Recentemente l’attenzione dei media è stata catturata dall’emergere di sofisticati modelli di intelligenza artificiale (AI) in grado di replicare, a volte con risultati sorprendenti, alcune delle facoltà più avanzate dell’intelletto umano. In particolare, i riflettori sono puntati sui modelli a reti neurali, che possono essere addestrati per svolgere le funzioni più diverse sulla base di opportuni dataset. In ambito aziendale assistiamo a un proliferare di iniziative volte all’applicazione dell’AI nei settori più svariati, dalla ricostruzione dei processi operativi in base ai log generati dai sistemi informatici, all’analisi dei contratti per individuare clausole potenzialmente rischiose. Indubbiamente, anche considerando la fase di “hype” che stiamo vivendo, l’AI rappresenta oggi probabilmente la più straordinaria opportunità di creazione di valore aggiunto per le aziende.

E tuttavia, le esperienze delle aziende più avanzate in questo ambito concordano nel rimarcare l’importanza centrale del dato: senza dati accessibili, affidabili e di qualità, non è possibile addestrare correttamente i modelli di AI, rendendone l’applicazione poco incisiva o addirittura dannosa. Il seguente caso che abbiamo affrontato di recente illustra bene un problema molto diffuso. Una grande azienda multinazionale ha sviluppato dispositivi intelligenti dotati di sensori in grado di misurare centinaia di parametri e trasmetterli su una piattaforma cloud, creando nel tempo un’enorme base di dati. Scenari avanzatissimi di machine learning sono stati prospettati solo per rendersi conto a posteriori che l’architettura della piattaforma dati non consentiva nemmeno le più semplici analisi con risorse computazionali e tempi ragionevoli. Questo perché nessuno si era preoccupato di definire opportuni scenari d’uso per i dati raccolti. In altre parole, mancava una chiara strategia dati.

Strategia dati, perché serve

L’obiettivo di una strategia dati può essere riassunto in modo semplice come segue: gestire il portafoglio dei dati aziendali nel miglior modo possibile al fine di massimizzarne il valore. E poiché il valore del dato è proporzionale al numero di applicazioni e servizi che lo utilizzano, uno dei principi cardine della nostra strategia consiste nel trasformare i dati aziendali in “asset” che possono essere riutilizzati a supporto di molteplici servizi a valore aggiunto, rendendoli indipendenti dall’applicazione specifica per cui sono stati progettati. Si tratta, in altre parole, di gestire i dati come veri e propri prodotti, che devono essere ideati, progettati, sviluppati, pubblicizzati e “venduti” su un marketplace virtuale, di cui Cefriel ha definito le linee guida, il disegno e i processi di gestione, e che ha sviluppato per molti clienti.

Diego Ragazzi, Data Strategy lead Cefriel
Diego Ragazzi, Data Strategy lead Cefriel

Come ogni decisione strategica di sviluppo prodotto, i costi e i benefici devono essere attentamente valutati, e le priorità chiaramente definite. Per supportare queste decisioni propriamente strategiche, Cefriel ha sviluppato una metodologia e un cruscotto direzionale che consente di mappare il portafoglio dati aziendale secondo le due dimensioni principali di maturità tecnologica (una componente legata anche al costo) e valore aziendale.

La mia esperienza mostra come questo approccio sia in buona misura indipendente dalla tecnologia utilizzata per sviluppare le applicazioni finali. Ben prima dell’esplosione dell’AI ho seguito a New York un’iniziativa di “master data management” per conto di una delle maggiori multinazionali nel settore della cosmetica. Dopo alcuni anni di risultati inferiori alle attese, infatti, ci si era resi conto che il problema erano proprio i dati di partenza. La bassa qualità dei dati grezzi minava l’affidabilità e l’efficacia delle analisi molto sofisticate che nel tempo erano state costruite su quella base, costringendo l’azienda a una brusca inversione di marcia per tornare ai fondamentali. La vecchia massima nel settore dell’informatica garbage in – garbage out è ancora valida in tempi di AI.

Come definire una data strategy aziendale

Definire una buona data strategy a livello aziendale è quindi un passo iniziale di fondamentale importanza per garantire solide fondamenta alla costruzione di applicazioni e servizi avanzati, che siano basati su IA o su tecnologie più tradizionali.

L’esperienza di Cefriel mostra che l’approccio migliore consiste nell’affiancare la definizione metodologica della strategia a una serie di analisi verticali che consentano di valutare lo stato attuale del portafoglio dati dell’azienda e il suo potenziale inespresso, al fine di ricavarne fin da subito indicazioni molto concrete e, se possibile, ritorni positivi anche nel breve periodo. Tale analisi si traduce in una vista di alto livello dello stato del portafoglio dati sul nostro cruscotto direzionale che consente di individuare a colpo d’occhio le priorità di azione.

L’analisi iniziale consente anche di individuare i principali punti deboli nella composizione e nella struttura dei dati aziendali. Un problema comune che emerge in questa fase riguarda spesso una insufficiente qualità della base di dati. In questi casi, è consigliabile procedere a una valutazione analitica dei diversi aspetti di qualità del dato che sono rilevanti per il business dell’azienda. La valutazione della qualità del dato, nel contesto complesso di una qualsiasi azienda medio-grande, richiede l’applicazione di metodi rigorosi e tecniche specialistiche che in Cefriel abbiamo messo a punto nel corso degli anni. Un altro problema ricorrente, specialmente nelle aziende con forte vocazione tecnica, è la presenza di “disconnessioni” nel modello concettuale dei dati. In queste aziende sono spesso presenti strutture tecniche dotate di grande autonomia, che producono e consumano grandi quantità di dati attraverso strumenti software altamente specializzati. Il problema è che il collegamento architetturale con i dati di altre strutture aziendali è debole se non del tutto assente. Questo comporta la difficoltà di mettere in relazione le dimensioni tecnico-specialistiche con concetti altrettanto basilari come, per esempio, cliente e commessa. Oltre a generare inefficienza nell’operatività quotidiana, la scarsa connessione del modello dei dati è una barriera formidabile allo sviluppo di servizi e applicazioni innovative.

In conclusione?

Una buona strategia dati deve combinare al giusto livello una solida impostazione teorica e metodologica con un’analisi verticale dello stato attuale del portafoglio dati per offrire principi e linee guida generali, ma anche indicazioni concrete che aiutino a innestare la strategia nel tessuto vivente dell’azienda. Altrettanto importante è poter dimostrare fattualmente, attraverso implementazioni prototipali veloci, come governare il portafoglio dati e come massimizzarne il valore attraverso un opportuno marketplace virtuale. Questo consente di “toccare con mano” come la strategia proposta può essere messa a terra, integrata nei processi aziendali e supportata da strumenti appropriati.

* Autore: Diego Ragazzi, Data Strategy lead Cefriel

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