Durante il periodo di lockdown, questa primavera, il commercio elettronico ha registrato un’importante crescita sia in volumi, sia in valore, dettata dal bisogno di accedere a una serie di beni, non necessariamente di prima necessità, ma comunque importanti per soddisfare le esigenze di base delle persone che si sono ritrovate dall’oggi al domani a stare a casa anche per le attività educative e lavorative.
Lo scenario
Le famiglie si sono dovute “riorganizzare” di conseguenza, hanno adeguato l’ambiente deomestico affinché fosse idoneo a consentire il lavoro da remoto, approntato le postazioni per la didattica a distanza, e hanno cercato di ricavare spazi polivalenti, per l’intrattenimento e l’esercizio fisico. Ikea è tra le catene che per questi motivi ha beneficiato della crescita dello shopping via Internet.
Molti dei suoi negozi sono rimasti accessibili solo online, e ciò ha comportato un importante incremento dell’e-commerce – Ikea ha più che raddoppiato i volumi di vendita online – ma anche il bisogno di accelerare sui processi di trasformazione digitale per assecondare le esigenze di utenti e clienti abituati prima a riversarsi nei magazzini, a poter chiedere informazioni direttamente ai connessi e “toccare con mano” le proposte prima di metterle nel carrello.
Il bisogno e la soluzione
L’azienda svedese ha quindi deciso di lavorare su tre aspetti in particolare, e di sfruttare il cloud di Google per migliorare le proprie capacità di data analytics, utilizzando soluzioni di AI e ML nelle diverse aree di business, per comprendere meglio le esigenze dei clienti (1); sviluppare soluzioni di customer service di nuova generazione utilizzando le tecnologie di mixed reality (2); lanciare e scalare nuove funzionalità per un approccio omnichannel, impostando servizi contactless per le procedure di raccolta della merce dagli scaffali “virtuali” in modalità click&collect e gestire quindi i volumi di traffico Web e gli ordini online (3). Di fatto l’azienda si è trovata ad implementare una serie di servizi che normalmente richiederebbero anni o mesi in poche settimane.
Il cloud di Google, in particolare, ha permesso ad Ikea di trasformare l’attuale infrastruttura tecnologica, in modo da convertire la logistica infrastrutturale dei negozi chiusi, e prima disponibili per le visite dei clienti reali, in centri di distribuzione abilitando la stessa possibilità di scelta ma “senza contatto” pronta comunque a scalare in relazione alla domanda online. In particolare Ikea si è affidata alle tecnologie serverless di Google Cloud, per ridimensionare l’attività sul Web.
Come altre aziende però ha dovuto anche abilitare una serie di servizi, per i propri dipendenti. Da una parte permettendo al proprio personale di prendere “in prestito” online quanto serviva per avere disponibilità di uno spazio ufficio domestico adeguato, dall’altra anche attraverso l’utilizzo di una serie di servizi e strumenti digitali per automatizzare le attività di routine, sfruttando algoritmi avanzati per la soluzione dei problemi e lavorando alla riprogettazione di strumenti digitali per facilitare l’esperienza dei clienti e i compiti dello staff. Così per esempio la tecnologia cloud ha permesso di lavorare ai modelli di dati proprio per migliorare i percorsi di prelievo tra gli scaffali.
Il metodo
In particolare, per quanto riguarda la focalizzazione sui servizi ai clienti, Barbara Martin Coppola, Chief digital officer di Ikea Retail, spiega il lavoro svolto utilizzando “AI, e chatbot per un servizio clienti più semplice e migliore e strumenti di progettazione della visualizzazione 3D per raffigurare mobili in stanze fotorealistiche, una funzionalità ancora più utilizzata durante l’emergenza”. Coppola sottolinea come Ikea si sia trovata in poco tempo a dover di fatto ri-immaginare almeno in parte il “customer journey” lavorando all’approccio “data centrico”.
Un percorso certo accelerato dalla pandemia, ma iniziato comunque circa due anni e mezzo prima, quello di Ikea che, per quanto riguarda la tecnologia cloud di Google ha beneficiato in primis “delle caratteristiche di flessibilità e scalabilità nella gestione delle risorse necessarie in cloud, ma anche della possibilità di approdare ad uno scenario di elaborazione degli analytics effettivamente realtime, non possibile tenendo l’infrastruttura on-premise”.
A questo proposito Coppola sottolinea in particolare la possibilità di sfruttare gli algoritmi lungo tutta la ‘supply chain’ del dato. Tra le sfide indicate da Coppola per indirizzare non solo i progetti di trasformazione digitale ma di fatto anche quelli legati all’inclusione torna il tema del digital divide, le esigenze di “reskilling” e l’importanza della condivisione dei progetti a partire dagli ambienti di scuola, dalle università.
“Nei progetti di trasformazione le persone restano assolutamente centrali – spiega Coppola – devono essere motivate, ma anche formate proprio dal punto di vista tecnologico. Un altro aspetto fondamentale riguarda invece il metodo. Non è pensabile riuscire a trasformare l’azienda in modo vantaggioso pensando all’innovazione digitale per piccoli progetti, quanto piuttosto bisogna mantenere un approccio orizzontale ed ampio. Il digitale è un ‘mindset’, richiede velocità, centralità del dato in ogni processo decisionale, ma anche la capacità poi di sfruttare le evidenze per migliorare l’execution, senza sacrificare la capacità creativa per immaginare nuove esperienze per i clienti”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA