Se più volte si è dibattuto sull’impatto dello smart working sulla vita quotidiana e del nuovo concetto di modern workspace – che porta a parlare di strumenti di collaboration per lavorare da ogni dove con qualsiasi tecnologia – non va sottostimato il cambiamento che lo smart working in modo indiretto porta sulle scelte abitative dei dipendenti e sulle organizzazioni di città e periferie.
Certo sono valutazioni che implicano molte variabili (budget, famiglia, propensione o fattibilità al cambiamento….) ma di fondo i dati di una ricerca di Citrix e OnePoll – che analizzano l’impatto dello smart working sulle abitudini abitative – mostrano che in questi mesi è cambiata la percezione delle grandi città come luoghi privilegiati per la crescita professionale. Si può fare carriera anche a distanza.
L’occasione per trattare il tema è una chiacchierata con Fabio Luinetti, country manager Italy di Citrix, con i dati alla mano della ricerca appena condotta (su un campione di 1.000 lavoratori della conoscenza distribuiti sul territorio italiano) a conferma della strategia del vendor degli ultimi anni. “Siamo un’azienda all’ interno di un percorso di evoluzione molto importante, ribadito a settembre con la presentazione del nuovo logo, che ha tra gli obiettivi strategici la spinta su cloud, lo sviluppo di soluzioni per la sicurezza, la relazione con i partner”.
Sguardo alle strategie 2021
“Oggi l’ambizione di Citrix è quella di supportare l’accesso alle informazioni in modalità remota. Il nostro mantra è considerare il lavoro non come un posto fisico, ma un posto virtuale, con attività svincolate dal device e dal luogo” precisa Luinetti, ripercorrendo la strategia dell’azienda che ha chiuso con soddisfazione l’anno fiscale lo scorso 31 dicembre (“un anno particolarmente positivo, con una crescita importante nel nostro Paese dovuta all’adozione delle nostre soluzioni in tempi di Covid”) finalizzando anche l’acquisizione più grande della sua storia. L’innesto della società californiana Wrike, con soluzioni Saas in continuità e complementari con quelle Citrix, permetterà di arricchire le modalità di scambio di informazione all’interno del digital workspace, con le soluzioni a portafoglio nella prima metà dell’anno. Un ulteriore tassello alla spinta di modelli di lavoro flessibili che, secondo uno studio realizzato nel 2019 dall’istituto di ricerca Centre of Economics and Business Research, liberano oltre 105 ore per persona l’anno, a favore di attività personali o famigliari.
La strategia si allarga poi al cloud (“ci concentreremo sul tema del cloud nel 2021, per aiutare i nostri clienti a sfruttare la dinamicità che il cloud permette”) e alla sicurezza, in particolare con un approccio zero trust. “Nel momento in cui le persone lavorano con dispositivi diversi e in posti sparpagliati il tema della sicurezza diventa determinante. Stiamo facendo assunzioni a livello mondiale di ingegneri per sviluppare queste soluzioni” argomenta Luinetti.
A livello locale rimane forte il legame con l’ecosistema di partner per sviluppare progetti ad hoc che possano indirizzare le esigenze dei clienti. “Abbiamo cercato di fare evolvere le competenze dei nostri partner nell’ottica di fornire strumenti di business continuity, per permettere loro di lavorare indipendentemente dalle variabili esterne imprevedibili, come la pandemia è stata”.
Tra le variabili anche lo spostamento innescato dalla pandemia dei “luoghi deputati al lavoro”. “Il 57% degli intervistati afferma che sarebbe disposto a trasferirsi dalla città a un’area rurale se potesse continuare a svolgere il proprio lavoro in modo flessibile e il 76% di questi pensa di poter svolgere il proprio lavoro da ovunque” commenta Luinetti. Anche a fronte di una riduzione dello stipendio: il 53% del campione afferma che accetterebbe (o ha già accettato) una diminuzione di stipendio in cambio della possibilità di lavorare completamente da remoto, senza vincoli geografici (il 33% accetterebbe un taglio del 15%, l’11% fino al 20% e il 2% fino al 30%).
Non ne andrebbe della carriera, in particolare il 45% crede che non faccia più alcuna differenza vivere in città o fuori. E se prima della pandemia il 55% dei lavoratori pensava che vivere in una metropoli avesse effetti positivi sulla carriera, oggi a pensarlo è solo il 36%. “La progettualità del lavoro e della propria vita riguarda anche il futuro delle città – sottolinea Francesca Parviero, digital learning experience designer, intervenuta nel dibattito -. Se prima era pressoché scontato che per avere una crescita professionale rilevante fosse necessario trasferirsi e vivere in una grande città, oggi, grazie alla massiccia diffusione dello smart working, le cose sono cambiate. Il tema del futuro del lavoro ruota attorno al digitale, ma richiede un nuovo mindset. Si tratta di un cambiamento rivoluzionario nella percezione del lavoro, che lo vede sempre più slegato da un luogo fisico specifico”.
Lavorare da ogni dove, i dati
Il 26% del campione afferma che la pandemia ha dimostrato di poter lavorare da ovunque. E da qui le scelte per il 39% del campione che sta valutando di traferirsi scegliendo per il 37% luoghi più tranquilli, per il 36% luoghi con un costo della vita inferiore. “Nonostante il pregiudizio diffuso per cui lavorare da casa equivale a non lavorare, i numeri dimostrano che da remoto si lavora di più, si è più concentrati e produttivi rispetto a quando ci si trova in ufficio – argomenta Luinetti -. Cambiando mentalità e adottando modelli di lavoro flessibili, le aziende possono sviluppare appieno il potenziale dei loro dipendenti, aiutandoli anche a meglio coniugare le loro esigenze famigliari, facendo crescere il proprio business”.
I dati sulla produttività emersi dalla ricerca sono incoraggianti: il 45% degli intervistati afferma che il proprio livello di produttività è più alto lavorando da remoto, con un 39% che sostiene di concentrarsi di più e meglio da casa.
Tra i vantaggi dello smart working il miglior utilizzo del tempo dedicato al tragitto casa-ufficio (61%), la sostenibilità dello stile di lavoro con maggiore sensibilità ambientale (50%), maggiore tempo da dedicare a hobby e famiglia (42%). “Sono molte le realtà che sono consapevoli che sia possibile essere produttivi ovunque, a patto di mettere a disposizione di chi lavora lo spazio adeguato affinché possa farlo nel modo migliore – precisa Luinetti – ma questo tema deve ancora permeare il management delle nostre aziende”.
Uno spunto, gli ostacoli da superare
Permangono problemi di infrastruttura e digital divide (“il periodo nefasto ha portato nodi al pettine sul vivere in periferia e il tema della copertura delle aree fuori città” precisa Parviero) e di mentalità. “Il passaggio dal considerare lo smart working non uno ostacolo ma un’opportunità è un passaggio che in molti hanno fatto e sottende un tema di equilibrio tra lavoro e vita privata – continua Parviero -. Ma, al di là delle deroghe di leggi per l’applicazione agevolata, il tema per molti è culturale: le persone che dettano le strategie e i valori della azienda devono essere in grado, a cascata attraverso un management illuminato, di lavorare per obiettivi. Mi piace citare il sociologo Domenico De Masi: se 8 milioni di persone da un giorno all’altro a marzo sono entrate in smart working, modalità che prima sembrava impossibile, significa che in un rapporto uno a 10 (un capo ogni dieci dipendenti) ci sono oggi 8.000 manager che hanno un tema culturale da affrontare. Ora, per fortuna, molti di questi hanno capito che si può”. Non si parlerà più di New Normal ma di Ever Normal.
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