Ritorno a Milano, agli East End Studios, per un Oracle Technology Summit che riprende il filo degli ultimi due anni, in un momento di sfide giganti (umanitarie ed economiche) con il Pnrr che sta entrando in una fase di accelerazione. Cloud, migrazione, tecnologia sono le linee guida di una giornata aperta da Alessandro Ippolito, VP Technology & Country manager Oracle Italia, che oltre all’ “emozione grande” di un ritorno in presenza tra partner, clienti e giornalisti, connota in poche parole l’anima di Oracle, un’azienda di pura tecnologia. Come questa giornata “dedicata alla tecnologia” (anche senza annunci di prodotto), in un momento effervescente, da un punto di vista tecnologico e di innovazione. “Abbiamo nelle nostre mani, come comunità, una grande chance. Stanno arrivando importanti fondi che vanno indirizzati e investiti bene nella logica della tecnologia e del valore”. Una giornata di condivisione, dove si percepisce la responsabilità di tutti i cloud provider per far evolvere il Paese. Si parla indirettamente di business.

Tre pilastri: infrastruttura, piattaforma e database

E’ Michele Porcu, VP Business Value Services & Strategies Emea di Oracle che, parlando di responsabilità, mette in chiaro il perimetro in cui si muove Oracle: quello del cloud infrastrutturale (IaaS) di seconda generazione per gestire carichi importanti mission critical su una piattaforma aperta (PaaS) sfatando quel “ritardo” che spesso si attribuisce ad Oracle nella sua discesa in campo nell’arena del cloud computing e quello legato al mondo dei dati grazie a una piattaforma di dati convergenti in grado di gestire la modernizzazione dell’installato ma anche i nuovi fabbisogni digitali. Infrastruttura, piattaforma e database.
“Nel cloud non siamo un follower, nonostante siamo arrivati dopo gli altri, perché oggi abbiamo lo stesso approccio e capacità di erogare servizi dei nostri competitor, con tecnologie simili – esordisce Porcu -. Non ci sentiamo un follower perché pure essendo i nuovi entranti indirizziamo un fabbisogno che in larga parte non era ancora indirizzato dagli altri provider” sottolineando come Oracle è stata a sua volta un precursore non solo nel mondo del database relazionale ma anche della piattaforma di dati convergenti multimodello, cloud-ready e autogestita. “Oggi le aziende sono pronte a portare in cloud la intranet, la collaboration, la workforce automation, una serie di applicazioni autoconsistenti ma quello che è rimasto on premise sono i carichi di lavoro core, missione critical, quelli che richiedono alti elevati standard di sicurezza, l’80% del totale”. In cloud le applicazioni marginali, periferiche, mentre on premise i workload fondamentali per il business. Ma perché?

Alessandro Ippolito, Vice President Technology & Country Manager Italia di Oracle
Alessandro Ippolito, Vice President Technology & Country Manager Italia di Oracle

Criticità e risposte

L’analisi di Porcu passa in rassegna i principali blocchi nella migrazione verso in cloud: la standardizzazione imposta dai cloud vendor, la mancanza di competenze nelle aziende, i nuovi livelli di servizio richiesti, sicurezza e predicibilità delle performance. Spesso anche resistenze legate a latenza e sovranità dei dati, per non parlare dei timori per gli elementi di rischio presenti in qualsiasi migrazione (in termini di costi, tempo, change management). “Portare un grosso Erp in cloud non è banale – esemplifica Porcu – e richiede skill nuovi. Per questa ragione dal 2014 abbiamo saccheggiato menti e ingegneri dai nostri competitor, li abbiamo chiusi a Seattle, patria dell’ingegneria del cloud infrastrutturale di Oracle lontana dall’headquarter di San Francisco, e abbiamo chiesto loro di costruire un cloud di seconda generazione, per superare i timori, un cloud che avesse i requisiti di efficienza, sicurezza e visibilità”.

Il cloud di seconda generazione di Oracle (“non nasce per gestire il database di Oracle ma per gestire qualsiasi carico”) ha tra i punti di forza l’innovazione (“permette di avere bassissima latenza, di scalare senza sacrificare la portabilità dei carichi di lavoro e applicazioni, riducendo i colli di bottiglia”), la sicurezza by design, e la capacità di realizzare in sei mesi una cloud region da zero che sia autosufficiente, anche all’interno del perimetro aziendale, con i medesimi servizi offerta dalla cloud region. “Possiamo costruire in scala a listino un prodotto che è identico a quello proposto dalle nostre cloud region pubbliche, per portare il data center dei clienti in cloud a casa loro. Abbiamo di fatto ingegnerizzato il processo di creazione delle region, anche @customer, e le realizziamo in sei mesi” precisa Porcu, sottolineando come la standardizzazione (“non è un lock-in”) consenta di realizzare presso i clienti un cloud con sicurezza intrinseca, con costi predicibili, senza differenze di prezzi per i clienti delle vari cloud region. Ma non costruendo il tutto da soli: “Una rete di partner dà supporto ai clienti per migrare. Il fatto che il nostro PaaS sia standard fa sì che il cliente possa decidere di riportare on-premise ciò che è in cloud nel caso cambi la propria strategia”. A questo si aggiungono modelli commerciali lineari, nei quali trovano spazio strumenti di supporto agli investimenti nella migrazione cloud: che si tratti di re-hosting, di PaaS, di modelli lift & shift o di scelte cloud-native

L’apertura della cloud region annunciata a fine 2021 in Italia si colloca in uno scenario di 37 cloud region già operative a livello mondiale, alle quali se ne aggiungeranno altre 8 pianificate per i prossimi anni, con già 10 regioni interconnesse con Azure. “Sono tutte automatizzate, 100% alimentate con energia rinnovabile entro il 2025, con le region in Emea già 100% green e tutte le region offrono lo stack IT completo, dal bare metal al SaaS”.
Ma la consapevolezza che le aziende stanno prediligendo strategie di cloud ibrido con collaborazioni aperte con differenti hyperscaler ha fatto sì che Oracle stringesse partnership strategiche con Azure, o con Aws, Google Cloud e Vmware (“Siamo aperti al multi cloud. Rispettosi del fatto che i clienti hanno già strategie cloud in essere e ricercano tecnologie best-of-breed, per questo ci componiamo con i cloud esistenti, offrendo interconnessione o facile integrazione con i cloud degli altri maggiori vendor” precisa Porcu).
Lato mercato, il riconoscimento del recupero fatto nel mercato cloud (“dopo anni in cui abbiamo fatto baruffa con Gartner”, scherza) sposa la strategia 2022: “Siamo pronti a supportare i nostri clienti nei percorsi di digitalizzazione verso il cloud – aggiunge Andrea Sinopoli, Cloud Technology Country leader di Oracle Italia – perché abbiamo piattaforma Iaas e Paas matura che permette un cloud aperto, abbiamo la capillarità geografica perché crediamo che sia un elemento importante, abbiamo un framework commerciale ad hoc per aiutare i clienti nel moving verso il cloud, creando sinergie con gli asset creati dai clienti sulle nostre piattaforme in passato. Importante rimane poi sempre mitigare i rischi per cogliere opportunità di evoluzione verso il cloud”.

