Serve fare chiarezza. Termini oggi entrati nel vocabolario a valle di una pandemia che ha ancora incognite aperte, come telemedicina o televisita, devono trovare una spiegazione chiara ed univoca, ed essere collocati all’interno di una strategia di Sanità Digitale che sta muovendo passi significativi in Italia, ma che ha ancora molta strada da fare.

Se il Covid-19 ha sdoganato la televisita o meglio “la verifica a distanza dello stato di salute del paziente” in un approccio emergenziale (attraverso canali di comunicazione tra medico e paziente, non sempre ortodossi, come telefono o whatsapp) oggi si deve considerare la telemedicina come un tassello fondamentale della sanità del futuro.

Un argomento complesso che prevede processi di adozione specifici, la definizione di modelli di assistenza associati alle soluzioni tecnologiche, il ripensamento delle cure e delle figure professionali (integrated care), policy regionali e capacità di attuazione locale…
“C’è molta confusione su cosa sia o non sia oggi la telemedicina”, un tema che ha alimentato la quattro giorni del Digital Health Summit 2020, appena conclusosi, ma che aleggerà nell’aria nei prossimi mesi visto che l’emergenza Covid non si placa.

Ma per definire le strategie future, serve partire da una fotografia dell’esistente, scattata da un censimento voluto dallIstituto Superiore di Sanità (e realizzato con il supporto del Consiglio Nazionale delle Ricerche) che ha analizzato più di 400 delibere formali di telemedicina, redatte da Asl, aziende ospedaliere o Irccs dal 2014 al 2017.

Ne parliamo con  Francesco Gabbrielli, direttore del Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali dell’Istituto Superiore di Sanità e Angelo Rossi Mori, ricercatore presso l’Istituto di Ricerca sulla Popolazione e le Politiche Sociali del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Cosa significa telemedicina

Da più parti oggi il termine telemedicina è al centro del dibattito del mondo sanitario. A che punto siamo nell’adozione in Italia dal suo punto di osservazione privilegiato, come direttore del Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali dell’Iss?

Gabbrielli: “Il termine telemedicina viene usato nel linguaggio comune per indicare molti tipi differenti di attività da svolgere a distanza (servizi, prestazioni e loro componenti) che usano le tecnologie digitali e le telecomunicazioni.

La pandemia ha concentrato l’attenzione su una particolare applicazione, la televisita, che si è diffusa spontaneamente e che adesso però deve essere oggetto di regolamentazione ben studiata a partire dalle evidenze scientifiche. Tuttavia, in realtà nel nostro sistema sanitario la telemedicina è già stata applicata anche in tutti gli altri impieghi, anche se è stato fatto spesso in modo frammentato, sperimentale e senza una visione comune. Infatti, l’indagine condotta dal Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali, che stiamo per pubblicare, certifica da un lato che tutte le regioni sono già attive da anni, soprattutto sull’assistenza territoriale, dall’altro lato che un quarto delle attività raccolte dall’indagine è cessato e non ha dato luogo a veri servizi.

Francesco Gabbrielli
Francesco Gabbrielli, direttore del Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali, Istituto Superiore di Sanità

La nostra è stata la prima rilevazione a tappeto sulle attività in telemedicina avviate con delibere formali dei vari enti del Servizio Sanitario Nazionale, proprio per indagare quante attività fossero state inserite negli atti gestionali degli Enti di appartenenza. Lo studio ha coinvolto tutte le 258 aziende sanitarie locali, ospedaliere, ospedaliero-universitarie e Irccs; grazie a ripetuti solleciti e ad un’intensa e paziente opera di recupero delle informazioni, alla fine solo una tra esse non ha risposto. Quindi, lo studio copre il 99,6% degli enti interpellati; tra questi, ben 202 hanno descritto almeno una delibera (con un totale di 452 attività, con una media di 2,24 delibere per ciascun ente).

