Prendendo spunto da una recente ordinanza del Tribunale Civile di Bologna, emessa nel mese di marzo 2021, la Corte ha condannato Facebook Ireland Ltd al risarcimento del danno nei confronti di un utente per aver rimosso definitivamente il suo account senza motivo nonché anche al pagamento della somma equitativa per responsabilità processuale aggravata.
Questi i fatti accertati in giudizio: un utente, avvocato, iscritto a Facebook da 10 anni, con un account a proprio nome e cognome cui erano collegate due pagine – create per i suoi interessi personali- si vede cancellare il proprio profilo, a gennaio 2020, senza nessuna spiegazione o motivazione da parte del social network. Per questo motivo promuove giudizio, nella forma del provvedimento d’urgenza, nei confronti di Facebook. La società irlandese si costituisce in giudizio, dichiarando di aver cancellato definitivamente i dati dell’utente senza possibilità alcuna di poterli ripristinare e contestando la tardività dell’azione giudiziaria nonostante la cancellazione fosse avvenuta a gennaio ed il giudizio instaurato ad aprile.
Si legge nel provvedimento del Tribunale un principio di diritto importante: gli utenti che, come in questo caso, utilizzano la piattaforma senza un fine prettamente commerciale sono considerati consumatori, tutelati dal codice dei consumatori e quindi possono proporre il giudizio nel luogo in cui risiedono. Per tale ragione il giudizio si svolge correttamente davanti al Tribunale di Bologna, luogo di residenza dell’utente consumatore (e ciò a prescindere dalla sua professione di avvocato) non già sotto la giurisdizione irlandese come preteso dal social network.
La Corte affronta inoltre il tema dell’utilizzo e dell’importanza, al giorno d’oggi, dei social network. Queste le parole del giudice: “È evidente, secondo massima di comune e indiscussa esperienza, che la partecipazione al social network Facebook rappresenti nell’attualità un elemento rilevantissimo per la vita di relazione dei suoi utenti. Sarebbe assolutamente ridondante richiamare in questa sede l’importanza assunta dai social network nella vita sociale, in tutto il pianeta, e, in particolare, l’importanza di Facebook, che è di gran lunga il primo e il più importante fra i social network (la resistente, come detto, allega essa stessa nella propria comparsa di risposta di avere ben 2,7 miliardi di utenti). Facebook non è solo una occasione ludica, di intrattenimento, ma anche un luogo, seppure virtuale, di proiezione della propria identità, di intessitura di rapporti personali, di espressione e comunicazione del proprio pensiero”.
È ormai un pensiero comune che la realizzazione dell’identità personale passi anche dai canali social e l’immotivata eliminazione del lavoro di costruzione dell’immagine personale sui portali virtuali costituisce una grave violazione con conseguente danno che merita di essere risarcito. Riportando le parole della sentenza: “L’esclusione dal social network, con la distruzione della rete di relazioni frutto di un lavoro di costruzione […] è suscettibile dunque di cagionare un danno grave, anche irreparabile, alla vita di relazione, alla possibilità di continuare a manifestare il proprio pensiero utilizzando la rete di contatti sociali costruita sulla piattaforma e, in ultima analisi, persino alla stessa identità personale dell’utente, la quale come noto viene oggi costruita e rinforzata anche sulle reti sociali. Tal danno non è facilmente emendabile creando un nuovo profilo personale e nuove pagine, atteso che resta la perdita della rete di relazioni, la quale viene costruita dagli utenti del social network con una attività di lungo periodo e non semplice”. Il fatto che il social network abbia cancellato in modo irreversibile i dati, oltre a denotare, secondo il giudice, una condotta contrattuale profondamente scorretta, – non essendo una documentazione cartacea, bensì immateriale e quindi agevolmente conservabile per un certo periodo di tempo senza costi eccessivi -, comporta inevitabilmente un danno irreparabile.
