Everything-as-a-service come nuovo modello sostenibile di cloud per la competitività e la crescita dell’Italia è il tema dello studio dal titolo La Nuova Generazione di Cloud basata su XaaS. Si tratta di una ricerca che The European House-Ambrosetti ha realizzato per Hewlett Packard Enterprise (Hpe) la cui esposizione ha trovato spazio in questi giorni in occasione di un forum dedicato.
L’advisory board che ha indirizzato e validato la ricerca ne evidenzia il peso specifico. E’ infatti composto da Stefano Venturi, presidente e AD di Hewlett Packard Enterprise Italia, Valerio De Molli, Ceo e managing partner di The European HouseAmbrosetti ed Esko Aho, già primo ministro della Finlandia ed esperto di innovazione, con Sonia Bonfiglioli, presidente del consiglio di amministrazione di Bonfiglioli Riduttori, e Paola Cillo, professore associato al dipartimento di Management e Tecnologia dell’Università Bocconi.

Per indagare l’effettivo stato della trasformazione digitale di imprese e pubbliche amministrazioni, la metodologia dello studio comprende due survey – una rivolta all’ecosistema imprenditoriale del network di The European House – Ambrosetti e una rivolta ai principali enti pubblici italiani per oltre 400 stakeholder coinvolti. Affiancato alle survey, anche un ciclo di interviste riservate su oltre 12 attori nazionali e internazionali per indagare specifici casi d’uso ed individuare concretamente i benefici abilitati dal modello XaaS. Da qui l’analisi di tre elementi cui prestare particolare attenzione: l’inadeguato livello delle competenze, la prevalente adozione di soluzioni cloud di livello basico e l’inadeguatezza dei modelli di sourcing Ict e delle regole di bilancio pubblico oggi in uso nella PA.

L’impatto economico del modello XaaS

L’impatto trasformativo del cloud di nuova generazione, basato sul concetto di Everything-as-a-Service (XaaS), ovunque, ha un grande peso economico. Le sue potenzialità nel migliorare la competitività e la crescita dell’Italia, delle imprese, delle istituzioni e della filiera Ict si misurano in benefici fino a oltre 220 miliardi di euro di Pil, cumulati da qui al 2025, per un aumento della produttività media delle imprese fino al 2,3%, ed un impatto sulla filiera Ict di circa 1,3 miliardi di euro. Vantaggi in netto contrasto con i numeri “vissuti” fino ad oggi. Il Pil italiano, infatti, negli ultimi venti anni è cresciuto mediamente dello 0,4% annuo, un tasso di crescita inferiore di oltre l’1,2% rispetto alla media UE (27 Paesi). Questo per la mancanza di quelle componenti che The European House – Ambrosetti definisce come “energie di sistema”, tra cui managerializzazione delle aziende, gestione dei talenti, sinergie tra pubblico e privato.

Stefano Venturi
Stefano Venturi, presidente e AD, Hpe Italia

Ecco che in questo contesto lo studio in particolare analizza il contributo differenziale del modello di cloud di nuova generazione nell’accompagnare la trasformazione digitale di imprese e PA, andando infine a sviluppare delle proposte di policy in favore della digitalizzazione del sistema-Paese. Interviene sul tema così Stefano Venturi: “Serve un nuovo approccio, che renda le soluzioni digitali più facilmente accessibili e adattabili alle esigenze di organizzazioni di ogni dimensione e settore, sia pubbliche che private. Il cloud di  nuova generazione, il “cloud che viene da te” basato sul concetto di everything-as-a-service, everywhere, è il nostro nuovo modello di cloud che risponde a questo bisogno, combinando i vantaggi di cloud pubblico e cloud privato. E lo studio strategico dimostra proprio come i benefici che la diffusione di questo cloud di nuova generazione può generare sono concreti, riguardano l’intero sistema-Paese, le aziende private e le pubbliche amministrazioni.