L’indagine era rivolta al periodo tra il 2014, anno di pubblicazione delle linee di indirizzo sulla telemedicina e il 2017, anno di inizio dell’attività del Centro. Comunque, un 40% delle riposte ha riguardato altri anni, migliorando la comprensione del quadro complessivo e ponendo le basi per attivare una rilevazione periodica. La cabina di regia Nsis (Nuovo Sistema Informativo Sanitario), ricordo formata da varie Istituzioni nazionali e dalle Regioni e Provincie Autonome, ha richiesto di utilizzare lo studio del Centro Nazionale come base per dotarsi di strumenti di monitoraggio delle attività in telemedicina”.

In che tipo di situazioni viene applicata la telemedicina?

Gabbrielli: “Per le risposte abbiamo volutamente lasciato ampia libertà sul concetto di telemedicina, per rilevare come viene effettivamente intesa sul campo. Abbiamo riscontrato che in pratica viene applicata in tutti gli ambiti specialistici, con frequenze ovviamente diverse, ma soprattutto sulle malattie dell’apparato cardiovascolare, dell’apparato respiratorio e in diabetologia.
Si rivolge al 45% a pazienti acuti, al 29% a pazienti con una malattia cronica, ma il fatto più importante è che nel 26% delle risposte viene già usata per pazienti con più malattie croniche, su cui ci aspettiamo il massimo dei benefici. Anche il collegamento con il domicilio del paziente non è una novità: già riguardava più di un terzo delle esperienze”.

Nel cuore della ricerca

Possiamo fare maggiore chiarezza su che cosa sia la telemedicina e in che ambiti può essere utile? Come impatta sulla ridefinzione dei processi in sanità?

Rossi Mori: “L’indagine riflette le differenze notevoli nel modo di organizzare i servizi e coinvolgere le diverse professionalità e i cittadini nelle molteplici applicazioni della telemedicina. Negli ultimi anni mi sono interessato alle modalità di adozione su larga scala dei modelli assistenziali innovativi, potenziati dalle tecnologie; ho quindi accolto con piacere l’invito del dott. Gabbrielli di collaborare nell’elaborazione dei dati raccolti. Pertanto, abbiamo suddiviso le risposte in sei macro-aree secondo criteri organizzativi, clinici e tecnologici, che intendiamo poi raffinare con la comunità scientifica in base ai risultati dell’indagine.

Due macro-aree hanno forti risvolti organizzativi: l’adozione coinvolge una trasformazione significativa dei processi e dei ruoli reciproci degli operatori tipica della Integrated Care tra cure primarie, ospedale e servizi sociali. Una macro-area è centrata sulla presa in carico integrata di lungo periodo e coinvolge i professionisti che fanno sistema tra loro e con il paziente ”empowered”, l’altra riguarda il controllo per follow-up, generalmente di breve periodo, ad esempio dopo una ospedalizzazione, come supporto alla riabilitazione oppure come assistenza al paziente a domicilio da parte dell’ospedale.

Angelo Rossi Mori, ricercatore presso l’Istituto di Ricerca sulla Popolazione e le Politiche Sociali, Consiglio Nazionale delle Ricerche
Angelo Rossi Mori, ricercatore presso l’Istituto di Ricerca sulla Popolazione e le Politiche Sociali, Consiglio Nazionale delle Ricerche

Altre due sono accomunate da una prospettiva più clinica: una sulle verifiche mediche ricorrenti nel medio-lungo periodo sullo stato del paziente e sulla gestione delle attività di auto-cura (es. telecontrollo medico, tele-monitoraggio) e l’altra sulle interazioni a distanza tra professionisti o con il paziente (es. teleconsulto, teleconsulenza, second opinion, televisita, teleriabilitazione).

Infine, due macro-aree sono più focalizzate sugli aspetti tecnologici, ai margini della telemedicina, già largamente messi a sistema. Si tratta delle prestazioni professionali nell’esecuzione di una specifica fase di una procedura (es. telerefertazione), oppure di servizi infrastrutturali per accesso remoto a dati e immagini o per le procedure amministrative.