Oracle
Michele Porcu, VP Business Value Services & Strategies Emea di Oracle

Il mondo dei dati distribuito, il data mesh

Guardiamo al database, che ha fatto anch’esso un salto di innovazione negli anni, non più legato ai modelli relazionali ma basato su tecnologia convergente che permette query incrociate, in real time, consistenti, che indirizzano le esigenze del mercato enterprise, anche grazie a una elevata automazione con livelli spinti nel cloud, dal provisioning alla sicurezza, alla ottimizzazione delle performance. Un database che si autogoverna e si autoregola.
“La stessa piattaforma dati – continua Porcu puntualizzando sulla terza anima tecnologica di Oracle – è stata pensata per gestire l’installato, lo storico dei dati sui database mission critical che i clienti hanno in azienda, per modernizzare e automatizzare il lifecycle ma nello stesso tempo per costruire le fondamenta per i nuovi sviluppi e servizi digitali, in cloud o on premise. E’ in sintesi una piattaforma dati convergente in grado di gestire la modernizzazione dell’installato ma anche di indirizzare i nuovi fabbisogni digitali per consentire sia la valorizzazione degli investimenti fatti, sia l’innovazione” grazie anche all’Autonomous Database che con l’automazione gestisce, protegge, aggiorna e allinea i dati in tempo reale. 

Ma l’analisi sull’importanza del dato fatta da Maria Costanzo, Senior Director Technology Software Engineering Sud-Emea di Oracle, mette in luce la fluidità degli ambienti in cui lavoriamo. “Il dato in movimento è fondamentale per la trasformazione delle organizzazioni, per cambiare le cose. Per questo parliamo di dati in motion” esordisce Costanzo, ripercorrendo le due grandi anime dei dati oggi: quella del business corrente o dell’as is, dove ci sono dati e applicazioni stratificate nel corso degli anni “che preferisco definire il mondo tradizionale più che il mondo legacy”, e quella del business innovativo all’interno del quale confluiscono le applicazioni moderne.
“Per mettere in comunicazione questi due mondi, che devono coesistere, servono approcci agili e paradigmi nuovi: da una parte serve l’integrazione dei due ambiti ma nello stesso tempo anche il disaccoppiamento. L’unione dei due mondi attraverso un concetto di data mesh in real time consente di democratizzare il dato ovunque e di consolidare le informazioni per avere una visione di insieme”.

Maria Costanzo, South EMEA Regional Leader Technology Software Engineers di Oracle
Maria Costanzo, South Emea Regional Leader Technology Software Engineers di Oracle

Con l’aumentare dei dati le necessità sono cambiate, dal data warehousing tradizionale si è passati all’avvento dei concetti di data lake e data science, fino all’approccio cloud-native che si porta appresso l’esigenza di “spacchettizzare” i servizi e passare a modelli di sviluppo di microservizi, più veloci e funzionali per gestire i diversi tipi di dato. “Si deve per questo realizzare una data platform non solo completamente convergente, ma anche in grado di gestire il dato quando è in movimento, da un database all’altro, da un servizio all’altro, in tempo reale”, spiega Costanzo.

Il concetto di data mesh rimane una sfida per mettere a disposizione i diversi dati aziendali (ad esempio di finance, marketing, risorse umane) in modo trasversale ovunque ce ne sia bisogno in azienda. “Un  concetto che poggia su due elementi – continua Costanzo -: dominio del dato e il dato come prodotto, a scaffale, che può essere fruito dai diversi ambiti in base alle necessità. Questo implica il passaggio da una Monolith Data Platform a una Distributed Data Mesh Platform: se ogni produttore di dati mettesse a disposizione una copia certificata e univoca ben descritta e “etichettata” del dato fresco, come se fosse su uno scaffale, ci troveremmo in una situazione in cui ognuno potrebbe arricchire le proprie applicazioni con dati provenienti da altri domini, attingendo per alimentare processi, applicazioni, analisi. Una modalità che permette di costruire un marketplace certificato”.  In questo modo non serve che l’IT aziendale sappia ogni cosa, ma che si adoperi per mantenere condivisa una struttura di dati che renda il lavoro più stimolante rispetto al passato (si parla di Data Shared Structure)

In viaggio Anas, Cerved e Csi Piemonte 

Ma le migrazione verso il cloud e la gestione intelligente dei dati richiedono change management oltre che disponibilità tecnologica, come Anas, Cerved e Csi Piemonte raccontano.

