Scivoliamo in classifica, arretriamo dalla 24esima posizione alla 25esima. Dietro di noi solo Romania, Grecia, Bulgaria. E’ questa la foto sconcertante che il nuovo rapporto della Commissione Europea da pochi giorni rilasciato (11 giugno) fa dell’Italia e del suo grado di digitalizzazione dell’economia e della società. L’indice Desi 2020 (Digital Economy and Society Index) – che annualmente dal 2014 misura la digitalizzazione di 28 Paesi europei – sottolinea la nostra arretratezza, sommando diversi indicatori (connettività, capitale umano, uso dei servizi di Internet da parte dei cittadini, integrazione e sviluppo delle tecnologie, digitalizzazione dei servizi pubblici, cybersicurezza, ricorso ai finanziamenti di Horizon 2020) e mostra come il nostro Paese si trovi nettamente dietro ai maggiori Stati europei.

Un Desi 2020 che ci stronca.
Che fa male soprattutto se guardiamo alle persone, alle competenze, dove la scivolata è ancora più marcata. Perdiamo due posizioni, siamo ora ultimi – proprio ultimi – nella classifica Ue con il 42% della popolazione con solo competenze digitali di base (contro il 58% europeo), il 22% con competenze superiori (contro il 33%) e appena il 2,8% con competenze totali. Se guardiamo i laureati in discipline Ict questi sono solo l’1%, il dato più basso in Europa. “Carenze significative per quanto riguarda il capitale umano” per la Commissione europea che boccia quindi anche noi singoli cittadini.

Qualche promozione dal Desi arriva. Un po’ meglio il giudizio sull’accesso alla banda larga (siamo in “buona posizione” al 17esimo posto, migliorando 4 posizioni dal 9% del 2018 al 13% del 2019) per il lavoro fatto in preparazione al 5G, con assegnazione frequenze e primi servizi commerciali attivati. Ma bocciatura per i cittadini scarsamente connessi (solo il 74% degli italiani usa abitualmente Internet, mentre il 17% non lo ha mai usato) che impatta sui servizi della PA digitale: “Sebbene il Paese si collochi in una posizione relativamente alta nell’offerta di servizi pubblici digitali (egovernment), il loro utilizzo rimane scarso”. Ritardi anche per le aziende nell’adozione di strategie legate a cloud, big data ed e-commerce.

Fin qui il 2019. Poi è arrivato il Covid-19 e la spinta al digitale c’è stata, più volte discussa. Le prime indicazioni contenute nell’analisi europea premiano l’immediatezza con cui il Paese ha risposto attivando servizi digitali tra i quali la didattica a distanza, lo smart working per aziende, il lavoro agile per la PA, le procedure semplificate per agevolare l’acquisto di beni e servizi informatici da parte delle pubbliche amministrazioni…  Ora si è alle prese con l’app Immuni (che ha problemi, ma anche qui sembra un storia già sentita), il Piano Colao (con 102 azioni da mettere a fuoco, ci torneremo) e la rinascita, tutt’altro che facile.

Spetterà all’indice Desi 2021 misurare l’efficacia della risposta dell’Italia al lockdown e se abbiamo davvero imparato dalle nostre debolezze uscite a nudo. Se le scelte fatte sono solo emergenziali o si trasformeranno in modo strutturale sulla digitalizzazione di cittadini, imprese e PA. Lo stesso Desi 2020 invita: “Con la graduale uscita dell’Europa dalla pandemia, la ripresa deve essere pianificata tenendo conto degli insegnamenti tratti dalla crisi. Ciò significa che è necessario prestare particolare attenzione ad indicatori che sono significativi per una trasformazione digitale e una ripresa economica più forte e resiliente, quali quelli relativi alle reti ad altissima capacità (Vhcn) e il 5G, le competenze digitali, le tecnologie digitali avanzate per le imprese e i servizi pubblici digitali”.

Desi 2020 Indice digitalizzazione economia
Desi 2020 – Indice di digitalizzazione dell’economia e della società


Già dal nostro osservatorio si osservano aziende che non si sono mai fermate nella Fase 1 grazie al digitale, e ora nelle Fase 2 inseriscono la trasformazione digitale come asset fondamentale della business continuity per la Fase 3 e oltre, ragionando a lungo termine.
Ma si vedono anche aziende più in difficoltà nella definizione di una strategia chiara, che tentennano aspettando prossimi decreti per definire strategie durature di investimenti in tecnologia e smart working oltre il 31 luglio (data indicata dal Decreto Rilancio come termine per adottare in modo semplificato il lavoro agile nel settore privato, utilizzato da ben 8 milioni di lavoratori in questi mesi, esplosi dai 500mila pre emergenza).

Il rischio è di trovare aziende impreparate nei prossimi mesi per gestire la nuova normalità, e di confermare l’Italia nelle posizioni di retrovia nel prossimo Desi 2021, che sarà una cartina di tornasole dell’eredità dell’esperienza vissuta. Già il Piano per la realizzazione della Banda Ultralarga si era arenato a gennaio (pre-Covid) quando Stefano Patuanelli, ministro dello sviluppo economico, aveva dichiarato che sarebbe stato impossibile realizzare l’80% del progetto entro il 2020, come nei progetti iniziali. Vedremo ora, post emergenza sanitaria, anche alla luce di molte azioni messe in campo per pubblico e privato (il rinnovato Piano Nazionale Impresa 4.0, il recente Piano Transizione 4.0, il Fondo Nazionale Innovazione per le imprese innovative). 

Ci eravamo illusi (anche se pochissimo) lo scorso anno, da qualche passo avanti: nel 2018 Desi ci posizionava 25esimi su 28 stati, nel 2019 in 23esima posizione (pur rimanendo tra gli ultimi) riponendo fiducia anche nei nuovi piani di sviluppo (il Piano Triennale per la PA, il neonato Ministero dell’Innovazione Digitale), e ora nel 2020 ci fa scivolare di nuovo al 25esimo, quart’ultimo posto in Europa, con competenze del capitale umano appiattite sul gradino più basso.
Oggi sul podio Desi 2020 salde rimangono Finlandia, Svezia, Danimarca. Settima l’Estonia. Ma questa nazione la osservavamo da anni. Noi arretriamo, lei avanza.

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