Il Piano Transizione 4.0 contiene le linee direttive per la politica industriale del Paese, ha visto la luce prima appena prima del Natale 2019 e ora è online la nuova sezione dedicata con le linee di intervento. Nelle intenzioni del Ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, il documento vuole definire obiettivi e passaggi per uno sviluppo industriale integrato ed organico, per tutti i settori e per tutto il Paese.

Linee cui ispirarsi per gettare le basi delle politiche industriali anche delle successive leggi di bilancio. Il Piano vuole rappresentare una visione per lo sviluppo industriale da qui a dieci anni, visione che richiede il confronto del mondo dell’imprenditoria, con i governi pronti a prevedere investimenti sulle tecnologie più avanzate , in un clima che dovrebbe essere di collaborazione tra tutti gli attori.

Quello di oggi è il primo frutto di un percorso iniziato l’autunno scorso. Quando il Ministro Patuanelli sottolineò, in fase costitutiva, come fosse “necessario portare avanti un percorso condiviso con gli attori  ]…[, migliorando lo schema della legge di bilancio per il 2020-2022 con risorse pari a circa 7 miliardi di euro per la proroga al 2020 delle misure fiscali del Piano e l’introduzione per gli anni 2020-2022 del credito d’imposta sull’economia circolare (green economy)”

Stefano Patuanelli, Ministro dello Sviluppo Economico
Stefano Patuanelli, Ministro dello Sviluppo Economico

Il Mise ha lavorato quindi al riassetto delle misure fiscali del Piano su una base di programmazione pluriennale, con l’ampliamento della platea delle imprese beneficiarie e l’incremento del numero di Pmi. Il primo riscontro concreto delle linee di intervento è proprio nella Legge di Bilancio 2020 riguardo i tre punti relativi al credito d’imposta per investimenti in beni strumentali (1), ricerca, sviluppo, innovazione e design (2) e per la Formazione 4.0 (3), per uno sforzo complessivo, appunto, da 7 miliardi di euro.

Emerge la natura inclusiva dei provvedimenti, per due ordini di ragioni. 

La prima si lega alla modalità. Per ottenere il credito di imposta relativo agli investimenti in beni strumentali, le imprese non sarebbero tenute a fare i salti mortali ma semplicemente a produrre una perizia tecnica semplice rilasciata da un ingegnere o da un perito industriale iscritti nei rispettivi albi professionali o un attestato di conformità rilasciato da un ente di certificazione accreditato.

La natura inclusiva si lega anche al fatto che il provvedimento si applica a tutte le imprese e comprende anche chi esercita arti e professioni, incluse “le organizzazioni stabili di soggetti non residenti, indipendentemente dalla natura giuridica, dal settore economico di appartenenza, dalla dimensione, dal regime contabile e dal sistema di determinazione del reddito ai fini fiscali”.    

Il credito di imposta, servirà a supportare e incentivare le imprese che investono in beni strumentali nuovi, sia materiali sia immateriali, funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato. Il credito (rimandiamo al sito del Mise per i dettagli) è sfruttabile, in compensazione, in cinque quote annuali di pari importo, ridotte a tre per gli investimenti in beni immateriali, a decorrere dall’anno successivo a quello dell’avvenuta interconnessione per i beni su cui è previsto.

Per quanto riguarda invece la Ricerca e lo Sviluppo, l’idea è quella di stimolare la spesa privata e l’innovazione per sostenere la competitività delle imprese e quindi favorirne i processi di transizione digitale e nell’ambito dell’economia circolare e della sostenibilità ambientale.

In questo caso il riscontro delle spese ammissibili deve risultare da apposita certificazione rilasciata dal soggetto incaricato della revisione legale dei conti e le aziende che non hanno l’obbligo di revisione si vedranno riconosciute le spese sostenute  per la revisione con aumento del credito d’imposta per un importo non superiore a 5.000 euro. C’è poi l’obbligo di relazione tecnica per illustrare finalità/contenuti/risultati delle attività svolte e di comunicazione al Mise, come specificato sul sito del Ministero stesso. 

Arriviamo al terzo punto, il credito di’imposta Formazione 4.0, per alcuni aspetti ancora più interessante, tanto più alla luce dei dati Istat del Censimento permanente delle Imprese che ben hanno messo in luce le lacune del sistema in questo ambito. Il credito si applica alle spese di formazione sostenute nel periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019, con gli obblighi consueti di documentazione e illustrazione delle modalità organizzative.

L’intento è quello di stimolare gli investimenti delle imprese nella formazione del personale sulle materie aventi ad oggetto le tecnologie rilevanti per la trasformazione tecnologica e digitale delle imprese.

Si parla di un credito riconosciuto per il 50% delle spese ammissibili fino ad un limite massimo di 300mila euro per le piccole imprese, per il 40% delle medie, con limite fissato a 250mila euro e del 30% per lo stesso limite nel caso si tratti di grandi imprese. La misura del credito d’imposta è aumentata per tutte le imprese, fermo restando i limiti massimi annuali, al 60% nel caso in cui i destinatari della formazione ammissibile rientrino nelle categorie dei lavoratori dipendenti svantaggiati o molto svantaggiati.

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