Ma quale sarebbe la ragione di questo gesto? A detta dell’utente si tratterebbe di una ritorsione nei suoi confronti per aver diffidato, nella sua attività come avvocato, la società stessa, a tutela di un proprio assistito. A tal proposito il giudice, chiamato a giudicare secondo rito di cognizione sommaria, svolge la seguente osservazione, realtà processuale a seguito delle mancate contestazioni di Facebook: “a fronte dell’allegazione di una rimozione del tutto immotivata, seguita pochi giorni dopo l’invio da parte del ricorrente, nella sua qualità di avvocato difensore di un altro utente, di una lettera di diffida a Facebook Italia, e a fronte della carenza assoluta di qualsiasi contestazione, si deve assumere accertato che non vi sia altra spiegazione della detta repentina cancellazione dell’account e distruzione di tutti i dati, che la volontà di ritorsione nei confronti dell’avvocato, con gravissima lesione di evidenti diritti fondamentali della persona, di manifesta rilevanza costituzionale”.
Ritengo che la sentenza sia particolarmente significativa per la qualificazione giuridica effettuata del rapporto tra Facebook ed i suoi utenti. Nonostante il servizio offerto dal social network sia senza costi per gli iscritti, la piattaforma trae un vantaggio economico dalla pubblicità, anche grazie all’utilizzo dei dati personali degli utenti che, come noto, vengono poi ceduti ai terzi per le inserzioni mirate in base ai gusti e agli interessi dei destinatari. L’utente consentendo la diffusione e l’utilizzo dei propri contenuti, effettua una prestazione che è suscettibile di valutazione economica. Infatti, il giudice precisa: “Non può dubitarsi, dunque, che l’utente offra al gestore, con atto negoziale dispositivo, l’autorizzazione a utilizzare i propri dati personali a fini commerciali, sicché, nonostante l’affermata gratuità del servizio, sussiste per entrambi i contraenti il requisito della patrimonialità della prestazione oggetto dell’obbligazione (art. 1174 c.c.)”. è per questi motivi che il rapporto giuridico tra l’utente ed il social network è un negozio oneroso, un contratto, a prestazioni corrispettive.
L’inquadramento del rapporto utente-gestore come un contratto comporta conseguenze giuridiche ben precise, fra cui il diritto di recesso: non è possibile recedere da un contratto a prestazioni corrispettive senza una giustificata causa.
Nelle condizioni d’uso del social network sono ben precisate le cause per cui Facebook può recedere unilateralmente dal contratto:
“1) l’utente non può usare i prodotti per adottare condotte o condividere contenuti: contrari alle condizioni, agli standard della community e ad altre condizioni e normative applicabili all’uso di Facebook da parte dell’utente; contrari alla legge, ingannevoli, discriminatori o fraudolenti; contrari o in violazione dei diritti di altri utenti, compresi i loro diritti di proprietà intellettuale.
2) L’utente non può caricare virus o codici dannosi, né fare qualcosa che possa disabilitare, sovraccaricare o impedire il corretto funzionamento o aspetto dei prodotti di Facebook.
3) L’utente non può accedere o raccogliere dati dai prodotti di Facebook usando mezzi automatizzati (senza la previa autorizzazione di Facebook) o tentare di accedere a dati a cui l’utente non ha il permesso di accedere”.
Le sanzioni contrattuali per il mancato rispetto delle condizioni d’uso da parte dell’utente sono misure graduate, ossia crescenti in base alla gravità della violazione commessa: dalla rimozione di contenuti alla sospensione dall’utilizzo del servizio e, nei casi più gravi, la disabilitazione dell’account, sia temporanea che definitiva. Ma in ogni caso occorre che Facebook informi l’utente e gli consenta anche la possibilità di revisione, salvo che la revisione non comporti un danno al social o alla community.
Per tali ragioni, secondo il Tribunale di Bologna, la rimozione di un profilo o una pagina senza che vi sia una motivazione tra quelle elencate nelle condizioni d’uso e senza alcuna comunicazione all’utente delle ragioni, implica un inadempimento contrattuale da parte del social e di conseguenza la condanna al risarcimento del danno nei confronti dell’utente.