Flavio Mauri, chief information technology officer di Cerved Group, osservando le aziende italiane nota la bassa cultura del dato nella gestione del dato stesso. “La difficoltà non è avere il dato e fruirne, ma costruire lo strato sopra il dato, raggiungere l’informazione utile, che può essere elaborata da un algoritmo, uno score, un monitoraggio continuo. Serve raggiungere le informazioni essenziali per l’impresa, perché siamo inondati da informazioni ridondanti e dobbiamo distillare i contenuti”. Un approccio che ha trasformato anche Cerved, che continua a realizzare visure e bilanci come in passato, ma secondo una logica evoluta, arrivando a distillare dati di sintesi, per poi approfondire. “Vendiamo meno dati ma informazioni di altissima qualità. Possiamo proporre le informazioni di sempre, come bilanci, dati commerciali, in forme nuove e su basi nuove, non più solo puntuali, anche come monitoraggio nel tempo e contestuali”.

Oracle - Flavio Mauri, Chief Information Technology Officer di Cerved Group - Mauro Giancaspro, Direttore ICT di ANAS - Pietro Pacini, Direttore Generale di CSI Piemonte
Oracle – Flavio Mauri, chief information technology officer di Cerved Group – Mauro Giancaspro, direttore Ict di Anas – Pietro Pacini, direttore generale di Csi Piemonte

Mauro Giancaspro, direttore Ict di Anas, sta gestendo grazie a tecnologie IoT e cloud, un progetto per la messa in sicurezza della rete di trasporto, con 32.000 km di strade e autostrade, 18.600 opere infrastrutturali, tra cui 2.000 gallerie. “Nel Pnrr c’è un finanziamento per mettere in sicurezza pezzi dell’infrastruttura stradale che Anas gestisce – esordisce -. Grazie al cloud e a alla digital business platform che stiamo implementando da alcuni anni, stiamo creando un nuovo sistema dinamico per analisi modale della infrastruttura, con una architettura che possa effettuare un monitoraggio dello stato di salute delle opere”. La rete è dotata di sensori sui ponti con monitoraggio continuo delle vibrazioni, del rumore, del funzionamento elettrostatico e elettromagnetico, interpolando questi dati con quelli satellitari e di geografia, in modo da analizzare tutte le deformazioni. “Il cloud ci dà una mano ad analizzare i dati consolidati all’edge, permettendoci un’analisi che ci offre la possibilità di industrializzare un processo manutentivo, da straordinario a programmato, grazie ad analisi molti puntuali. Nel bridge management system, che gestisce tutti i processi di ispezioni, stiamo inserendo anche la manutenzione predittiva con un algoritmo che porta insieme conoscenze ingegneristiche e conoscenza del dato. Abbiamo creato una architettura logica end-to-end per monitorare lo stato di salute delle infrastrutture, con una sperimentazione su 40 ponti che si concluderà a fine anno”.

Pietro Pacini, direttore generale di Csi Piemonte, sta portando avanti un progetto di migrazione al cloud nell’ambito della pubblica amministrazione che riguarda i comuni italiani. “Stiamo guardando in modo importante, oltre alle tecnologie, a come esser capaci di gestire questa migrazione in cloud per gli 8mila comuni italiani, di cui l’84% ha meno di 10.000 abitanti, e dove i comuni molto piccoli non hanno capacità tecnologiche mirate. Si attendono i voucher governativi in arrivo tra maggio e giugno che saranno di differente entità a seconda della grandezza del comuni, ma per i comuni la capacità di decidere cosa fare e con chi farlo diventa fondamentale. Ci stiamo occupando di questa fase, di riuscire ad accompagnare i comuni in questa migrazione, ma credo che la vera difficoltà da superare siano le competenze. Bisogna far capire, attraverso webinar mensili, che il cloud è sicuro e anche se il tema della sicurezza non è molto sexy va affrontato perché molto sentito. Fare piani di sicurezza diventa così fondamentale” .

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Condividi l'articolo: