Future Health Index 2022 analizza come dati e advanced analytics si rivelino fondamentali per gli operatori della sanità e rappresentino strumenti per migliorare la capacità di fornire assistenza sia all’interno che all’esterno di un contesto ospedaliero tradizionale. La ricerca, giunta alla settima edizione, e voluta da Philips per analizzare prospettive e priorità, attuali e future, per i leader della sanità, riguarda 15 Paesi (Arabia Saudita, Australia, Brasile, Cina, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Russia, Singapore, Stati Uniti e Sud Africa), ha coinvolto circa 3.000 persone (200 per quanto riguarda il campione italiano) scelte tra le figure della sanità in grado di prendere decisioni e influenzare le politiche aziendali in un ospedale, uno studio medico, un centro di diagnostica per immagini, pubblico e privato, un poliambulatorio o un centro di medicina d’urgenza. La ricerca include un’indagine quantitativa e interviste qualitative condotte tra dicembre 2021 e marzo 2022.
Entriamo nei dettagli, sulla scorta di due evidenze principali che emergono dalla ricerca: i “decision maker” della sanità rivedono obiettivi e priorità e vorrebbero ripartire puntando sul digitale e sfruttando appieno la potenza dei dati facendo leva su interoperabilità dei dati, AI e analisi predittiva, per migliorare efficienza ed efficacia dell’assistenza sanitaria. Allo stesso tempo si trovano a far fronte in primis alla carenza di personale, quantificabile in 15 milioni di professionisti entro il 2030, che necessita anche di una maggior formazione sulle tecnologie sanitarie digitali, il problema della sicurezza dei dati e la tutela della privacy.
I numeri che riguardano l’Italia rivelano che serve in primis standardizzare e valorizzare i dati. Due terzi del campione che lavora in ambito clinico e operativo già affermano di raccogliere e archiviare dati. Vengono usati per elaborare analisi descrittive – in oltre la metà dei casi – e predittive, in una percentuale di fatto assimilabile; con un’elevata fiducia quindi nell’utilizzo dei dati. Inoltre il 66% del campione ritiene che le strutture di cui dispone abbiano la tecnologia necessaria per sfruttarne appieno il potenziale, e il 78% si sente sicuro dell’accuratezza dei dati a disposizione, un risultato nettamente superiore alla media europea (66%) e globale (69%).
Il 72% degli intervistati ritiene che possa avere un impatto positivo sulle prestazioni sanitarie, mentre il 68% afferma che potrebbe avere un impatto positivo sulla value-based care e, una percentuale di poco inferiore, sui costi delle cure. L’analisi predittiva non vede il nostro Paese arrancare. Il 65% degli intervistati italiani dichiara di aver già adottato o essere in procinto adottare l’analisi predittiva. Secondo le dichiarazioni saremmo al quinto posto della classifica globale, ben sopra la media (56%) e a poca distanza da Stati Uniti (66%) e Brasile (66%), mentre Singapore (92%) e Cina (79%), rappresenterebbero i Paesi guida. E questo nonostante un livello di fiducia complessivamente inferiore, come indica l’immagine a seguire.
Tuttavia, quasi un intervistato su tre nutre timori per la sicurezza e la privacy, i rischi di gestire grandi volumi di dati e proprio la mancanza di competenze (in un caso su quattro). Servirebbe quindi redistribuire i budget di investimento: secondo un intervistato su tre, in una percentuale ben superiore a quanto affermano sia i colleghi europei (22%), sia la media globale (21%).
Proprio per quanto riguarda cybersecurity e privacy emerge la differenza di sensibilità tra l’espressione del campione italiano ed “il resto del mondo”. In Italia, cybersecurity e privacy sono prioritarie per il 41% dei leader della sanità, percentuale che scende al 21% ed al 20%, se si guarda rispettivamente all’Europa e a livello mondiale. Un dato che viene correlato anche ai data breach recenti nel nostro Paese.
L’occasione per fare bene nella sanità è evidentemente legata a doppio filo ai fondi resi disponibili dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Quello della sanità, sembra poi un comparto ben proiettato al futuro. Se infatti Fse (Fascicolo sanitario elettronico) e telemedicina restano tra le priorità di investimento rispettivamente per il 55% ed il 45% del campione, è l’AI focus principale degli investimenti già oggi per il 67% del campione e per l’85% nei prossimi tre anni, mentre a livello globale lo è per il 78% ed in Europa per il 72%.
Andrea Celli, general manager Philips Italia, Israele e Grecia: “]…[Il Future Health Index 2022 ci mostra ]…[ che la rivoluzione digitale della sanità rappresenta una sfida da cogliere su più livelli – tecnologico, infrastrutturale, culturale – che possiamo vincere solo con uno sforzo di sistema, dove aziende, strutture ospedaliere e istituzioni mettano a fattor comune competenze e know-how a beneficio del paziente e dell’intero sistema sanitario.
Gli stessi leader della sanità riconoscono la necessità di dover rafforzare i propri investimenti con partnership forti e strategiche, programmi di formazione del personale e una buona governance, per massimizzare i profitti”.
Le partnership, appunto.
Riguardano sia le altre strutture sanitarie quanto le aziende attive nell’health technology, ed in un Paese come il nostro con marcate differenze a livello regionale questo elemento assume un’importanza particolare ed un’opportunità per “imparare” dalle esperienze più avanzate. Le collaborazioni con le aziende, secondo i decision maker della sanità, portano vantaggi in termini di accesso a modelli di pagamento flessibili e opzioni di finanziamento innovative (44%) alla formazione e la preparazione del personale (31%), dalla visione strategica per il futuro (27%) ed alla consulenza specializzata (26%).
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