Dall’intelligenza artificiale applicata alla diagnostica all’adozione del cloud, dall’interoperabilità dei dati alla sicurezza informatica, oggi l’uso del digitale è l’unica leva possibile per creare sistemi sanitari efficienti. Lo conferma l’andamento del mercato della sanità digitale, cresciuto in Italia dell’11% nell’ultimo anno. Ma come definire nuovi orizzonti di cura, più connessi, efficienti e sostenibili? Se ne è discusso all’evento “Next Generation Healthcare Informatics” nel quale Philips ha raccolto presso Luiss Hub Milano molti protagonisti dell’ecosistema per un confronto aperto, facendo emergere le molte criticità del panorama sanitario italiano ma anche tante idee sugli approcci più efficaci per traguardare un modello ideale di sanità del futuro.
Sanità digitale chiama interoperabilità
La sfida si vince insieme, è il primo appello di Mauro Moruzzi, Dipartimento Trasformazione Digitale Presidenza del Consiglio dei Ministri: “Proponiamo un sistema dove l’ampia disponibilità di dati non debba essere gestita in modo centralizzato ma federato con la partecipazione di una pluralità di soggetti, il medico e il cittadino innanzitutto, ma anche il sistema delle aziende sanitarie, delle regioni e i sistemi degli enti centrali che devono essere protagonisti di una nuova comunità di welfare ma anche tecnologica”. Questo in funzione di una cura personalizzata, di un nuovo livello di prevenzione e predizione ma anche come grande sfida a cui sono chiamati tutti i protagonisti dell’industria tecnologica. “Essenziale è dunque creare sull’onda di questi progetti, intese che partecipino globalmente al progetto di rinnovare tutto l’impianto tecnologico della sanità italiana” sottolinea Moruzzi. Il tutto in uno scenario in cui stiamo entrando nel mondo della “sanità della distanza”, dove non dovremmo più parlare di informatizzazione ma di virtualizzazione del sistema sanitario, che va verso il digital twin come cambio di paradigma. La sanità sembra matura per questo passo: i cittadini passano il 40% del loro tempo libero collegati alla rete procedendo in realtà più veloci della PA; attraverso il fascicolo sanitario elettronico e la telemedicina siamo vicini al traguardo di 60 milioni di cittadini che entrano nella rivoluzione del dato clinico e nell’interazione cittadino-medico siamo tra i primi in Europa.
“Siamo nel pieno di un processo di accelerazione che procede abbastanza bene, ma non possiamo fare errori, come lo scaricare interventi senza avere in mente e condividere una strategia complessiva, perché c’è il rischio di accelerare su singoli interventi senza avere una visione più ampia”, concorda Giovanni Delgrossi, dirigente Unità Organizzativa Sistemi Informativi e Sanità Digitale Direzione Generale Welfare, Regione Lombardia che auspica “un disegno chiaro e condiviso per aiutare un cambiamento concreto della sanità territoriale” e segnala l’esigenza di condividere tecnologie, modelli e concetti non solo a livello di ospedale ma soprattutto di sistema, ripensando le architetture in modo molto meno frazionato.
“Siamo di fronte a un momento molto importante – interviene Andrea Celli, managing director Philips Italia, Israele e Grecia –. Dopo anni di investimenti pari e costanti rispetto agli anni precedenti, adesso vediamo una crescita degli investimenti del sistema sanitario sia pubblico che privato in digitalizzazione; attendiamo di arrivare a circa 3 miliardi di valore di mercato della digitalizzazione per la sanità e questo è importante ed è dovuto alla consapevolezza post-Covid da parte delle strutture ospedaliere, delle istituzioni, ma anche alla grande opportunità che deriva dal Pnrr”.
Pnrr che richiede di modificare il nostro sistema sanitario nazionale: “avere ospedali per acuti, ospedali di comunità, case di comunità e addirittura i domicili dei pazienti, in particolar modo cronici. Tutto questo funziona solo se si può basare su una infrastruttura solida, efficace ed efficiente che metta a disposizione i dati nel momento in cui vengono richiesti”, aggiunge Celli.
Guidando il dibattito, Annamaria Di Ruscio, presidente e amministratrice delegata di NetConsulting cube, condivide le preoccupazioni di questo momento nuovo per la sanità, dalla sfida tecnologica per trasformare il modo con cui si fa salute al coordinamento tra livelli istituzionali e territorio, dalle tempistiche concitate (la deadline di giugno 2026 è vicina) alla disparità regionale nella presa in carico e nell’accesso alle cure, dalla drammatica scarsità di risorse umane alla corretta visione della domanda e dell’offerta. Un’azione comune è l’unica strada da percorrere anche per Di Ruscio: “Collettivamente e collegialmente, ciascuno nel proprio ruolo, dovrebbe impegnarsi a spiegare quotidianamente ai propri direttori generali il valore dell’impatto, anche atteso e possibile, di ciò che si potrebbe fare, il perché con una tecnologia si possono fare non le stesse cose diversamente ma cose diverse in modo diverso. Un compito che tutti noi dobbiamo darci, dai primari specialisti ai tecnici informatici ma anche ai player del settore e a noi che facciamo mestieri collaterali”.
