Si torna a parlare di lavoro questa settimana oscillando tra chi il lavoro lo lascia (la great resignation non è solo americana ma anche italiana, lombarda o veneta) e chi il lavoro lo offre (34% dei datori italiani) mettendo in evidenza quanto si cerchi un nuovo equilibrio tra domanda e offerta, innescato (ben si sa oramai) dalla pandemia e dalla diffusione dello smart working (ad oggi ancora attuabile in forma agevolata fino al 31 agosto 2022).
Un tema sul tavolo anche al World Economic Forum di Davos che, dopo due anni di assenza dalle Alpi svizzere per Covid, ha avviato ieri i lavori in presenza fino al 26 maggio, con 50 capi di stato e 2.500 partecipanti, che nella complessità della situazione politica ed economica mondiale si confronteranno su transizioni, guerra, futuro e anche sul lavoro (così titola il summit 2022: “La storia a un punto di svolta: politiche governative e strategie di business”).
L’attenzione sul lavoro nasce dai dati dell’ultima ricerca Employment Outlook Survey di ManpowerGroup (Meos), i cui insight verranno presentati proprio a Davos, che ha coinvolto 40mila datori di lavoro in circa 40 Paesi, e che racconta di un trend occupazionale in crescita del 33% a livello mondiale, con maggiore impulso nei Paesi del Sud e Centro America, seguiti da Nord America, Apac e Emea. “Questa ripresa è diversa da tutte quelle precedenti – esordisce la ricerca –: la domanda di lavoro è ai massimi storici in molti mercati, ma i livelli di disoccupazione rimangono alti. La crescita economica continua ad essere disomogenea, alcuni mercati si stanno riprendendo mentre altri sono in ritardo, ostacolati dalle varianti del Covid, dalle chiusure e dalle sfide della catena di approvvigionamento”.
A livello mondiale le prospettive occupazionali maggiori saranno in Messico +59%, Brasile +54%, India +51%, Canada +43%, Colombia +33%, con l’Italia (+23%) al 28esimo posto, mentre chiuderanno la classifica oltre la Grecia (-1%), Taiwan (+3%) e Giappone (+4%).
Con un denominatore comune: ovunque le professioni che offriranno più prospettive occupazioni saranno legate a IT, tecnologia, telecomunicazioni, comunicazioni e media (44%), seguite da banche (+38%), costruzione (+33%) e industria manifatturiera (+33%). Mentre le aspettative più basse riguarderanno i settori della ristorazione e dell’ospitalità (+23%) oltre che la produzione primaria (25%).
L’attività di assunzione più intensa è prevista dalle imprese con più di 250 dipendenti (+39%) mente la carenza di talenti a livello globale raggiunge i valori più alti degli ultimi 16 anni, con il 75% dei datori di lavoro che segnala difficoltà di trovare risorse.
Italia, crescita in tutte le regioni
Se si guarda l’Italia, nel trimestre estivo da luglio 2022 a settembre 2022, i datori di lavoro prevedono una crescita delle assunzioni del +23% (al netto degli aggiustamenti stagionali, con una spinta notevole rispetto al +13% dello scorso anno), con il 34% dei datori di lavoro italiani pronto ad aumentare la forza lavoro, contro il 12% che prevede una diminuzione delle assunzioni e un 50% stabile nell’organico.
Un fenomeno che avrà un impatto importante a Nord Est (+39%) e Nord Ovest (25%), una crescita più contenuta nel Sud e nelle isole (+16%) e una spinta ridotta in Centro Italia (5%), con una problematica comune lungo tutto lo Stivale: il 72% delle aziende italiane afferma di essere in difficoltà nel trovare profili specializzati.
“Ci avviciniamo alla seconda metà dell’anno con un consolidamento dell’occupazione nonostante le diverse difficoltà e gli scenari globali emersi nel 2022 – puntualizza Anna Gionfriddo, amministratrice delegata di ManpowerGroup Italia -. Tuttavia, le aspettative positive potrebbero essere limitate dal fenomeno ormai sistemico del talent shortage, con una difficoltà più che doppia rispetto al 2010 (erano il 31% delle aziende). C’è un forte gap tra le competenze ricercate dalle imprese e quelle in possesso delle persone. Come evidenzia la nostra ricerca (Meos), circa tre aziende su quattro hanno difficoltà nel trovare i talenti necessari. Una tendenza che colpisce in modo trasversale quasi tutti i settori e che riguarda sia competenze tecniche sia soft skill, a conferma di come sia ancora più cruciale investire su upskilling e reskilling delle persone, se vogliamo diminuire questo divario e supportare la crescita economica delle aziende e del Paese”.
Sono le aziende più grandi a registrare le maggiori difficoltà nel reperire talenti (76%), nel trovare competenze per la gestione di dati e IT (27%), ma anche un’azienda su cinque lamenta ostacoli per selezionare profili per amministrazione, logistica, risorse umane, vendite e marketing. Tra le soft skill più difficili da trovare resilienza, tolleranza allo stress, adattabilità (28%), responsabilità, affidabilità e capacità di problem solving (25%), lavoro di squadra (25%), creatività (22%), pensiero critico e capacità di analisi (21%).
La disomogeneità nella crescita economica evidenziata all’inizio da ManpowerGroup si trova anche nei dati anticipati oggi dal Sole24ore dell’Ambrosetti InnoSystem Index, che misura quanto l’ecosistema nazionale sia favorevole allo sviluppo delle attività innovative, e che verrà presentato in settimana: l’Italia si posiziona al 18° posto su 22 Paesi per capacità di generare valore economico dall’innovazione, con una grande distanza dagli altri grandi Stati europei (Germania e Francia). Mi sembrano due facce della stessa medaglia, competenze e capacità di innovare.
A Davos, dove i riflessi della guerra in Ucraina e della pandemia saranno ben presenti, il tema del lavoro e il digitale saranno parti del programma, che prevede sei pilastri tematici: promuovere la cooperazione globale e regionale (1), assicurare la ripresa economica per avviare una nuova era di crescita (2), costruire società sane ed eque nel rispetto degli obiettivi di sostenibilità (3), salvaguardare il clima e il pianeta (4), guidare la trasformazione industriale (5), sfruttare il potere della rivoluzione Industria 4.0 grazie alla transizione digitale (6). “Sarà un vertice centrato sul clima e sulla transizione energetica” ha spiegato Klaus Schwab, fondatore e presidente esecutivo del Forum, sottolineando “la necessità di una piattaforma globale affidabile, informale e orientata all’azione per affrontare i problemi in un mondo guidato dalla crisi”. Dall’Italia quattro i ministri presenti: Daniele Franco (Economia), Roberto Cingolani (Transizione ecologica), Enrico Giovannini (Infrastrutture e mobilità sostenibile) e Vittorio Colao (Innovazione tecnologica e transizione digitale). Seguiremo.
PS: sulla great resignation, citata all’inizio, solo un dato: l’Aidp, l’Associazione italiana direzione personale, misura che in Italia le dimissioni volontarie interessano il 60% delle aziende, riguardano decine di migliaia di posizioni, soprattutto per figure che operano nelle aree dell’informatica e del digitale, nella produzione, marketing e vendite.
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