Il 2018 sarà un anno da dimenticare per il social network di Mark Zuckerberg. Dopo aver assistito allo scandalo di Cambridge Analytica, all’attacco hacker che ha colpito 50 milioni di profili e alla multa disposta dall’Antitrust per l’utilizzo dei dati degli utenti a fini commerciali, Facebook chiude l’anno scusandosi – nuovamente – per un bug che, per 12 giorni, potrebbe aver esposto le foto di 6,8 milioni di utenti ad applicazioni esterne.
Accesso a foto non ancora online
L’incidente sarebbe avvenuto nel periodo tra il 13 e il 25 settembre e potrebbe aver colpito tutti gli utenti che hanno garantito il permesso di accedere alle proprie foto ad applicazioni terze. In particolare, si legge in una nota ufficiale di Facebook:
“Quando qualcuno autorizza un’applicazione ad accedere alle proprie foto su Facebook, di solito concediamo all’app solo l’accesso alle foto che le persone condividono sulla loro linea temporale. In questo caso, il bug potenzialmente dava agli sviluppatori l’accesso ad altre foto, come quelle condivise sul Marketplace o su Facebook Stories. Il bug ha avuto un impatto anche sulle foto che le persone hanno caricato su Facebook ma poi hanno scelto di non pubblicare.”
Nel corso dell’ultimo anno gli utenti si sono abituati ai numerosi bug dell’internet company, ma, per la prima volta, il “buco” in questione potrebbe aver colpito le foto che l’utente non aveva ancora deciso di pubblicare, infatti, è consuetudine del noto social network memorizzare temporaneamente (per tre giorni) le foto lasciate in sospeso dagli utenti.
Anche il New York Times ha rivolto verso il noto social network un’ennesima accusa sulla base di centinaia di pagine di documenti interni e una cinquantina di interviste ad ex impiegati. Secondo il quotidiano, Fb avrebbe consentito a Netflix e a Spotify di: “leggere, scrivere e cancellare i messaggi privati degli utenti. Privilegi che sembrano andare oltre quanto necessario alle compagnie per integrare Facebook nei loro sistemi”.
Gli episodi costituiscono l’ennesima riprova del fatto che Facebook sia diventato (o, forse, sia sempre stato) uno strumento inadeguato rispetto alla normativa in materia di tutela dei dati.
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