Per Gianluca Giaconia, vice presidente di Aiic il problema non è tecnologico ma culturale: “In Italia non siamo bravi a programmare, c’è troppa iper-regolamentazione e dobbiamo sburocratizzarci” sottolinea. Le chiavi per superare queste criticità devono essere: “capitale umano, un problema devastante per la PA in ambito salute; serve uno svecchiamento, fare leva sui giovani con un cambio generazionale e di prospettiva, maggiore engagement per sentirsi tutti partecipi, essere multidisciplinari dall’assesment alla messa a terra fino alla gestione, colmare la distanza tra mondo accademico e mondo del lavoro”.
Alberto Ronchi, presidente Aisis sottolinea l’urgenza di agire: “Abbiamo molti tasselli consolidanti e consolidati che vanno nella giusta direzione per la fase realizzativa della sanità digitale. Oggi per un cambiamento non solo infrastrutturale il limite è la resistenza al cambiamento. Non è più tempo di avere soluzioni specializzate, alcune industrie ci sono arrivate decenni fa. Ci sono nicchie di eccellenza ma anche tanta strada da fare e il tempo non è molto”.
In rappresentanza della community internazionale, Elena Sini, chair of Himss Europe Governing Council, propone alcune linee guida come quella di “guardare ai casi di successo ma anche a quelli di insuccesso perché questi insegnano ancora di più e portano valore. Vedo che le cose sono cambiate solo quando c’è stato un controllo centrale della data governance. Bisogna pertanto avere apertura e cogliere le opportunità che la UE sta guidando, che non rappresentano limiti ma un traguardo a cui guardare per andare in questa direzione e colmare il gap importante di cui soffre la sanità. Dal basso dobbiamo portare questo livello di consapevolezza e ridisegnare i modelli di cura”.
“Il vero cambiamento avviene a livello umano – dichiara Roberta Ranzo, Enterprise Informatics leader Philips Italia, Israele e Grecia – con l’engagement di tutti, anche nostro, per comprendere le singole criticità e interpretare anche le correnti contro. In qualità di vendor, ci sentiamo investiti di un ruolo importante, ovvero interpretare tutte queste evoluzioni per identificare le strade da percorrere rispetto alle possibilità”.
AI, già realtà in molti ambiti sanitari
In questo scenario, guardare alle nuove frontiere dell’intelligenza artificiale applicata alla diagnostica è un’opportunità. Philips investe 10% del fatturato annuo sull’AI per efficientare il percorso di cura, dichiara Ranzo.
Usare l’AI per essere più rapidi: “La GenAI, nata come discussione, oggi sta dando un boost a tutte le cose che stiamo facendo perché permette di andare oltre – dichiara Dario Arfelli, business marketing leader Radiology Informatics Philips -. Il nostro valore è la semplificazione, con progetti di sperimentazione che riducano i molti passaggi. In partnership lavoriamo per creare un concentratore di AI per fare ricerca e individuare le soluzioni migliori”.
Delgrossi interviene sul tema AI: “Ci stiamo preparando al cambiamento ma dobbiamo già pensare al cambiamento successivo. Non affronteremo delegando servizi ma vogliamo che i nostri professionisti comincino a sperimentare la tecnologia AI. Metteremo a terra qualche ambito sperimentale che ci permetterà di andare un po’ più in là ma non fermandoci agli adempimenti”.
Si focalizza sull’uso dell’AI Victor Saveski, managing director AI Center for Health & chief innovation officer, Humanitas Research Hospital parlando del centro di eccellenza in AI realizzato dall’istituto sanitario quattro anni fa, prima del covid, che ha l’obiettivo di migliorare la qualità clinica dei pazienti attraverso la ricerca e l’uso della tecnologia. Il centro sperimentale sta crescendo e conta oggi circa 30 persone, 50 pubblicazioni e diversi progetti anche a livello europeo, come quello che sfrutta i dati della ricerca per lo studio di malattie rare. “Abbiamo deciso di entrare anche noi nell’ambito dell’AI con la missione di capire innanzitutto cosa è, come ci può aiutare, se può aiutare il paziente e il medico e poi capire poi come tutto il sistema può essere sostenibile, un tema oggi fondamentale soprattutto per le realtà private come la nostra”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA