La due giorni del Sap Executive Summit a Cernobbio tornata in presenza con il focus sulla sostenibilità, in un momento in cui la geopolitica e la guerra cambiano i riferimenti, è stata occasione per mettere a fuoco il percorso fatto non solo da Sap (15 anni di Summit con tematiche sempre diverse) ma anche dalla società che oggi si interroga su temi nuovi come quello della sostenibilità. Certo, la guerra e gli impatti umani ed economici sono la vera preoccupazione oggi e da qui l’analisi di un contesto davvero difficile in cui operare.

E’ Carla Masperi, Coo e acting country manager di Sap Italia, la prima ad apprezzare il momento di ritorno sul lago (“è un piacere doppio esser qua, perché due anni fa la cancellazione dell’evento a ridosso del lockdown portava con sé incognite inattese”) e a declinare il claim dell’evento “zero e lode” come una “bella sintesi” della visione a cui tendere: zero emission, zero waste, zero inequality (zero emissioni, zero rifiuti e zero diseguaglianze), verso un modello che prevede lo spostamento da una economia lineare a una economica circolare. Dove il riuso e il riciclo delle materie diventano importanti per la società e per il business.
Rise to a sustainable innovation” – il titolo esteso del summit – parte da alcuni dati di scenario che misurano la sensibilità delle aziende sul tema. “C’è molto da fare in termini di sostenibilità” esordisce Masperi, citando una ricerca che evidenza come il 79% delle aziende non sia soddisfatto del modo in cui vengono raccolti i dati sulla sostenibilità e come solo il 10%, secondo il World Economic Forum, affermi di avere soluzioni software in grado di misurare la propria green line.

Come progettare un prodotto nell’ottica di minimizzare gli scarti? Come garantire una supply chain sostenibile? Tutti temi sul tavolo della due giorni, con un’unica prospettiva: “Crescita del business, profittabilità e sostenibilità sono tre facce dell’azienda che deve definire la strategia futura – precisa Masperi -. Formano un trinomio senza contraddizioni, ma come arrivarci? Quello che sta succedendo in questi giorni ci ha riportato alle guerre del secolo scorso”. C’è un dovere di continuare la transizione ecologica in questo scenario, che richiede di essere pragmatici e realistici, partendo dall’analisi dei costi da affrontare e considerando anche che il costo della “non trasformazione” deve essere messo sul piatto. Un’analisi che rilegge le politiche nei decenni e le tardive decisioni in materia di transizione energetica e industriale.

Carla Masperi, Coo e acting country manager di Sap Italia
Carla Masperi, Coo e acting country manager di Sap Italia

Lo sguardo doveroso sul mondo

Due gli analisti sul palco. “Anche la transizione energetica si inserisce nel contesto ucraino – spiega Dario Fabbri, analista geopolitico – e la guerra espone in modo drammatico la dipendenza energetica che Italia e Germania hanno nei confronti della Russia. Guerra nella sua forma anacronistica che, nella nostra bolla di lusso, non esisteva più e che ci lascia in balia di qualcuno che ha una visione molto diversa della nostra”.
“Le trasformazioni digitale ed ecologica di cui tanto si parla sono transizioni che vanno accompagnate. Non avvengono da sole” incalza Maria Letizia Giorgetti, professore associato di economia applicata dell’Università degli studi di Milano e membro del Mise, sottolineando il “forte connubio tra innovazione e sostenibilità”.