I modelli di assistenza all’interno di ogni macro-area comportano trasformazioni abbastanza omogenee dei ruoli e delle responsabilità dei professionisti e dei cittadini, che determinano la difficoltà di realizzazione ed i criteri ottimali di misura e di remunerazione. Pertanto, l’analisi di dettaglio dei dati è stata effettuata per singole macro-aree. Per esempio, come si vede bene dai grafici presentati al Summit, il conteggio dei pazienti coinvolti si riferisce a migliaia di prese in carico per i settori più organizzativi, a decine di migliaia di episodi di cura per quelli clinici ed a centinaia di migliaia di eventi per i due più tecnologici”.

Andamento telemedicina DHS 2020
Andamento del numero di pazienti dal 2014 al 2017, per macro-area della telemedicina

Le evidenze emerse

Quale andamento prevedete per l’adozione della telemedicina, ora che la televisita è stata “sdoganata”?

Gabbrielli: “Attenzione a chiamare e a rendicontare come televisita qualunque colloquio con il medico in videochiamata. Durante i primi mesi di emergenza sanitaria, è stato utile improvvisare collegamenti a domicilio per raggiungere pazienti isolati che avevano bisogno di continuità di cura. Lo stesso Centro Nazionale ha elaborato indicazioni pratiche indirizzate ai sanitari per effettuare adeguatamente attività a distanza con ciò che era disponibile e occorre ringraziare chi si è cimentato con tale modalità. Tuttavia, la televisita resta un atto medico e come tale va trattato. Adesso dobbiamo organizzare televisite nei casi opportuni e all’interno dei limiti di sicurezza e di efficacia.

Rispetto al futuro, prima di tutto non cadiamo nell’errore di considerare che la telemedicina sia la televisita. Questa è solo una parte, nemmeno la più importante, della telemedicina, la quale ha ben altre e maggiori possibilità di azione nel fornire prestazioni professionali sanitarie a distanza.

Dalla prima indagine svolta, possiamo già fare alcune affermazioni interessanti che ci possono aiutare ad arrivare a un sistema italiano di telemedicina che sia realmente utile alle persone:

  1. Esperienze di telemedicina sono state realizzate su tutto il territorio nazionale, con centinaia di iniziative che sono certamente aumentate rispetto a quelle da noi registrate negli anni passati; esse hanno coinvolto un numero crescente di pazienti (nei 4 anni esaminati sono quasi raddoppiati in tutte le macro-aree); ciononostante la telemedicina rimane ancora frammentata e con un utilizzo chiaramente inferiore alle necessità del Paese;
  2. Le tipologie di telemedicina sono comunque estremamente diversificate, ognuna con una specifica rilevanza nel suo contesto; non sembra esistere un tipo di applicazione privilegiato rispetto ad altri e tutti comunque necessitano di linee guida, o almeno buone pratiche, in base alle differenti specialità mediche e chirurgiche e di criteri omogenei di valutazione;
  3. Alcune regioni hanno molte più applicazioni di altre, ed ogni regione punta su temi diversi, quindi non ci può essere allo stato attuale equità di accesso per tutti e questo è un limite da superare;
  4. Rimane ancora molta ambiguità nel linguaggio e molte varianti locali e poca propensione alla collaborazione tra strutture anche in una stessa regione, prova ne è la duplicazione di servizi molti simili, per cui è arduo confrontare esperienze in località diverse per valutarne efficacia, appropriatezza e sicurezza, e anche questo è un grande limite;
  5. Le linee di indirizzo nazionali sulla telemedicina (2014) in fin dei conti non sono mai state veramente applicate e adesso sono obsolete; perfino le loro stesse definizioni sono inadeguate a rappresentare le attività in modo corretto e ancora meno a indirizzarle; occorre certamente elaborare in modo molto attento nuove indicazioni, aggiornate e capaci di guardare in avanti.

Leggi tutti gli approfondimenti dello Speciale Digital Health Summit 2020

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Condividi l'articolo: