Milano si pone come laboratorio di sperimentazione e di innovazione, per una transizione sostenibile, equa ed inclusiva. Sono anche i temi di Milano Digital Week 2021 in un momento ancora critico in cui è evidente il ruolo importante delle tecnologie digitali per abilitare e facilitare esperienze comuni e nel quale è importante riflettere sull’evoluzione delle dimensioni fisica e digitale e sull’affermarsi di una nuova modalità di interazione, quella “phygital“, che impatta su una serie importante di aspetti della vita quotidiana delle persone, di chi lavora e delle aziende.

Se ne parla in occasione dell’incontro La Vita Ibrida: il Quotidiano tra Fisico e Digitale, in una plenaria dedicata a tutti gli ambiti del mondo phygital, moderata da Emanuela Teruzzi, direttore responsabile di Inno3 e trasmessa dall’acceleratore di imprese Le Village by Crédit Agricole. L’incontro vede la partecipazione di aziende e startup (Crédit Agricole e Capgemini, tra queste) che riflettono su vari temi tra cui i cambiamenti per i lavoratori, ma anche l’affermarsi, in velocità, di nuove abitudini e la ricerca per questo di nuovi equilibri anche nel vivere le relazioni e gli ambienti.

Vittorio Ratto, vice direttore generale Crédit Agricole Italia
Vittorio Ratto, vice direttore generale Crédit Agricole Italia

“Viviamo un esperimento accelerato di trasformazione, siamo allo stesso tempo attori e spettatori del cambiamento – esordisce Vittorio Ratto, vice direttore generale Crédit Agricole Italia -. Un cambiamento che ha un impatto importante sulle nostre vite, ci ha portato all’accelerazione digitale ma richiede di essere riletto in nuovo contesto”. Dopo le risposte urgenti, la reazione ad una situazione complessa, è importante riflettere sulle conseguenze nel lungo periodo (scuola e disoccupazione femminile per esempio). Crédit Agricole – prosegue Rattoper tanti aspetti si è fatta trovare pronta all’emergenza, grazie all’attivazione dello smart working oltre tre anni fa, ma il “rapimento digitale totale” richiede ora il cambio delle regole del gioco”. Serve quindi una rilettura del binomio fisico e digitale oggi.

Dobbiamo riflettere su come reintegrare il fisico nel digitale: multilocalizzazione, efficienza produttiva, benessere sono quindi elementi da ripensare per trovare un nuovo equilibrio. Siamo passati da un modello di lavoro sincrono, a un modello multipolare e flessibile, tenuto insieme dal digitale, ma che comporta anche un rischio di estraneamento e della perdita di una cultura comune. Ratto: “In Crédit Agricole abbiamo deciso di tenere conto di quanto imparato per superare questi rischi sulla base di quattro elementi chiave: le persone, in primis, con la loro fisicità ed il bisogno in alcuni momenti di incontri veri. Per questo serve bilanciare la distanza e la vicinanza.

Si possono eliminare passaggi “burocratici” e riunioni, si possono innestare delega, fiducia e responsabilità, le tecnologie per farlo non mancano ma è opportuno pensare anche a tempi comuni. “Il tempo, appunto, è il secondo elemento, serve organizzare le strutture su un tempo flessibile, curvo e relativo accelerato ma anche rallentato, recuperato alla riflessione creativa e ritrovato nei momenti di condivisione, e serve anche un tempo protetto”. Questo chiede il ripensamento di tanti “riti” aziendali. Lo spazio è il terzo elemento.  “Sono richiesti oggi spazio di lavori flessibili per il lavoro individuale e in team, il confronto e il momento creativo”. L’ultimo elemento è il ruolo dell’impresa. “Le aziende esistono per creare valore. E’ un elemento irrinunciabile e fondamentale”. Riemerge però anche il bisogno di avere imprese capaci di rappresentare un “motore di evoluzione per creare ricchezza con soluzioni “sostenibili” per un impatto di lungo periodo positivo”

Temi ripresi anche da Massimo Ippoliti, VP chief technology & innovation officer di Capgemini: “Il phigital ha rappresentato per tutti una nuova esperienza “mista” tra mondo reale, più inerziale e lento, e quello digitale, rapido, etereo ed automatizzabile”. Fluido. Un’esperienza che permette di scomporre i due mondi e ricomporli in modo innovativo. E per le aziende è un’opportunità per trasformare i modelli operativi, rendendoli “anti-fragili” rispetto alle situazioni impreviste. Phigital però sono anche tecnologie che uniscono e rappresentano il cuore delle città intelligenti – prosegue Ippoliti -. Non si tratta solo di un’opportunità per attrarre talenti e impresi, ma anche per nuovi stili di vita più sostenibili ed equi”.

Massimo Ippoliti, VP chief technology & Innovation Officer di Capgemini
Massimo Ippoliti, VP chief technology & Innovation Officer di Capgemini

Il mondo phigital non è allo stesso tempo privo di controindicazioni, “bisogna stare attenti ad annullare le differenze tra chi ha accesso e chi no al mondo digitale, che non deve acuire le divergenze”. L’innovazione poi è tale se consente di conciliare vita privata e lavorativa con il lavoro ibrido che rimarrà valido strumento anche dopo la pandemia. “Oggi assistiamo ad una sorta di fusione tra sfera professionale e sfera privata, e mentre abbiamo già apprezzato i tanti elementi migliorativi che hanno incrementato l’efficienza, dobbiamo considerare anche gli effettivi rischi di burnout. Le aziende sono chiamate quindi a ridisegnare l’esperienza delle proprie persone, fornendo servizi specifici a supporto dell’efficienza come della crescita della dimensione personale”.  La tecnologia può aiutare a garantire la continuità tra fisico e digitale, si pensi alla diffusione dei gemelli digitali, non come semplice rappresentazione della realtà visuale, ma vera possibilità di simulare macchine, prodotti, persino “persone” (gli avatar). Un tema importante da affrontare. Così come quello della connettività. “Il 5G abbatterà ulteriori barriere tra fisico e digitale ma bisogna puntare anche a consentire di avere fiducia in esso e per questo serve che i due mondi siano allineati e coerenti. Cloud e blockchain possono giocare un ruolo importante”.

Phygital, cambiano le abitudini di persone e imprese

“Phygital rappresenta un ponte tra il mondo digitale e fisico – interviene Gabriella Scapicchio, sindaco, Le Village by Crédit Agricole di Milano (da cui è trasmesso l’evento) -. Oggi siamo consapevoli di avere cambiato completamente abitudini, di aver rivoluzionato le attività quotidiane ma così ha dovuto fare anche un ampio ecosistema di imprese. Da qui la nascita di nuove startup, per soddisfare le nuove esigenze degli smart worker. I dati confermano un importante cambio di paradigma. “La quota di imprese italiane che ha adottato lo smart working è passata dal 15% del 2019 al 77% circa nel 2020 (fonte: ricerca Microsoft)”.

Gabriella Scapicchio, sindaco, Le Village by Credit Agricol
Gabriella Scapicchio, sindaco, Le Village by Crédit Agricol

E’ cambiato il modo di fare acquisti, e sono cambiate le modalità di pagamento. “L’e-commerce, secondo Istat, nel 2020 è cresciuto rispetto al 2019 del 50% per un valore di oltre 23 miliardi di euro. E’ stato sfruttato, nel primo trimestre del 2020, da 2 milioni di italiani rispetto a 700mila nello stesso periodo del 2019, ma a questo è corrisposto anche un ritorno agli acquisti fisici di quartiere. E secondo Mastercard, a fine 2020 8 italiani su 10 hanno riscoperto gli acquisti di prossimità.

Sono cambiate anche le abitudini alimentari, con un incremento importante degli ordini tramite le app e il digital food delivery per oltre il 50% rispetto al 2019. E ancora è cambiato il settore healthcare: sono cresciute le televisite, il telemonitoring (di oltre 10 punti percentuali). In alcuni Paesi, come il Regno Unito “le visite online sono passate dal 17% del 2019 ad oltre il 90% nel 2020. Anno record anche per i finanziamenti in tecnologie per la salute con un balzo del 55%, così come è cresciuta la raccolta di fondi per oltre 21 miliardi di dollari”. Tutti ambiti che hanno beneficiato dell’innovazione garantita dal digitale che ha contribuito anche a far nascere startup innovative. 

E’ cambiata però anche la modalità di consumare il tempo libero. “L’attività esperienziale ha sofferto, ma alcune startup si sono rinnovate in proposito, per esempio digitalizzando le iniziative, si pensi ai tour virtuali (enograstronomici), anche se, in alcuni comparti, di poco successo (le visite virtuali ai musei non hanno riscontrato il successo sperato)”. Il mondo delle attività outdoor ha imparato ad utilizzare la tecnologia di VR per bike tour virtuali, per esempio. Ed è cambiato poi il modo di “rimanere in contatto”: il 75% degli italiani oggi dichiara di aver fatto almeno una videochiamata, oltre un terzo lo ha fatto per la prima volta nel corso del 2020. E a livello globale i download di applicazioni di chat e videoconferenza sono aumentati del 90%. “Cosa abbiamo imparato? – conclude Scapicchio -. Sono cambiate le abitudini, e sono stati superati alcuni ostacoli psicologici. Abbiamo subìto la digitalizzazione, ora va dominata. Secondo Mckinsey il 69% di chi ha sfruttato la tecnologia per la prima volta nel lockdown andrà avanti ad utilizzarla ad esperienza “negativa” conclusa. Il digitale dovrebbe consentire di valorizzare ulteriormente l’esperienza fisica”.

In questo anno di smart working forzato e di didattica a distanza è cambiata anche la relazione con la casa, tante famiglie hanno reinventato gli spazi negli appartamenti in una lotta eterna tra lavoro, equilibri famigliari, qualità della vita.
Secondo gli analisti lo smart working non passerà, ma diventerà strutturale nelle aziende. Circa il 20-25% della forza lavoro nelle economie avanzate potrebbe lavorare da casa da tre a cinque giorni a settimana (4-5 volte in più rispetto alla fase pre-Covid), un dato che impatta anche sulla scelta degli uffici (il 30% ha pianificato di ridurre gli spazi esistenti), sul ridisegno urbano di grandi città, sobborghi, scelte abitative. Una scelta che impatterà anche sui viaggi d’affari con una serie di effetti a catena.

La “tirannia” della casa

La casa senza dubbio resta il centro attorno al quale ruoteranno un numero importante di attività, fisiche e digitali. Interviene sul tema di Giacomo Pozzi, ricercatore in Antropologia Culturale, Università Iulm che spiega: “L’antropologa Mary Douglas nel 1991 – riprendendo Weber – rielaborò la nozione di casa come comunità embrionale, luogo di solidarietà e introdusse il tema della “tirannia della casa” una parola forte ma adeguata anche in relazione a questi giorni di crisi”.
L’espressione, si badi, non riguarda solo le persone isolate; fa pensare alla casa come “sfera di protezione, ma anche come ambiente limitante. Microcosmo rassicurante, ma stretto. La tirannia della casa però è un tema ancora più ampio e comprende anche chi la casa l’ha persa, soffre due volte (non potendo nemmeno tutelarsi dal contagio). E poi si pensi ancora alla tirannia della casa per chi è ‘in prigione’, non solo quella reale, ma anche quella imposta dalle abitudini, in determinati quartieri”. La tirannia della casa, infine, è metaforicamente collegabile anche all’esperienza del corpo che ospita il virus. “Nella casa come immagine del tempo pietrificato, di Daniel Roche, si ritrova il senso profondo della tirannia della casa. Non solo quello passato, ma anche il presente ed il futuro”. Serve pertanto un radicale lavoro di re-immaginazione e riadattamento

Giacomo Pozzi
Giacomo Pozzi, ricercatore, antropologia culturale (Iulm)

Entrambe sono caratteristiche che ci contraddistinguono e “l’uomo è sempre stato capace di ricreare l’ambiente in cui vive sulla base della cultura. Allo stesso tempo siamo fragili, abbiamo bisogno di “manutenzione costante” e necessitiamo di “una rete di relazione” che costituisce l’intelaiatura della vita stessa”. La pandemia ha portato quindi le case “a restringersi ed espandersi allo stesso tempo a diventare “porose”, “da qui anche l’apertura di finestre agli altri con il digitale ha avuto un ruolo importante a tenere aperte le relazioni”. L’integrazione tra fisico e digitale rappresenta quindi un aspetto importante.

Oggi considerare come separate le due sfere ha poco senso e i processi di ibridazione si sa non viaggiano a senso unico ma “operano come le reti stesse” entro cui l’uomo si sente imbrigliato ma che offrono anche tanti vantaggi. “Cercare di leggere cosa accade nelle nostre case dal punto di vista antropologico, in questo momento phygital, è oggi forse troppo presto per riuscire a farlo con la giusta distanza, ma alcune parole possono offrirci almeno un sistema di riferimento”. E’ il momento questo di “familiarizzare l’estraneità” (Fisher), di indagare la presenza di “fantasmi” nella società, in un momento in cui il passato “continua a tornare remixato” e il futuro che ancora non è arrivato sembra già perduto”.

Un altro tema che meriterebbe di essere approfondito sarebbe quello proposto dall’antropologo Arjun Appadurai“Con la parola “indigenizzazione” lo scienziato si riferisce ai processi attraverso cui comportamenti esterni, che provengono magari da lontano, vengono tradotti in cultura, ed in situazioni nuove. In un contesto come quello attuale ne stiamo vivendo tantissimi: nelle nostre case è effettivamente in atto una continua indigenizzazione anche del nostro rapporto con la tecnologia ed il digitale. L’ibridazione quindi può essere considerata alla base dei processi per saper far casa.

Ultimo termine chiave, quello della “metis” (greco), introdotto da James C. Scott: è il talento, l’intelligenza pratica, grazie al quale Ulisse riusciva a salvarsi nelle circostanze avverse, erroneamente tradotto come astuzia, mentre sottintende piuttosto la capacità di acquisire competenze in un contesto in continuo mutamento, attraverso la prassi. “Serve impegnarsi a pensare anche all’abitare come a una prassi umana, ritenendolo un processo più che un esito, un’apertura più che una chiusura, una possibilità di ibridizzazione”. Riflettere sulle vie percorribili in sentieri appena tracciati, con al centro le persone, consentirà di trarre lezioni importanti nei momenti di difficoltà come per non perdere la capacità di riaprirsi al futuro.

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