Ma come quantificare il danno? Il social network per aver cancellato, senza giustificato motivo, in modo repentino e definitivo le informazioni relative al profilo non ha potuto dimostrare l’effettivo utilizzo dell’account, mentre l’utente (avvocato bolognese) ha provato un’attività cospicua del suo account.
Ai fini della quantificazione del danno da risarcire il Giudice ha rilevato il danno subito dall’utente per l’evidente lesione della sua vita relazionale: il danno non patrimoniale concreto patito dall’utente è stato quantificato in 10.000 euro per il profilo e 2.000 euro per ogni pagina.
Ma la condanna al pagamento di 14.000 euro non è la sola irrogata dal giudice. Infatti, come accennato all’inizio, la società irlandese è stata condannata a pagare in via equitativa il risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata. Il giudice ha, infatti, ritenuto che l’attività difensiva di Facebook sia venuta meno a elementari regole di comportamento processuale. Il rifiuto di identificare il rapporto negoziale, la rapidità con cui sono stati distrutti i documenti contrattuali nonostante fossero elettronici, hanno impedito non solo alla controparte ma anche all’Autorità giudiziaria di verificare i motivi del recesso nonché la reale attività del profilo, costringendo il magistrato ad una valutazione equitativa del danno.
Il comportamento processuale di Facebook, società che opera a livello internazionale, è stata così valutata dal giudice: “La particolare gravità della condotta processuale, volta a impedire alla Autorità giudiziaria di accertare i fatti in una materia che involge, oltre a vicende di natura meramente contrattuale, anche diritti della personalità (vita di relazione, manifestazione del pensiero, identità personale) e evidenti interessi di rilevanza pubblica (non potendosi negare l’interesse pubblico ad una corretta gestione dei social network), giustifica infatti l’entità della sanzione processuale”. Per tali ragioni Facebook è stata condannata a pagare ulteriori 12.000 euro.
Analizzando la sentenza possiamo ricavare alcune significative conclusioni:
- il rapporto che collega gli utenti a Facebook è contrattuale;
- l’utente che utilizza la piattaforma a scopo non esclusivamente commerciale è un consumatore e tutelato di conseguenza;
- il permesso, da parte dei fruitori del social, di consentire al social network l’utilizzo delle proprie informazioni e la conseguente vendita a terzi rappresenta la prestazione contrattuale dell’utente;
- trattandosi di un contratto a prestazioni da parte di entrambe le parti, vigono le regole in materia di contratto a prestazioni reciproche, fra cui quelle in merito al recesso unilaterale che non può avvenire senza un giustificato motivo;
- il social network è un luogo di relazione e di libera manifestazione del pensiero del singolo, diritti fondamentali costituzionalmente garantiti che devono essere rispettati e tutelati a maggior ragione dalle società che permettono l’effettivo esercizio di questi diritti.
Va qui anche ricordato che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nel novembre del 2018, ha accertato che Facebook Ireland Ltd e la sua controllante Facebook Inc inducevano ingannevolmente gli utenti a registrarsi, senza però informarli- in modo adeguato al momento dell’attivazione del profilo- dell’attività di raccolta dei dati con intento commerciale e finalità remunerative, enfatizzandone invece la gratuità del servizio offerto. Oltre alla sanzione comminata per 5 milioni di euro, l’Autorità vietava la continuazione di questa pratica ingannevole e chiedeva una dichiarazione di rettifica sulla homepage del sito, sull’app e su ogni profilo privato di ciascun utente italiano registrato. Il 17 febbraio 2021 l’Autorità ha accertato la mancata pubblicazione di questa dichiarazione e, nonostante la rimozione del claim di gratuità in sede di registrazione, il persistere della mancata informazione immediata e chiara sulla raccolta dei dati degli utenti ed il loro utilizzo a fini commerciali. L’Autorità ha quindi condannato Facebook al pagamento di ulteriori 7 milioni di euro, trattandosi di informazioni che il consumatore deve ricevere prima di decidere se iscriversi al social network.
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