La Corte di Cassazione in data 2 luglio 2018 ha pubblicato una storica sentenza (Cass. 17278/18) con la quale, in merito al consenso al trattamento dei dati personali prestato dall’interessato, statuisce che:
“nulla … impedisce al gestore del sito – … concernente un servizio né infungibile, né irrinunciabile-, di negare il servizio offerto a chi non si presti a ricevere messaggi promozionali…Insomma, l’ordinamento non vieta lo scambio di dati personali, ma esige tuttavia che tale scambio sia frutto di un consenso pieno ed in nessun modo coartato”.
Il corollario più evidente derivante dalla decisione della Suprema Corte è il riconoscimento di un valore economico dei dati degli interessati che, prestando il consenso – purchè libero ed informato – al trattamento dei dati personali in cambio di un determinato servizio effettuano uno scambio. Il valore dei dati, in quanto tali e/o in forma aggregata (c.d. Big Data), è stato ribadito anche dal Garante della Privacy italiano, Antonello Soro, il quale ha sottolineato che: “Non dovremmo permettere che i dati personali, che hanno assunto un valore enorme in chiave predittiva e strategica, diventino di proprietà di chi li raccoglie”.
Per dare un’idea del valore dei nostri dati il Financial Times ha pubblicato un tool gratuito in grado di calcolare il valore commerciale di ogni singolo profilo utente. La provocazione del Financial Times è utile per comprendere che alla base dei meccanismi di machine learning propagandati dalla nuova proposta di Direttiva comunitaria sul Copyright, vi è proprio l’utilizzo di questa enorme mole di dati. L’art. 13 infatti (noi ne abbiamo parlato qui), nella formulazione prevista dal Comitato Affari Legali dell’Unione, avrebbe previsto un controllo preventivo da parte delle piattaforme sui contenuti caricati dai loro utenti, in modo da escludere la pubblicazione di contenuti coperti da copyright. Evidentemente tale controllo non può che sfuggire alla mente umana, basti pensare a quante persone sarebbero necessarie per vagliare preventivamente ogni contenuto condiviso sulla rete per farsi un’idea dell’impossibilità di raggiungere il risultato sperato. A tal scopo il sistema sarebbe stato implementato sulla falsa riga della tecnologia utilizzata da Youtube per evitare che siano caricati video che violino il copyright, ovvero un algoritmo in grado di vagliare acriticamente tutti i contenuti condivisi. La preoccupazione maggiore degli oppositori della proposta formulata in seno alle istituzioni europee riguarda proprio l’affidamento di tale “potere di censura” ad una macchina in grado di controllare e sorvegliare gli utenti della rete in modo automatizzato.
La pressione politica dell’opposizione, che ha visto, tra gli altri, persino Wikipedia Italia oscurare il proprio sito internet in occasione della votazione, ha, per questa volta, ottenuto il risultato sperato, ovvero un rigetto dell’attuale proposta che verrà sottoposta a nuova discussione a settembre.
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