La sensazione di essere già passati dal via, come in un monòpoli di stazioni e date, c’è.
Perché lo slittamento dello smart working agevolato al 31 luglio 2021 e poi al 30 settembre (in bozza) fa inevitabilmente ripensare ai decreti che lo scorso anno lo avevano esteso fino al 31 luglio 2020 prima, nella speranza di una ripartenza senza virus dopo l’estate, ma che già prima di agosto lo avevano fatto scivolare fino al 15 ottobre per poi farlo slittare progressivamente con la ripresa folle dei contagi a gennaio, marzo, 30 aprile 2021.
E oggi che il nuovo decreto Riaperture conferma lo slittamento della procedura agevolata al 31 luglio 2021, e che la bozza del decreto Sostegni bis posticipa ulteriormente la data al 30 settembre, la sensazione è quella di un déjà vu, di quelli tristi, che ci ricorda ancora di più che è passato un anno drammatico, che l’emergenza non è finita, e che il sodalizio tra il perdurare dello stato d’emergenza e lo smart working agevolato è un legame indissolubile. Finirà a emergenza rientrata.
La prima notizia riguarda le aziende private. Il decreto Riaperture (DL n.52, del 22 aprile 2021) ha prorogato lo stato di emergenza al 31 luglio 2021 ed ha esteso a quella data il termine per l’utilizzo della procedura semplificata di comunicazione dello smart working, ribandendo che non servirà un accordo individuale tra azienda e lavoratore per avviare o proseguire il lavoro agile. Come strumento di prevenzione, il lavoro agile è previsto per tutte le attività che possono essere svolte in questa modalità, diverse dalla produzione.
Ma, notizia di oggi, il confronto della scorsa settimana tra ministro del lavoro (Andrea Orlando), sindacati e associazioni datoriali (che avanzavano la richiesta di estendere la semplificazione della procedura fine a dicembre 2021) ha portato a inserire nella bozza del decreto Sostegni Bis la proroga dello smart working agevolato fino al 30 settembre 2021, bozza in approvazione entro la settimana.
Dopo di allora, lo smart working tornerà a essere regolato dalla legge 81/2017 che prevede accordi individuali tra le parti (nel mentre il governo sta valutando ipotesi di “accordi quadro volontari” ma nulla è definito).
La seconda notizia riguarda la pubblica amministrazione. Il decreto Proroghe (29 aprile) ha tolto l’obbligo dello smart working al 50% nella pubblica amministrazione ma ha confermato lo smart working agevolato senza bisogno di accordo individuale preventivo fino al 31 dicembre 2021 (mentre procede la stesura delle nuove regole del contratto nazionale).
Si sposta sempre più in là il termine dell’agevolazione. Siamo già passati dal via anche sulla questione culturale (da smart working emergenziale a strutturale), manageriale (da controllo a delega), tecnologica (hardware, software, connettività, digital divide), abitativa (uffici modulari a rotazione, libertà di lavorare da ogni dove, città e periferie da ripensare, case super affollate tra smart working e Dad), personale (diritto alla disconnessione, equilibrio tra vita lavorativa e privata). Sulla necessità di accelerare i tavoli di lavoro pubblici e privati per definire regole e contrattazione.
Sì, ma ripassando dal via la sensazione è che molte aziende siano ancora ferme allo stop, nella pratica più che nelle intenzioni (buone). Perché sicuramente è entrato nelle corde delle imprese la necessità di trovare un nuovo equilibrio e che non si tornerà più indietro ma il restare in balia delle direttive governative non le sprona a prendere decisioni per tempo, per non farsi trovare impreparate. Ma i numeri parlano chiaro: secondo la Fondazione studi dei consulenti del lavoro (fonte Sole24ore) sono 5,4 milioni i lavoratori dipendenti “agili” oggi, un numero che supera i 7 milioni se si considerano anche gli autonomi. Poco meno del numero dei lavoratori agili di un anno fa, marzo 2020, allo scoppio della pandemia: 8 milioni (contro 500mila della fase pre Covid). L’evidenza dei numeri è schiacciante: 1 lavoratore su 3 è in smart working e il 68% delle aziende lo utilizzerà anche nella fase di ritorno alla normalità (fonte Aidp, Associazione dei direttori del personale).
Va bene così se oggi la fase emergenziale è ancora quella che guida le strategie dei prossimi mesi, perché la pandemia ha davvero la priorità, ma è sempre più imminente la fine dei giochi: chi ha tempo non perda tempo.
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