E’ un monito quello che lancia l’edizione 2024 del Circularity Gap Report, lo studio che fa il punto ogni anno sull’economia circolare a livello globale.
E’ un allarme, urlato in un momento in cui l’attenzione sulle questioni di sostenibilità sono nelle agende delle aziende (con una buona dose di greenwashing qualcuno appunterà) e il tema dell’economia circolare è più che triplicato nei dibattiti negli ultimi cinque anni. Ma, quasi un paradosso, rimane nell’angolo in termini di attuazione.

Il tasso globale di economia circolare si è infatti arrestato: è fermo al 7,2% e l’Italia è al penultimo posto per investimenti privati in economia circolare. “Tutti parlano di economia circolare ma pochi la mettono in pratica”, sintetizza lo studio pubblicato a fine gennaio dalla Circle Economy Foundation in collaborazione con Deloitte, che sottolinea come il tasso di circolarità globale è sceso dal 9,1% del 2018 al 7,2% del 2023, un quinquennio in cui l’umanità ha consumato 500 miliardi di tonnellate di materiali, pari al 28% di tutte le risorse consumate dal 1900.

I limiti dei consumi sono stati superati in quasi tutti i “confini planetari che misurano la salute ambientale del pianeta (acqua, aria, suolo) e come mangiamo, dove viviamo e cosa produciamo sono i tre ambiti che esercitano le pressioni più forti sui sistemi terresti.

Tradotto in altre parole, dobbiamo porre estrema attenzione ai consumi alimentari, ai consumi edili e ai consumi nel mondo manifatturiero

Qualche dato: il sistema alimentare è responsabile di un quarto del superamento dei limiti planetari del cambiamento climatico a causa della sua produzione di gas serra; l’allevamento di animali occupa un quarto di tutte le terre, una superficie equivalente alle dimensioni delle Americhe; quasi un quarto delle risorse di acqua dolce viene perso a causa dello spreco alimentare ed è a rischio la tutela della biodiversità.

Idem per il settore delle costruzioni (abitazioni, edifici commerciali, infrastrutture di mobilità) responsabile di un quarto del cambiamento globale dell’uso del suolo, proprio perché estrae minerali per produrre materiali da costruzione.

Idem per il settore manifatturiero (responsabile di un terzo del superamento dei limiti planetari del cambiamento climatico per la produzione dei gas serra, perché impiega combustibili fossili) che raccoglie tutte le tipologie di industrie, dall’automotive al tessile, con milioni di persone impiegate; attività industriali ad alta intensità di materiali ed energia sono legate alla deforestazione e la produzione di beni si traduce in sostanziali quantità di rifiuti industriali pericolosi con perdita di sostanze chimiche nell’ambiente.

Il report è chiaro: la crescente accelerazione di consumo di materiale oggi non porta più aumento di benessere come nel secolo passato (soprattutto nei Paesi ad alto reddito) e serve ripensare al consumo delle risorse in ottica circolare per limitare i danni già palesemente conclamati. 

The Circularity gap report
I quattro sistemi globali – cibo, ambiente costruito, prodotti manifatturieri e mobilità – fanno pressione sui sei confini planetari, spingendoci oltre il limite di sicurezza. Tuttavia questi sistemi sono vitali per soddisfare i bisogni delle persone nelle diverse economie, che devono avere tra le priorità dodici soluzioni circolari (fonte: Circularity Gap Report 2024, realizzato da Circle Economy Foundation in collaborazione con Deloitte)  

Come fare? Tre i punti suggeriti dalla ricerca: la stesura di politiche adeguate, la messa in campo di finanziamenti, un lavoro accurato su competenze e manodopera.

Politiche adeguate: “Le normative devono incentivare pratiche sostenibili a svantaggio di quelle dannose”. In tutti i settori, a partire dalla riqualificazione degli edifici esistenti nei Paesi più ricchi, del riutilizzo di componenti e materiali, sviluppando certificazioni e standard per il riciclo di materiali edili, che definiscano durabilità e riuso. Anche nei Paesi a medio reddito serve imporre una quantità di materiali recuperati per le nuove costruzioni, definendo schemi di responsabilità per i produttori e limiti di inquinamento accettabili, oltre che promuovere il potenziamento dell’agricoltura e delle produzioni circolari. Invece, nei Paesi a basso reddito, le politiche adeguate dovrebbero dare priorità a uno sviluppo circolare in edilizia e in agricoltura, garantendo i diritti dei piccoli agricoltori e incentivando l’uso di materiali locali. In sintesi: “Creare condizioni di parità politica: stabilire le “regole” del gioco” attraverso politiche e quadri giuridici che incentivano pratiche sostenibili e circolari penalizzando nel contempo quelle dannose, definendo in tal modo la natura e la portata delle attività economiche in tutto il mondo per industrie e nazioni”.

Finanziamenti: Lo studio suggerisce di ripensare modelli economici, introducendo tasse per aumentare il prezzo dei prodotti non sostenibili. Se nelle economie emergenti, i governi possono spostare i sussidi su pratiche pulite e rigenerative, finanziamenti per lo sviluppo potrebbero essere utilizzati nei Paesi a basso reddito per sostenere settori chiave come l’agricoltura rigenerativa e la pianificazione urbana intelligente. Adeguare le politiche fiscali e mobilitare gli investimenti pubblici per creare prezzi reali e garantire che le soluzioni circolari diventino strumenti più preziosi e cominciano a sostituire le economie lineari”.

Competenze: La transizione verso l’adozione di modelli di economia circolare passa dal colmare il divario fra manodopera e competenze, inserendo competenze “green” tra i programmi di studio, per creare profili esperti di energie rinnovabili, sia come tecnici che come progettisti. Un ambito che potrebbe permettere, nei Paesi in via di sviluppo, di rendere possibili lavori dignitosi e ben retribuiti per spingere una transizione inclusiva, dove le opportunità e i mezzi di sussistenza siano equamente distribuiti tra le società e all’interno di esse.

La direzione è tracciata. Non abbiamo volutamente parlato di digitale (transizione green e transizione digitale viaggiano di pari passo, lo diciamo da sempre) perché l’urgenza parla da sola. Le 44 pagine del Circularity Gap Report 2024 vanno lette. 

The Circularity gap report
I rapporti tra consumi e circularity gap (fonte: Circularity Gap Report 2024, realizzato da Circle Economy Foundation in collaborazione con Deloitte)

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