Lo studio infatti sottolinea come la diffusione di investimenti in asset intangibili sia correlata con la crescita del Pil. Ad oggi gli asset intangibili giustificano oltre il 90% del valore di borsa delle principali società statunitensi e oltre il 70% delle aziende europee e cresce il peso della data economy sulle economie europee nonostante la quasi assenza di player rilevanti a livello internazionale. Nello scenario l’Italia, sebbene si trovi al quarto posto in UE, 27 Paesi e UK, per valore complessivo della data economy (con 37,8 miliardi di euro), si posiziona solamente in 17esima posizione considerando il peso della data economy sul Pil (2,3%), distante dalla media europea fissata al 3%.

Digitalizzazione e competitività, emerge dallo studio, sono strettamente correlate. Lo rivela un indicatore studiato ad hoc che posiziona l’Italia al nono posto in Europa ma al primo posto tra i principali “Paesi benchmark”mentre la Spagna si trova all’undicesimo posto, la Germania al quindicesimo, e la Francia al diciassettesimo. Una posizione, la nostra, che comunque non conforta del tutto, per alcuni limiti riconosciuti della nostra imprenditoria, le competenze considerate non idonee per governare la transizione digitale, la larga adozione di strumenti digitale solo di base dalla maggior parte delle imprese (in particolare piccole e medie) e le difficoltà manageriali nella gestione della transizione digitale.

Tratti condivisi in parte anche con la PA. Vediamo i numeri: soltanto il 21,8% degli uffici ha già assunto un responsabile per la transizione digitale; solo il 16,2% dispone di un programma per aggiornare le competenze dei suoi dipendenti ed il 62% di tutti i dispositivi informatici in uso nelle pubbliche amministrazioni ha più di 5 anni, mentre appena il 27,8% di tutte le PA ha accesso ad Internet ad alta velocità (rete in fibra ottica) e solo il 33,8% della PA ha già implementato alcuni casi d’uso dei servizi cloud, con il 51,7% delle amministrazioni pubbliche che non offre alcun servizio tramite moduli online. 

Valerio De Molli, managing partner & Ceo, The European House - Ambrosetti
Valerio De Molli, managing partner & Ceo, The European House – Ambrosetti

Proprio per la PA, invece, l’impiego di soluzioni cloud basate su everything-as-a-service potrebbe generare un risparmio di costi pari a oltre 650 milioni di euro, equivalenti a una riduzione del 25% dei costi Ict. L’ottimizzazione della gestione dei dati e la creazione di ecosistemi di scambio dati all’interno della Pubblica Amministrazione consentirebbe di applicare il principio/modello once only, riducendo del 90% il numero di richieste di dati da parte della PA e ottimizzando l’accesso ai servizi e ai database pubblici, per un risparmio per le imprese di 32 ore all’anno, impegnate a compiere gli adempimenti burocratici. Un numero impressionante: circa 40mila anni risparmiati complessivamente.

L’everything-as-a-service è modello favorevole ma serve affrontare e indirizzare con delle proposte di policy i fattori che oggi risultano essere ostativi alla digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni e delle imprese. La ricerca evidenzia il bisogno di un nuovo modello di sourcing basato sulle logiche as-a-service, di creare meccanismi di collaborazione tra più enti pubblici e il rafforzamento del ruolo delle in-house regionali, di promuovere l’adozione delle soluzioni cloud più avanzate all’interno delle imprese italiane, e di lavorare sulle competenze e sull’impiego del digitale per i dipendenti delle imprese – così come si fa per la sicurezza sul lavoro – ma al centro devono esserci gli ecosistemi di dati a livello nazionale che rendano possibile una maggiore interoperabilità a livello di filiera. “È fondamentale investire in tecnologie digitali per rilanciare la competitività e la crescita del sistema-Paese – commenta Valerio De Molli. Gli investimenti in nuove tecnologie, infatti, hanno un ruolo chiave nella creazione degli asset intangibili, fondamentali per il rilancio del sistema economico nazionale nell’era della data economy.]…[ Ed il nuovo modello di cloud basato su everything-as-a-service è in grado di favorire una maggiore adozione delle soluzioni tecnologiche avanzate che abilitano un aumento della produttività delle imprese e del sistema-Paese nella sua interezza”.

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