo sviluppare una pagina che deve contenere molte informazioni e che può lavorare rispetto a quelle informazioni sull’ottimizzazione di numeri e azioni che vengono realizzate sulla pagina, allora non vedo perché non lo possa fare una macchina. Oggi chiamiamo tutto questo “intelligenza”, probabilmente non è nemmeno “intelligenza” perché se prendiamo l’accezione di intelligenza come la capacità di generare del nuovo, oggi intelligenza artificiale che si definisce anche generativa, come ChatGpt ad esempio, non genera nulla di nuovo, ma riformula soltanto qualcosa che già esiste.

Io sono un grande fautore della tecnologia, ma siamo noi che decidiamo che tipo di ruolo poterle dare. Per fare un esempio molto semplice, se pensiamo all’industria aerospaziale, gli aerei hanno smesso di cadere, o comunque ne cadono sempre di meno, soprattutto da quando noi abbiamo permesso alla tecnologia di suggerire quali fossero le rotte alternative, le altitudini migliori, ma non perché come persone non siamo capaci di elaborare queste informazioni, ma perché la tecnologia le elabora rapidamente e in tempo reale e quindi è più efficace nel trovare soluzioni.

In pochi anni siamo arrivati a 10mila soluzioni MarTech, pensi che questa evoluzione continuerà esponenziale nel prossimo futuro o si arriverà a una stabilità per la quale per rispondere ai bisogni emergenti si dovranno adattare le tecnologie esistenti?

Ma io credo che dovremmo fare entrambe le cose. Ci sono degli standard che vanno adottati così come sono, come se fossero dei principi teorici di una materia, dopodiché noi abbiamo sviluppato una grandissima creatività nel trovare soluzioni tecnologiche sempre differenti. Ci sono poi casi, come ad esempio i social media, in cui c’è stata una primavera di strumenti differenti che poi si è tradotta in una sorta di omologazione. Studi scientifici sostengono che siamo meno intelligenti rispetto a qualche generazione fa perché passiamo più tempo a fare cose poco stimolanti, a utilizzare strumenti futili, nonostante il mercato proponga molte soluzioni diverse. Pertanto, credo che le soluzioni tecnologiche continueranno a proliferare, guardando però di più a quella che è l’utilità e il vantaggio per l’utente finale.

Per chiudere, in termini di competenze, che cosa serve effettivamente alle imprese per diventare una vera MarTech company?

Prima di tutto ci deve essere l’impegno del management – che sia l’imprenditore o che sia l’amministratore delegato – altrimenti risulta molto difficile implementare strategie MarTech in azienda. Dopodiché è fondamentale la comunicazione. Il cambiamento va guidato, va condiviso, bisogna spiegare perché si fanno certe scelte, il perché non si fanno più certe cose. Credo che la comunicazione di un imprenditore o amministratore delegato che guarda con fiducia la possibilità di ridurre i costi e di investire in nuove soluzioni che possano avere una ricaduta positiva sul lavoro delle persone, anche in termini salariali, sui prodotti, sui servizi e sui ritorni dell’azienda sia un ottimo punto di partenza perchè l’organizzazione diventi effettivamente una MarTech company. Quindi commitment, ma anche cultura aziendale, e poi comunicazione interna verso i dipendenti in modo tale da far capire quelle che sono le scelte in un’ottica di massima trasparenza.

Per quanto riguarda invece le competenze, sicuramente è necessario sviluppare competenze tecniche, ma anche competenze marketing in senso lato. Le università possono giocare un ruolo fondamentale, le competenze vanno insegnate in università creando però un ponte con le imprese. Alcuni lavori e alcune soluzioni sono molto specifici, ma ci sono alcuni principi e meccanismi che sono ormai condivisi e che si possono effettivamente insegnare all’interno delle aule universitarie come competenze trasversali, poi il resto lo si impara in azienda lavorando e sperimentando. Per questo è importante la contaminazione tra mondo accademico e mondo aziendale.

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