La carenza di competenze è indicata oggi come una delle criticità più gravi in grado di frenare lo sviluppo delle iniziative di trasformazione in atto nelle aziende. La disponibilità di risorse attuali – si pensi anche solo ai fondi per il Pnrr – non sarà infatti sufficiente a garantire il raggiungimento degli obiettivi, se non si riuscirà a rimediare alla mancanza di persone con gli skill richiesti e realmente motivate.
Si tratta di un problema che richiede gli opportuni investimenti sia in formazione, sia nello sviluppo di talenti, non riguarda solo i board, ma anzi è sentito anche dalla forza lavoro ed è confermato dai numeri. In un contesto in cui si prevede che il 2022 sarà un anno volto alla crescita aziendale, il 94% delle aziende è pronto ad aumentare gli investimenti in modo da rispondere alla crescente domanda dei dipendenti di percorsi di crescita personalizzati.
Lo dice la ricerca Global HR di CoachHub che, in Italia, ha coinvolto 100 aziende con un minimo di mille dipendenti (fino a un massimo di 100mila) distribuite su tutto il territorio, attraverso interviste somministrate ai responsabili dei dipartimenti HR e della gestione del personale ed, in generale, alle figure coinvolte nelle policy legate alla formazione e sviluppo del personale. La ricerca, oltre che in Italia, è stata condotta complessivamente su 21 Paesi, a livello globale (oltre 2.400 aziende), ed evidenzia come formazione e sviluppo personale e professionale, strategie per evitare il burnout, e maggiore attenzione al benessere dei dipendenti, siano i punti su cui dovranno puntare le aziende nel 2022.
Per quanto riguarda il nostro Paese, in particolare, le aziende concordano sull’importanza di intervenire in modo programmatico sugli elementi che rappresentano la nuova normalità aziendale ovvero lavoro da remoto, flessibilità, iniziative di wellbeing, e supporto al dipendente per evitare il rischio di stress da lavoro.
Allo stesso tempo le nostre aziende sembrano ancora ingessate nell’adozione di modelli di formazione e sviluppo tradizionali e standardizzati e solo il 24% dichiara che in azienda vengono sviluppati percorsi individuali di coaching, mentre tre intervistati su quattro rivelano che i propri dipendenti lamentano o di non aver fatto abbastanza percorsi di formazione e sviluppo all’interno dell’azienda, o di farne, ma solo a volte. Allo stesso tempo il 99% concorda invece sull’importanza di adattare il programma di formazione e sviluppo dei dipendenti all’attuale clima aziendale.
Un clima, complessivamente ottimistico. I numeri di CoachHub parlano chiaro, in proposito: il 73% delle aziende prevede infatti di crescere entro la fine di quest’anno, mentre l’88% di riuscire a farlo entro il prossimo anno, con il 16% che si aspetta un risultato stabile quest’anno ed il 10% l’anno prossimo.
Le aziende si muovono soprattutto nella promozione dell’upskilling (61%) del proprio personale – metà degli intervistati è convinta addirittura che sia prioritario investire solo sulle technicality – lo si vuole fare attivando nuovi processi e nuove tecnologie già nel 2022; il 60% dichiara di voler riqualificare il personale ed il 44% di voler assumere, mentre il 36% punta sul recruiting interno, ed appena l’11% pensa di effettuare licenziamenti nel corso del prossimo anno. Interviene sul punto Alessandro Verrini, VP of Sales Sud Emea, Latam, Mea di CoachHub: “Emerge una forte attenzione a investire sulle risorse interne attraverso programmi mirati all’acquisizione di nuovi approcci e competenze tecniche ]…[. La sfida per il 2022 per i responsabili delle risorse umane sarà quella di aiutare concretamente i team nell’aumentare la produttività aziendale e questo sarà possibile solo se si riuscirà fare emergere il pieno potenziale dei singoli talenti, in un quadro in cui competenze comportamentali e nuovi approcci al lavoro possono garantire un ritorno dell’investimento aziendale”.
Condivisa, quindi, la sensibilità nel puntare sulle softskill, perché su queste si basa la crescita professionale, talvolta accompagnandosi a quella professionale, ma non sempre. E comprendere come sviluppare il potenziale delle risorse interne, come aumentarne la produttività, dovrà essere fatto evitando il burnout o “la fuga”. Rischi dietro l’angolo, tanto che i problemi principali, in ambito HR, sono che, con una crescente domanda di flessibilità di lavoro e di nuovi percorsi professionali (rispettivamente 48% e 22%), si registra anche un aumento di burnout dei dipendenti (17%) e di richieste di programmi di wellbeing in azienda (22%).
Di fatto il 23% delle aziende parla della propria strategia di formazione e sviluppo una volta ogni tre mesi, il 29% una volta al mese e l’11% una volta all’anno durante le revisioni, forse si potrebbe fare di più. Anche perché se è vero che nella maggior parte delle aziende (65%) il programma di formazione e sviluppo è adattato in base al team, un’azienda su tre dichiara che è lo stesso per tutti, e solo una su quattro che è adattato in base alle singole persone.
Conforta sapere che tre aziende su quattro concordano nel riconoscere come sia cresciuto il bisogno di formare i dipendenti, rispetto a prima della pandemia, ecco quindi che il 96% ha adattato il proprio programma di formazione e sviluppo per adattarsi meglio alla nuova normalità, con il 38% che lo ha fatto durante la pandemia e il 32% all’inizio della pandemia. Non solo, il 50% dichiara di aver già intrapreso il coaching individuale per lo sviluppo del proprio personale, mentre il 48% ci sta pensando.
Rispondere in modo puntuale alle singole esigenze dei dipendenti sarà la chiave per aiutare le persone ad aderire alle strategie aziendali e ad avere un approccio inclusivo sul posto di lavoro: maggiore produttività e capacità di collaborazione gli effetti desiderati.
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