Dario Fabbri, analista geopolitico
Dario Fabbri, analista geopolitico

Stessa logica per il Piano nazionale di ripresa e resilienza. “Il Pnrr, se fosse utilizzato per bene, sarebbe auspicabile per la transizione ecologica. Saremmo folli a non usarlo, ma è doveroso spiegare chi paga sul serio questa transizione – incalca Fabbri -. Se il Pnrr fosse utilizzato correttamente ma, soprattutto, se arrivassero per tempo tutte le tranche di soldi attese sarebbe una grande occasione da non sprecare, tenendo presente che questi soldi non vengono da Marte, andranno resi all’Europa. Se un progetto è importante bisogna anche pagarlo, bisogna spiegare chiaramente questo punto, con grande onestà. Serve un sano pragmatismo”. Lo stesso invoca Giorgetti: “Oggi c’è la necessità di definire una nuova politica industriale che deve esser pragmatica: deve garantire una forte collaborazione tra il mondo dell’impresa e il mondo dell’istruzione, dell’università. Deve imparare ad ascoltare e a leggere i segnali del mercato. Anche per attuare la Missione 1 del Pnrr è importante tenere presente uno dei pochi elementi che ha funzionato in passato: il programma Industry 4.0, poi ribattezzato Transizione 4.0, che è stato di slancio per un Paese che Istat colloca tra gli innovatori moderati in base a un indice composito di competitività (mix tra grado di innovazione, profittabilità, competenze). Le imprese più proattive e resilienti sono nei settori in cui noi siamo più competitivi. Ma serve fare politiche differenziate, incentivare ricerca e sviluppo, misurare la proattività dei settori senza potenziare solo i settori più produttivi. Dobbiamo essere pragmatici e non spaventarci, con la consapevolezza che serve fare un passo avanti”.

In questo scenario le priorità per le aziende rimangono tre nella visione di Emmanuel Raptopoulos, president South Europe, Middle East & Africa di Sap (fino a pochi mesi fa  amministratore delegato in Italia): la trasformazione aziendale e del business (1), la messa in sicurezza della propria supply chain già a dura prova per il Covid prima e per la guerra poi (2) e il tema della sostenibilità racchiuso negli obiettivi di Esg (3), una priorità non solo verso i dipendenti ma anche verso i consumatori attenti a scegliere i fornitori anche in base alle loro responsabilità nei confronti del green e dell’ambiente. “L’87% dei consumatori europei concorda sul fatto che le aziende abbiano responsabilità importanti per affrontare cambiamenti climatici e debbano definire politiche di lungo periodo” argomenta.

Anche in Sap l’attenzione Esg (environmental, social and governance) è maturata negli anni, e a 50 anni dalla nascita (era il 1972) i cambiamenti di strategia via via adottati hanno cercato di rispondere da una parte alle sfide globali (pandemia, transizione cloud, sfide energetiche) dall’altra alle richieste dei clienti che necessitavano di contenere i costi degli investimenti e fare progetti trasformativi. “Con soddisfazione abbiamo premiato oggi tre grandi aziende oggi al Summit per il loro percorso fatto in tema sostenibilità – i Sap Innovation Award sono stati assegnati a Enel, EssilorLuxottica e Tim per progetti di business innovativi e sostenibili, ndr – ma la partita della sostenibilità si gioca sulle medie piccole realtà italiane, cuore del made in Italy, che trovano un aiuto concreto nella tecnologia e che vedono un legame tra la nostra cultura e l’attenzione all’ambiente. Molte delle conversazioni con i clienti considerano l’impatto sulla sostenibilità delle nostre soluzioni”.

Sap
A sinistra Emmanuel Raptopoulos, president South Europe, Middle East & Africa di Sap

Il gioco di squadra di Sap verso l’ecosistema

Che la sostenibilità sia una delle maggiori priorità delle agende dei Ceo è ormai chiaro anche nel nostro Paese, precisa Masperi, ma “se il perché e il cosa sono chiari, dobbiamo capire come fare a realizzarla. Dietro ai nostri intenti c’è una strategia di prodotti verso la quale stiamo andando: l’intelligente enterprise deve combinare il mondo computazionale con tecniche di analisi predittive e di process automation”.

Sono tre gli elementi che un’azienda deve coniugare: crescita, profittabilità e sostenibilità. “Un’azienda che non considera la propria green line e si tinteggia solo di verde, fa green washing, non può avere futuro. Noi approcciamo la sostenibilità portandola nei processi di business e dando alle aziende strumenti per misurarla. Non è soltanto una strategia di facciata, comunicativa, ma un aspetto che integra la sostenibilità nei processi aziendali”.

Perché zero waste con azioni che spingono l’economia circolare, zero emission con azioni attente al clima e zero inequality con azioni di responsabilità sociale hanno una derivata immediata nei processi di business e nel gioco di squadra. “Una azienda deve costruire attorno a sé un ecosistema, per questo stiamo valorizzando il business network” precisa Masperi. Un tema che richiede trasparenza a tutti i livelli decisionali, che parla di etica, che prevede comportamenti manageriali orientati al beneficio del pianeta e dell’azienda stessa.

“Con i nostri clienti stiamo lavorando in tre aree, che riteniamo siano quelle dove le aziende possano migliorare – continua Masperi -: costruire una strategia di sostenibilità end to end integrando la sostenibilità all’interno dei propri processi di business (1). Capire come misurare il dato “di sostenibilità” in modo preciso perché non si può gestire ciò che non si può misurare (2). Lavorare con il nostro ecosistema perché la sostenibilità è un gioco di squadra e bisogna saper coinvolgere la propria filiera (3)”. Basti pensare all’importanza di un processo di procurement flessibile che proponga mercati di approvvigionamento alternativi in casi di fenomeni imprevisti (“e negli ultimi due anni ne abbiamo avuto la prova”) perché la sostenibilità spinge le aziende a essere più intelligenti,  più attente nella raccolta, analisi, interpretazione dei dati e le costringe ad agire. 

“Vorremo che i nostri clienti in qualsiasi industry seguissero la nostra traccia zero waste, zero emission, zero inequality partendo dal valutare le best practice per industry e utilizzando le nostre applicazioni per misurare e migliorare i kpi di sostenibilità all’interno delle applicazioni” puntualizza Giacomo Coppi, head of Digital Supply Chain and Manufacturing di Sap Italia e Grecia

I clienti non devono buttare a mare quello fatto, devono aggiungere all’interno dei processi già implementati dei campi e delle informazioni che permettano di ottenere la green line. Si tratta di un sforzo incrementale, che dà all’azienda la possibilità di correggere i processi, di fare design di prodotti, di gestire un fabbrica nell’ottica dell’energy management. La sostenibilità è un pillar che sta nel mezzo dei processi di intelligent enterprise, aggiunge una nuova dimensione, e questa è la ricchezza che vogliamo portare sul mercato – precisa Masperi -. L’azienda del futuro deve avere la possibilità di colloquiare con il proprio ecosistema in un marketplace. In modo chiaro, con dati che certifichino il prodotto e la sua trasparenza sulla filiera”.

Carla Masperi, Coo e acting country manager di Sap Italia
Giacomo Coppi, head of Digital Supply Chain and Manufacturing, Sap Italia e Grecia e Carla Masperi, Coo e acting country manager di Sap Italia

Quanto Sap è sostenibile

L’offerta di sostenibilità pesa ancora oggi poco sul giro d’affari di Sap e al momento non ci sono partner specializzati ma l’impegno preso dalla corporate sul tema, il comportamento manageriale, la contaminazione delle esperienze con l’ecosistema alzano l’attenzione dei clienti sui temi zero emission, waste e inequality.

Dal punto di vista delle azioni interne, Sap è da 15 anni al primo posto nel Dow Jones Sustainability Index  per la categoria Software e integra dal 2007 il tema della sostenibilità con i dati finanziari (“ci portiamo dietro una lunga storia su questo tema” puntualizza Masperi).
Ma la sostenibilità è anche un tema di change management, per questo una dashboard all’ingresso della sede di Sap Italia a Vimercate, realizzata con Sap Concur, misura l’impatto di trasferte, lavoro in sede o da casa, mezzi di trasporto, e spinge a scegliere di conseguenza il viaggio con le emissioni più basse di CO2.

L’approccio seguito definito anche “triple bottom line” (ambientale, sociale ed economico, conosciuto anche come l’approccio delle 3p, “persone, pianeta, profitto”) si sostanzia nella sede sostenibile, plastic free, nel parco auto aziendali che sta virando verso l’elettrico (con possibilità di ricarica in ufficio o con l’invio dei costi di elettricità sostenuti dai dipendenti tramite app).

Digitale e sostenibilità nati in mondi paralleli vanno ora nella stessa direzione, hanno uguale fine – conclude Masperi-. Se uno ripensa ai processi di business, è ovvio che il digitale ha un flavour di sostenibilità. Ma per accelerare oggi c’è bisogno di una convergenza di una politica industriale con i piani degli imprenditori. E’ richiesta la volontà dell’azienda perché una azienda che non investe in digitale non ha futuro. Dobbiamo prestare molta attenzione al tema della cultura, abbiamo aziende eccellenti nel prodotto ma magari meno brillanti nell’ottica di abilitare un processo. Ma ci sono tante dimensioni dell’Industry 4.0 che stavano già andando in autonomia verso la sostenibilità”. E questo è un buon segnale, da incoraggiare.

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