Credibilità, percepibilità, sostenibilità e ripresa sono le quattro parole chiave ed il filo rosso che collega le agende dei Ceo e Cio delle aziende in questo momento. In un anno e mezzo sono del tutto cambiati gli stili di vita dei consumatori che hanno innalzato l’asticella delle attese e sono evoluti i modelli di consumo. Questo ha richiesto ad ogni tipo di organizzazione di ripensare i servizi.
E’ successo alle utility, nel finance, sono cambiati i trasporti, e ancora le organizzazioni che operano in ambito telco, comunicazioni/collaboration ed entertainment si sono ritrovate al “centro dell’attenzione”. Soprattutto, le persone hanno percepito quanto il servizio rappresenti una componente fondamentale del prodotto, quando non addirittura il prodotto stesso e le aziende devono quindi rimodellare in una logica di servizio le “industrie” tradizionali, per aprirsi a nuovi mercati e soprattutto riuscire ad intercettare le nuove esigenze.
Queste le evidenze fondamentali che emergono anche dalla ricerca Idc, Consumers, Users and Citizens Survey 2021, condotta da Idc Italia per conto di Sap (nell’ambito dell’iniziativa Digital Leaders). Gli utenti/consumatori intervistati (circa 3mila) dichiarano di essere pronti ad incrementare l’utilizzo di servizi integrati (33%) e ritengono la sostenibilità un elemento decisivo per valutare il fornitore di servizi utility (58%), con i giovani pronti ad utilizzare maggiormente i servizi offerti dai nuovi operatori digitali, più agili e veloci.
Millenials e Gen X sono le generazioni che assumono il ruolo di game changer, per cui l’evoluzione verso i servizi digitali interattivi e personalizzati rappresenta un trend ineluttabile, con un utente/consumatore su quattro a preferire i servizi di questo tipo, mentre quasi quattro su dieci si rivelano già “moderate interactive users”.
Soprattutto la ricerca Idc ha il merito di evidenziare la correlazione positiva tra l’apertura ai servizi digitali personalizzati ed il livello di attenzione per le strategie aziendali relative alla sostenibilità come anche nella gestione del personale.
Da qui la possibilità di tracciare alcune traiettorie evolutive anche per le aziende chiamate al cambiamento, considerato come oggi i consumatori dimostrino maggiore consapevolezza per quanto riguarda il valore della sostenibilità non semplicemente “laterale al business”, ma correlata alle scelte di sviluppo e di crescita dell’impresa.
Non solo, oggi i clienti nel rapporto con le aziende, sono sì disponibili a ricevere informazioni personalizzate in tempo reale per tutelare salute e sicurezza personale o per una migliore qualità e nuovi stili di vita, ma pretendono anche una migliore integrazione del prodotto con il servizio, ed un’attenzione “ad personam” e non per “segmenti di mercato” che siano integrati in un’unica offerta.
Quindi la valorizzazione dei touchpoint digitali e dei dati, ridisegnare le “value” oltre che le supply chain, riprogettare i servizi materiali come anche quelli digitali e puntare ad un’economia di prodotto service-based, diventano temi chiavi strettamente connessi con quello della customer experience, dove la partita tra azienda e cliente – ma anche tra azienda e dipendenti – si gioca sul tema della “fiducia” e prevede che la condivisione del dato, come anche dei feedback rappresentino un “valore” e un campo condivisibile se si punta alla trasparenza.
“Prodotti che diventano servizi richiedono il profondo cambiamento dei processi, che devono essere ridisegnati nel nome della sostenibilità (non più semplice hype, ma vero mindset) – spiega Bertha Bazzoffia, Sales director Financial, Manufacturing, Energy and Consumer Industry di Sap Italia.
Mentre Fabio Rizzotto, Associate vice president, head of Research and Consulting, Idc Italy, che illustra la ricerca, insiste sul valore del dato come “stimolo alla riprogettazione dei servizi nella giusta direzione, ed individua nell’interazione cliente/prodotto/servizio il crocevia dove si gioca la partita; crocevia ‘accessibile’ però da una moltitudine di canali diversi. Un elemento questo, che richiede impegno e su cui l’azienda mette in gioco la propria credibilità”.
Vale questo anche nell’esperienza di Paola Cozzi, head of Brand, Advertising and Lead Generation, Generali Italia, che da una parte sottolinea come “la credibilità dell’azienda si guadagna nel tempo e può bastare un attimo per perderla, in uno scenario complesso e “omnicanale“ come quello attuale in cui opera un’utenza sempre connessa”, ed allo stesso tempo spiega come sia “chiaro che il core business resta la capacità di alimentare la relazione tra agente e cliente“.
Quando la catena del valore è particolarmente lunga e complessa poi resta vitale riuscire a mappare tutte le componenti che giocano un ruolo nella percezione del brand, puntando sull’analisi non solo dei dati transazionali normali, ma anche dei dati di percezione “multidimensionali” che sono fondamentali. Vale anche nel rapporto con i dipendenti.
“La capacità di reagire sollecitata dall’emergenza – si aggancia Marco Gallo, managing director Hrc Community – deve far scattare ora la scintilla per passare allo step successivo, per evitare il rischio dell’omologazione, tipico delle fasi di reazione, quando non si innestano a seguire cambiamenti in profondità. In questa fase significa ripensare e condividere con i dipendenti gli scopi, passare dall’attenzione per l’employee experience all’employee care e per farlo servono nuovi modelli, una leadership autentica e gentile, per cui sarà importante e necessario lavorare su chi guida le aziende e le persone”.
Cura e attenzione per le persone sono tra i primi valori aziendali, si riflettono sul risultato con i clienti e si costruiscono a partire dalla capacità di ascoltare e cogliere/raccogliere i feedback dal basso, valorizzando i processi di delega, e con la formazione.
“Nell’esperienza di Intesa Sanpaolo – racconta Cristiano Chiadò, head of HR Transformation Intesa Sanpaolo – persone e digitale sono entrambi abilitatori positivi per lo sviluppo del business, perché una trasformazione culturale delle risorse umane ha anche bisogno di servizi integrati abilitati dalle tecnologie”.
Proprio a partire dall‘integrazione digitale dei servizi, “trasversali alle diverse unità di business, si può puntare poi verso obiettivi strategici più alti”, a patto di acquisire consapevolezza sul fatto che oggi la partita non si gioca più solo sulle scelte strategiche di medio e lungo termine, ma proprio sulle piccole quotidiane.
Tema ripreso da Gabriele Indrieri, head of Sap Concur Italia, Malta e Grecia, che spiega come “il bisogno di sostenibilità e la maggiore mobilità attuali porteranno le aziende ad evolvere proprio a partire dalle scelte di tutti i giorni, e per questo serve una revisione digitale dei processi ora, che comprende anche tutte quelle attività, come il procurement, che prima erano appannaggio di un unico “ufficio””.
“Il procurement leader – si aggancia Elena Previtera, senior partner & Board Member Reply – oggi è una figura di innovazione, o non è, deve farsi carico di ripensare i processi e guidare la trasformazione ed ha un ruolo centrale nel portare efficienza ed efficacia, a partire proprio dagli acquisti e dallo studio di una supply chain efficace che può fare reale tesoro dei dati e da cui dipende il time to market”.
In un contesto di open innovation, in cui la creazione di valore passa da essere semplice risultato della trasformazione interna di input in output, alla sintesi migliore tra uno scambio risorse, è evidente come il contesto in cui si trovano ad operare le aziende è quindi in verità un vero “ecosistema aperto e interdipendente” che comprende le aziende, i prodotti/servizi, le persone (clienti e dipendenti), le diverse “catene” (valore, acquisti, etc.).
Ecco, in questo contesto “trasformare, significa puntare a semplificare – riprende Gabriele Chiesa, Chief information officer di Tim – trasformare servizi connessi sulla base delle esperienze (dei clienti e dei dipendenti in azienda) per avvicinare i bisogni agli strumenti che consentono di soddisfarli, un tema centrale soprattutto quando si parla di customer experience digitale e che richiede quindi modalità anche di lavoro diverse e la capacità di mettere le esperienze a fattor comune”.
I clienti, dimostra la ricerca Idc, sono prudenti nella condivisione di dati e informazioni alla ricerca di un rapporto di “fiducia” con chi vende prodotti e servizi, ed è proprio sul concetto di “trust” però che si gioca la possibilità di avviare un rapporto più vantaggioso per l’azienda e il cliente stesso.
Un punto su cui è illuminante, tra gli interventi conclusivi, quello di Luca Rainero, head of Business, Marketing & Supply Enel Energia: “Essere credibile per un’azienda oggi significa essere utile, tenere il cliente al centro, non come si intendeva negli anni ’90, escludendo di fatto l’importanza della comunità – senza la quale oggi viene meno il concetto di sostenibilità – ma anzi puntando a fornire risposte concrete che si possono dimostrare valide solo nel momento in cui trovano un reale riscontro sul campo”. Servono capacità di ascolto e ancora tanto lavoro.
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