Trovare un equilibrio tra i gas serra prodotti dalle aziende e in generale da tutte le attività umane bilanciando le emissioni residue e quelle inevitabili con un assorbimento equivalente, per raggiungere la parità con la quantità rimossa dall’atmosfera: questo è l’obiettivo net zero appunto. Più nello specifico dettaglia così l’Intergovernmental Panel on Climate Change: “Per un’organizzazione, essere net zero significa ridurre le emissioni di gas serra (CO2, metano, protossido di azoto, ecc.) fino ad avvicinarsi allo zero ed estrarre le emissioni residue dall’atmosfera entro un determinato periodo di tempo”. E’ questo l’obiettivo, non più rimandabile, che richiede l’impegno di tutti i Paesi e le organizzazioni. Un obiettivo per raggiungere il quale è indispensabile fare riferimento a misurazioni e dati certi e sfruttarne il potenziale. Il report Capgemini Data for Net Zero: Why Data is Key to Bridging the Gap Between Net Zero Ambition and Action fotografa proprio in questo ambito le differenze tra il valore effettivamente riconosciuto ai dati per sostenere questa sfida e le difficoltà che le organizzazioni incontrano nell’utilizzarli in modo proficuo e vantaggioso.
Sono oltre 900 le realtà prese in esame dall’indagine tra quelle che hanno definito gli obiettivi net zero. E la prima evidenza sembrerebbe alimentare l’ottimismo, perché oltre la metà (il 53%) di quelle che utilizzano i dati per elaborare i processi decisionali registra effettivamente progressi più rapidi, in modo più trasparente, per una riduzione media delle emissioni del 4,6% (percentuale in termini assoluti comunque non elevata e che dovrebbe far riflettere).
Se si percorrono però tutte le tappe tese all’impegno basato sulle evidenze dei numeri, ecco che emergono punti critici e difficoltà. Serve, per fare bene, una solida base di gestione dei dati che consenta alle organizzazioni di raccogliere, consolidare e ottimizzare le informazioni provenienti da più fonti come parametro fondamentale per raggiungere gli obiettivi. E questo non è possibile senza implementare meccanismi precisi per individuare le responsabilità della decarbonizzazione all’interno delle organizzazioni. Serve inoltre la definizione di Kpi certi per i team aziendali oltre agli investimenti necessari nelle competenze di carbon accounting.
Un impegno oneroso, come dicono i numeri: per la maggior parte delle organizzazioni proprio la gestione e la raccolta di dati relative alle emissioni Scope 3 (rappresentano fino al 95% della carbon footprint di un’azienda) risultano complesse, anche perché meno di un’organizzazione su quattro dichiara un sufficiente livello di consapevolezza circa i fornitori che producono la maggior parte delle emissioni.
Non solo, meno del 30% delle realtà misura le emissioni legate all’acquisto di beni e servizi e ancora meno sono quelle che misurano le emissioni derivanti dall’utilizzo dei prodotti messi in commercio. I dati raccolti si basano poi nella maggior parte dei casi su stime di settore o dei fornitori, mancano le competenze specifiche in carbon accounting e quindi anche applicare anche i dati raccolti al processo decisionale risulta difficile.
“Anche se organizzazioni e governi hanno fissato i loro obiettivi net zero a cinque, dieci, trent’anni di distanza, ciò non significa che la sostenibilità sia un problema futuro. Il nostro pianeta è in crisi e per monitorare i propri progressi, implementare nuovi requisiti normativi o rispondere alle richieste dei consumatori, i dati e la loro analisi sono fondamentali – spiega Marco Perovani, Coo di Capgemini in Italia -. Di fatto sono ancora poche le organizzazioni che adottano un approccio basato sui dati ed è importante sottolineare anche come proprio la collaborazione giochi un ruolo cruciale, collaborazione di tutta la catena del valore, per migliorare collettivamente i sistemi di gestione delle emissioni. “Le organizzazioni devono investire in risorse dedicate alla contabilità del carbonio e definire chiari obiettivi in termini di emissioni, in modo da passare dall’ambizione all’azione”, auspica Perovani.
Tornano quindi i temi chiave: collaborazione e competenze.
Punti su cui il report offre un quadro di lettura chiaro. Attualmente, meno di un terzo (32%) delle aziende dichiara di prendere parte a iniziative di ecosistema per condividere i dati sulle emissioni con realtà esterne come Ong, competitor, fornitori e clienti. Invece una maggiore collaborazione a livello di ecosistema, proprio per disporre di dati qualitativamente validi sulle emissioni, è essenziale per fare progressi verso gli obiettivi net zero.
Le organizzazioni devono quindi aumentare la collaborazione con i fornitori per accrescerne anche le competenze di misurazione e gestione delle emissioni. Serve anche lavorare “a valle” con i dipendenti perché siano preparati e motivati a svolgere il proprio ruolo nel percorso verso il net zero. Appena il 7% del campione sta investendo per incrementare l’awareness e la formazione su temi legati alla sostenibilità e al cambiamento climatico. Troppo poco, anche considerato che ci si avvale dei dati sulle emissioni soprattutto per misurare le performance di sostenibilità e solo in pochi casi anche per migliorare i processi esistenti o individuare ulteriori opportunità di riduzione delle emissioni sfruttando gli analytics avanzati.
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